Discriminati nel proprio Paese

In Bosnia Erzegovina, in base alla Costituzione oggi vigente, i bosniaco erzegovesi non esistono. Ci sono solo i serbi, i croati, i bosgnacchi e gli "altri". Un gruppo di cittadini si incontra su Facebook e sulla strada per protestare, rivendicando i propri diritti

03/12/2008, Silvia Trogu - Tuzla

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Il 25 novembre a Sarajevo e a Tuzla si è tenuto, nonostante una fitta nevicata, il «Primo incontro degli appartenenti alla nazione bosniaco erzegovese».

Questo incontro è stato organizzato da due movimenti dal carattere fortemente anti-nazionalista: il «Movimento degli appartenenti alla nazione bosniaco erzegovese», di Sarajevo, e il «Movimento giovanile Revolt» di Tuzla.

L’obiettivo dell’incontro è stato quello di portare alla luce la discriminazione cui sono soggetti tutti i cittadini bosniaci ed erzegovesi che non si sentono appartenenti a nessuno dei tre grandi gruppi etnici (bosgnacchi/musulmani, serbi e croati) e neanche ad una delle numerosissime minoranze esistenti nel Paese. Essi pretendono invece il diritto di essere semplicemente considerati cittadini del proprio Paese e, come tali, di godere di pari diritti.

Il 25 novembre è una data significativa, in quanto è l’anniversario della fondazione della Repubblica di Bosnia Erzegovina, nel 1943.

Di seguito l’intervista con il portavoce del Movimento giovanile Revolt di Tuzla, Gordan Izabegović:

Pensa che tutti i cittadini bosniaci godano di uguali diritti?

Decisamente no. In base alla Costituzione di Dayton, vige una discriminazione nei confronti di tutti coloro che non si considerano appartenenti a nessuno dei cosiddetti «popoli costitutivi» (bosgnacchi/musulmani, serbi e croati) e che come tali non possono essere eletti né alla Presidenza (composta da tre rappresentanti dei tre popoli costitutivi), né alla Camera dei Popoli (una delle due camere in cui è diviso il Parlamento, composta da 5 delegati serbi, 5 croati e 5 bosgnacchi).

Quali cittadini bosniaci risultano discriminati?

Prima di tutto i numerosi figli di matrimoni misti i quali, se decidono di non optare per l’etnia di appartenenza di uno dei due genitori, cessano di essere cittadini di pari diritti; in secondo luogo le minoranze che però godono, almeno formalmente, dei diritti propri delle minoranze nazionali. La partecipazione di rappresentanti delle minoranze a questo raduno del 25 novembre è la dimostrazione che almeno una parte di essi vorrebbe essere considerata come cittadini a pieno titolo del Paese e non solo quali minoranze. E’ importante sottolineare, inoltre, l’esistenza di molte altre persone che, pur potendo identificarsi con una delle tre etnie maggioritarie, sentono l’appartenenza nazionale come prevalente. L’assurdità è che la categoria civica (e non etnica) di tutti coloro che si considerano semplicemente cittadini bosniaco-erzegovesi non soltanto non venga promossa, ma che non esista nella Costituzione.

Recentemente due cittadini bosniaco erzegovesi appartenenti alle minoranze ebraica e rom, Jakob Finci e Drevo Sejdić, hanno fatto causa alla Bosnia Erzegovina presso la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo; la Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto, nota come Commissione di Venezia, ha confermato l’esistenza di una discriminazione in base alla appartenenza etnica. Come commenta questi fatti?

E’ qualcosa di assurdo, inverosimile e incredibile per chi non conosce la realtà della Bosnia Erzegovina post Dayton. Si tratta anche di una ulteriore conferma che i diritti nel nostro Paese non sono costituzionalmente uguali per tutti.

Ritiene che almeno i tre «popoli costitutivi» (bosgnacchi, serbi, croati) godano di uguali diritti su tutto il territorio nazionale?

No. Ogni popolo costitutivo è portatore di diritti, in particolare del diritto ad essere eletto, solo se risiede nell’Entità in cui è etnia maggioritaria le Entità sono le due parti in cui il Paese è diviso in base agli accordi di Dayton, ndr. Godono di tutti i diritti solo i serbi in Repubblica serba, così come i bosgnacchi e i croati in Federazione. I 5 delegati serbi alla Camera dei Popoli sono della Republika Srpska, mentre i 5 delegati croati ed i 5 bosgnacchi sono della Federazione.

Dopo Dayton, secondo molti osservatori, i diritti dei popoli tendono a monopolizzare la scena politica in Bosnia Erzegovina. Quali conseguenze ha questa situazione per i diritti di tutti i cittadini?

Da quando i partiti etno-nazionalisti dominano la scena politica, l’unico argomento di discussione politica si basa su «diritti dei popoli» assolutamente teorici, che mettono i cittadini gli uni contro gli altri ed hanno come unico scopo la conservazione del potere da parte degli stessi partiti nazionalistici. Il risultato complessivo di questa situazione è che i reali interessi dei cittadini, quelli economici, culturali, sociali, vengono completamente trascurati con i risultati che purtroppo vediamo ogni giorno.

Ritiene desiderabile che la Bosnia Erzegovina si trasformi in uno stato civico in senso occidentale, in cui siano salvaguardati unicamente gli interessi dei cittadini?

No, è necessario salvaguardare la multietnicità del Paese e quindi far sì che nessun popolo si senta discriminato, ma contemporaneamente fare sì che i diritti dei popoli non abbiano il monopolio esclusivo della politica e che, quindi, non prevalgano sui diritti dei cittadini.

I cittadini erano maggiormente tutelati dalla Costituzione della Repubblica di Bosnia Erzegovina quale Repubblica della Federazione jugoslava?

Sì, l’esistenza della categoria «jugoslavo» permetteva un’identificazione statale (e non etnica) che aveva la funzione di unificare il Paese, mentre nella Costituzione attuale della Bosnia Erzegovina questa categoria, in cui noi ci identifichiamo, non è prevista.

Qual è lo scopo della manifestazione di oggi?

Portare alla luce il problema della non identificazione con i gruppi etnici, che finora era considerato un tabù, al fine di introdurre la categoria di «nazione bosniaco erzegovese» in vista del prossimo censimento. L’ultimo censimento effettuato nel Paese risale a prima della guerra, cioè al 1991, ora sembra che esista il consenso necessario per farne un altro nel 2011.

Quale significato per il futuro di questo Paese avrebbe la costruzione o il rafforzamento della identità bosniaco erzegovese?

Questa identità indiscutibilmente esiste, se ne erano già accorti anche durante la guerra tutti coloro che si sono rifugiati nei paesi dell’ex Jugoslavia, nei quali non solo vissero l’esperienza di essere considerati esclusivamente come bosniaci erzegovesi, indipendentemente dall’appartenenza etnico-religiosa, ma si resero conto di quanta parte della propria identità, fatta di tradizioni, abitudini, ecc. fosse comune agli altri abitanti del Paese che avevano lasciato. In attesa di dati statistici, un primo mini-censimento di questa identità è stato effettuato via internet attraverso l’organizzazione di un gruppo su Facebook, su una popolazione prevalentemente di giovani di Sarajevo e di Tuzla, ed in poco tempo si sono iscritte oltre 8.500 persone. Il movimento ha già preso contatti per estendersi ad altre città: Banja Luka, Mostar, Bijelina. Secondo noi il rafforzamento dell’identità bosniaco erzegovese è cruciale per il futuro del Paese, ed è in grado di superarne il maggiore problema: la divisione.

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