Dividere la Bosnia
Il presidente sloveno Pahor e poi anche il primo ministro Janša avrebbero avanzato l’ipotesi che la soluzione dei problemi della Bosnia Erzegovina sarebbe la divisione di quest’ultima. Polemiche in tutta la regione e oltre. Non un buon viatico per la presidenza UE slovena che inizierà a luglio
Quello che è certo è che il presidente sloveno Borut Pahor, nel corso della visita del marzo scorso a Sarajevo, ha chiesto ai membri della presidenza bosniaca se il paese potesse essere diviso pacificamente e senza spargimenti di sangue. La sua considerazione iniziale è stata che si stanno facendo sempre più insistenti le voci, a livello internazionale, che prima di allargare l’Unione europea ai Balcani occidentali, sarebbe necessario concludere il processo di dissoluzione della Jugoslavia. I membri bosniaci e croati della presidenza della repubblica hanno risposto di no e quello serbo di sì.
La questione sarebbe potuta rimanere nelle segrete stanze del palazzo della presidenza bosniaca, ma a diffonderla ci ha pensato il leader serbo Milorad Dodik. Nel corso di una seduta del parlamento della Republika Srpska, Dodik non ha mancato di accennare al fatto che alti funzionari provenienti dall’Unione europea stessero ponendo la questione della separazione consensuale. La cosa sarebbe passata come l’ennesima boutade del pittoresco uomo politico serbo se Sead Numanović, uno dei più autorevoli giornalisti bosniaci, sul portale politicki.ba non si fosse chiesto chi a nome della Bosnia potesse discutere della sua dissoluzione. Facendo quattro calcoli sulle visite recenti a Sarajevo, Numanović è presto arrivato al Capo dello Stato sloveno. Pahor ha subito cercato di gettare acqua sul fuoco ribadendo il suo pieno appoggio all’integrità territoriale della Bosnia ed al suo cammino europeo. Sta di fatto che già nel 2010, allora nelle vesti di capo del governo, tentò di giocare un ruolo nella crisi bosniaca, inviando in regione come suo emissario l’ex presidente della repubblica Milan Kučan. Nella sua relazione finale, Kučan, giunse alla conclusione che il nocciolo del problema bosniaco è che tra le tre componenti non c’è volontà di dialogo e che se non fosse possibile instaurarlo sarebbe stato meglio arrivare ad una separazione consensuale controllata.
Numanović indagando su quello che era successo durante la visita del presidente sloveno a Sarajevo, però avrebbe trovato anche altro. I soliti bene informati a Lubiana e a Bruxelles, che hanno raccolto le voci che uscivano dai palazzi del potere, gli hanno raccontato che ci sarebbe un “non-paper” che il premier sloveno Janez Janša avrebbe consegnato al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Nel documento si prevederebbe la creazione di una “grande Serbia” con la parcellizzazione della Bosnia, ma anche con riassetti territoriali per Macedonia del Nord, Kosovo e Montenegro.
A quel punto Sarajevo ha immediatamente chiamato a colloquio l’ambasciatrice slovena Zorica Bukinac, che ha precisato che la posizione di Lubiana sull’integrità territoriale della Bosnia Erzegovina e sulla sua integrazione europea non è cambiata. Il premier Janez Janša ha invece negato gli addebiti, rimarcando di non aver visto Michel da mesi. Peter Žerjavič, corrispondente da Bruxelles del quotidiano Delo, in un primo momento ha scritto che dall’ufficio di Michel avrebbero confermato la ricezione del documento; ma poco dopo è stato costretto a correggere il tiro spiegando che i collaboratori del presidente del Consiglio europeo hanno detto di non poter confermare la notizia. Dalla Commissione europea invece hanno precisato di non saperne nulla. La cosa, comunque, non ha mancato di scatenare una ridda di polemiche in regione, con articoli e commenti al vetriolo dalla Serbia alla Macedonia.
In Slovenia il centrosinistra è subito partito all’attacco, dimenticandosi o quasi di Pahor, hanno puntato dritto alla giugulare di Janša, accusandolo di essere un irresponsabile ed un fomentatore di potenziali nuove guerre nei Balcani. Immediata le richieste di chiarimento ed all’orizzonte c’è una infuocata seduta del comitato esteri della Camera dove si chiederà di render conto di quanto accaduto.
La rabbiosa reazione del premier e dei suoi uomini non si è fatta attendere. Subito il dito è stato puntato sull’opposizione e sui giornalisti sloveni colpevoli di diffondere voci infondate con il solo scopo di recar danno a lui ed alla Slovenia. Nel mirino anche Senad Numanović, accusato di essere un uomo legato all’ex ministro Fahrudin Radončić e un fan di Tanja Fajon, la leader dei socialdemocratici sloveni. Quest’ultima non aveva mancato di levare immediatamente la sua voce contro il presunto “non-paper” di Janša. Per il governo ed i suoi sostenitori, quindi, tutto non sarebbe altro che la solita congiura ordita dall’opposizione e poi diffusa grazie agli amici e agli amici degli amici all’estero per venir ripresa ed alimentata ad arte in patria. Una tesi cara al centrodestra che si risente ogniqualvolta la stampa internazionale se la prende con Janša.
Sta di fatto che a luglio inizierà il semestre di presidenza slovena, che per Janša ed il suo governo avrebbe dovuto essere una importante vetrina internazionale. Lubiana da sempre crede di conoscere a fondo i Balcani e di sapere anche come muoversi. Risolvere i nodi della regione, però, non è né una questione semplice né priva di pericolosi ritorni di fiamma. Se difficilmente si troveranno conferme sull’esistenza del “non paper” non rimane che tornare all’inizio della storia e chiedersi perché il presidente sloveno abbia scelto di entrare a gamba tesa ponendo una domanda quantomeno inopportuna nel corso di un incontro ufficiale. Quello che rimane da capire è soprattutto se si è trattato di una sua estemporanea ed inopportuna iniziativa o se si è prestato al gioco chiedendo “per un amico”.