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Diritto all’informazione

Una nuova legge impedisce ai giornalisti croati di affrontare casi di malversazione, criminalità organizzata o malasanità fino a quando i risultati delle indagini non vengono ufficializzati. Il dibattito nel Paese

14/01/2009, Drago Hedl - Osijek

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In Croazia, ai giornalisti può capitare di finire in carcere se rendono pubbliche informazioni relative ad un’indagine su un esponente della malavita accusato di crimine organizzato, su di un politico coinvolto in uno scandalo di corruzione, o su di un medico che con i suoi []i ha procurato la morte di un paziente.

Con le modifiche alla legge entrate in vigore all’inizio di quest’anno, i giornalisti, infatti, potrebbero trovarsi in prigione – da tre mesi a tre anni – insieme ai soggetti dei loro articoli. Questo fatto ha suscitato vera e propria costernazione nel mondo dell’informazione, in particolare tra i giornalisti che si occupano di affari di corruzione, che indagano sul crimine organizzato o che portano alla luce i collegamenti tra mafia e politica.

Se un giornalista viene a sapere di un’indagine per sospetta corruzione avviata a carico di un politico, non può scrivere nulla a riguardo fino a quando l’atto d’accusa non viene confermato. Lo scopo della legge che glielo impedisce è tutelare i diritti dell’imputato, vale a dire il rispetto della presunzione d’innocenza, perché nessuno è colpevole fino a quando la sua colpevolezza non viene dimostrata con un giusto processo.

Ma la legge che vieta la pubblicazione dei dati di un’indagine apre tutta una serie di domande. Questa legge limita la libertà di stampa? Cosa ne sarà dei giornalisti che pubblicano informazioni su una persona che è sotto inchiesta, raccolte con il proprio lavoro investigativo e non ottenute da fonti delle indagini? Quali possibilità ci saranno di manipolare i dati non pubblicati? Tra queste e altre domande, la cruciale resta sicuramente quella relativa alla tutela dei diritti: la tutela dei diritti dell’imputato è più importante del diritto dell’opinione pubblica a conoscere le informazioni rilevanti sul coinvolgimento di un politico di alto livello in qualche scandalo, anche prima che venga formulato l’atto d’accusa?

Un caso d’attualità ora in Croazia illustra perfettamente questo problema. Alla fine dello scorso anno, quando gli emendamenti alla legge non erano ancora entrati in vigore, i mezzi d’informazione hanno pubblicato i dati relativi all’avvio dell’inchiesta contro Ante Đapić, deputato, presidente di partito ed ex sindaco di Osijek, la quarta città croata per grandezza. I media hanno reso noto il presunto accordo che Đapić avrebbe firmato con il proprietario di una ditta, in cui si impegna a fare lobbying presso il governo croato per annullare il cospicuo debito che l’impresa aveva con lo stato. In cambio, questa avrebbe pagato a Đapić un appartamento a Zagabria e rinnovato la sua casa di famiglia.

Ora, dato il cambiamento della legge, non si può più scrivere di questo caso. Đapić ha presentato la sua candidatura a sindaco di Osijek per le elezioni che si terranno a maggio di quest’anno. La domanda è se i cittadini hanno il diritto di sapere a che punto è arrivata l’indagine, dato che queste informazioni sono estremamente importanti per la loro scelta di voto a sindaco. In fondo, non è anche nell’interesse di Đapić che si conoscano i risultati delle indagini, e che si sappia, ad esempio, che non è mai stato firmato un tale accordo? Gli avversari politici di Đapić non potrebbero manipolare il silenzio sull’inchiesta, facendo sapere ad esempio come si è conclusa l’indagine e che le supposizioni erano infondate solo ad elezioni avvenute?

Oppure, viceversa: cosa succederà se l’esame grafologico confermerà che Đapić ha davvero firmato l’accordo e i cittadini, visto che quest’informazione è segreta, l’avranno già scelto come sindaco? In questo caso, chi avrà ingannato l’opinione pubblica nascondendole i dati che, forse, sarebbero stati decisivi per il risultato delle elezioni? E quali le conseguenze nel caso in cui, qualche settimana dopo le elezioni e l’insediamento del sindaco, si rendesse noto che Đapić aveva stipulato un contratto estremamente compromettente per cui finirà in carcere?

Oppure, un esempio ancor più drastico. Mettiamo il caso che le indagini confermino in modo inoppugnabile che il medico di un reparto d’ospedale è colpevole per la morte di un paziente. L’opinione pubblica non lo viene a sapere perché così prevede la legge. Ma questa stessa "opinione pubblica" si rivolge allo stesso medico, mettendo la propria vita nelle sue mani. Se avesse saputo che il dottore, a cui si è rivolto fiducioso, per sua negligenza ha causato la morte di un paziente, un cittadino si rivolgerebbe comunque a lui? In questo caso è più importante la protezione del medico e del suo diritto alla presunzione d’innocenza oppure che il paziente sappia con quali medici ha a che fare?

La domanda è anche cosa sarebbe successo con qualche caso più importante – ad esempio il cosiddetto "caso Indeks", lo scandalo di corruzione che ha visto coinvolti docenti dell’università di Zagabria che vendevano gli esami agli studenti – se l’opinione pubblica non ne fosse stata informata quando le indagini erano ancora agli inizi. La pressione dell’opinione pubblica ha avuto un effetto positivo nello svolgimento del caso oppure le informazioni rese note dai media hanno aiutato i pesci grossi a sfuggire alla persecuzione della giustizia?

In riferimento ai cambiamenti della legge e al divieto per i giornalisti di informare sul corso delle indagini, l’intera storia in Croazia si potrebbe sintetizzare con il titolo di un noto film di Miklós Jancsó: "Vizi privati, pubbliche virtù".

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