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Divisi dai visti
Il sistema dei visti è ancora una delle barriere più evidenti ed umilianti che separano il sud est Europa dai Paesi dell’UE. Ed è un ostacolo costante alle iniziative culturali per avvicinare queste due parti d’Europa
Difficile parlare di Balcani in Europa quando i cittadini provenienti dalla maggior parte di questi Paesi devono subire umilianti code ad ambasciate e consolati, spesso senza ottenere alcunché, ogni qual volta desiderino visitare un parente, partecipare ad un evento sportivo o culturale, fare un viaggio in qualche Paese dell’Unione Europea. Lo ricorda anche Citizens Pact, un movimento di associazioni ed ONG del sud est Europa nato per promuovere la collaborazione regionale sui temi della cittadinanza, che ha promosso una Campagna per l’abolizione dei visti sia tra Stati nell’area che tra i Balcani occidentali e l’Unione Europea.
Al recente vertice del Consiglio europeo a Salonicco è arrivata chiara la conferma che l’UE sta guardando al sud est Europa e che senza l’integrazione dei Paesi di quest’ultimo l’Unione si percepisce "incompleta". Ma parallelamente è arrivata anche l’indicazione che non sarà una strada semplice. La liberalizzazione del sistema vigente dei visti ad esempio, è stata subordinata a riforme in grado di garantire lo stato di diritto, alla lotta contro la corruzione, il crimine organizzato e l’immigrazione clandestina. Si è ancora lontani quindi dall’invito del Citizens Pact che chiede che l’UE, mentre attende che giustamente i Paesi del SEE adempiano a determinate condizioni affinché venga definitivamente mutato il sistema dei visti, inizi però fin da subito ad alleggerito. Vi è tra l’altro anche il precedente di Bulgaria e Romania i cui cittadini godono attualmente di un visto turistico automatico della durata di tre mesi, anche se questi due Paesi certo non sono molto più avanti di Unione Serbia Montenegro, Bosnia Erzegovina, Albania e Macedonia per quanto riguarda lotta al crimine organizzato, al trafficking ecc.
Ogni giorno il sistema dei visti rende più difficoltosi ed a volte vani gli sforzi di associazioni, ONG e singoli cittadini di rafforzare i legami tra queste due parti d’Europa. "Per la fine di luglio stiamo organizzando grazie a finanziamenti della Commissione europea un seminario internazionale dal titolo ‘Adriapeople’" racconta Lucia Pantella, dell’associazione culturale Cactus, con sede a Forlì, "i partecipanti serbi ci hanno subito contattati allarmati che le prenotazioni per la richiesta visti presso la nostra Ambasciata sarebbero andate oltre il 15 di agosto. Abbiamo chiamato allora presso l’Ambasciata e la risposta è stata che non era possibile fare alcuna eccezione e che queste ultime venivano fatte esclusivamente per uomini d’affari, politici ed esponenti culturali di rilievo". I tempi di richiesta dei visti, che poi non è detto vengano effettivamente concessi, sono molto lunghi e rendono ostica l’organizzazione di incontri culturali come quello promosso da Cactus. "E per quanto riguarda i kossovari la situazione è, se possibile, ancora peggiore" continua Lucia "era da giorni che tentavano di contattare l’ufficio italiano a Pristina delegato dalla sede centrale di Belgrado a rilasciare i visti, senza ricevere alcuna risposta. Allora mi sono decisa a chiamare e mi è stato risposto che non era più possibile ottenere i visti a Pristina ma bisognava recarsi a Belgrado. Cosa per ovvie ragioni a loro molto difficile". Lucia ha allora richiamato l’Ambasciata di Belgrado dove in modo esplicito le hanno consigliato di non fare neppure richiesta dei visti per i kossovari perché tanto "al novanta per cento non vengono concessi perché laggiù ancora si scannano". "In Commissione europea sono sicuramente molto più disponibili" conclude Lucia "mentre l’impressione è che Roma e l’Ambasciata italiana a Belgrado siano in difficoltà a gestire la situazione attuale. Ogni giovane che richiede un visto viene considerato quale un potenziale immigrato clandestino in Italia".