Diritti universali delle donne in BiH

Una panoramica sui diritti universali delle donne in Bosnia Erzegovina

17/05/2002, Redazione -

I diritti delle donne: tra universalismo e relativismo

La posizione scomoda dei diritti umani delle donne nella famiglia dei diritti universali riflette il loro conflittuale riconoscimento nel sistema internazionale.
L’evolversi dei diritti delle donne rappresenta un unicum al centro del dibattito tra universalismo e relativismo culturale, anche se negli anni novanta lo slogan "women rights are human rights" è diventato d’uso corrente nel mainstreaming delle organizzazioni internazionali. Si può allora parlare di significativo cambiamento o come suggeriscono i più critici di un utile compromesso rispetto alla loro iniziale marginalità?
La storia della stessa Commissione sulla Condizione delle Donne (CSW) offre una prima risposta. Nata come Sotto-comitato della Commissione per i Diritti Umani (CHR), ha in seguito assunto un ruolo indipendente, "uguale ma diverso" rispetto al CHR, non avendo a disposizione le stesse risorse ed autorità per iniziare investigazioni e ricevere petizioni. Il conflitto nei Balcani con le sue violenze e i suoi orrori (1) ha fortemente scosso la "coscienza" della comunità internazionale e di riflesso gli interessi dei governi membri dell’ONU. La violenza, sistematica e pianificata, colta dai riflettori e dall’auditel dei media è stata trattata da vera "prima donna" durante la Conferenza sui Diritti Umani a Vienna nel 1993. In tale occasione è stato fortemente ribadito che i diritti delle donne sono "una parte inalienabile, integrale ed indivisibile dei diritti universali" (2), anche se la situazione interna di ciascuno Stato resta un dominio privilegiato e riservato.
Nei Balcani, al contrario che in altri luoghi di conflitto, meno accessibili e più difficili da gestire, la pulizia etnica e gli stupri di massa, da sempre trattati come un aspetto inevitabile dei conflitti armati, hanno portato alla ribalta il gender-mainstreaming, ed alcuni temi specifici come la violenza, la persecuzione e la perseguibilità di questi crimini. La Risoluzione 802/827 del Consiglio di Sicurezza, in accordo con il Capitolo Sette dello Statuto delle Nazioni Unite, ha costituito ad-hoc un Tribunale Internazionale (ICTY) per giudicare e punire i crimini di guerra, contro l’umanità e di genocidio nell’ex-Yugoslavia: una pietra miliare nel riconoscimento dei diritti delle donne. Tuttavia, per stabilire l’efficacia dei diritti umani, al fine di migliorare le condizioni di vita delle donne, bisogna soffermarsi sulla definizione dei diritti nei trattati internazionali che li contengono, identificare quali sono i meccanismi di implementazione, e le difficoltà in un contesto, come quello balcanico, in cui i diversi sistemi di disuguaglianza possono avere un impatto sproporzionato sulle donne in tempo di pace ed ancora più brutalmente in tempo di guerra.

I diritti delle donne nei trattati internazionali

Le convenzioni internazionali che hanno come oggetto i diritti delle donne si suddividono in tre categorie, in relazione al fine di proteggere, correggere ed eliminare qualsiasi discriminazione. Infatti la maggior parte dei trattati internazionali contiene "una clausola di non-discriminazione", in base alla quale le donne godono degli stessi diritti universali degli uomini. Tuttavia, la formulazione dei diritti umani risente di un implicito bias androcentrico. In particolare, la divisione tra sfera pubblica e privata non offre una risposta adeguata agli abusi sessuali, ad esempio, in caso di violenza domestica, infanticidio, e FGM (mutilazione/"circoncisione" femminile) e altri (3).
La Convenzione per l’Eliminazione della Discriminazione contro le donne (CEDAW 1979), rappresenta una svolta significativa per i diritti delle donne. Anche se l’Articolo 1 (4) adopera il tradizionale standard maschile come modello di paragone, la definizione di "discriminazione" è molto più ampia ed include un’uguaglianza de iure e de facto. Inoltre, sia privati che gruppi non governativi oltre alle autorità pubbliche (5) possono essere puniti per tali violazioni.

CEDAW e’ una convenzione innovativa in quanto non solo oltrepassa la demarcazione tra pubblico e privato, ma entra in alcune delle aree più critiche per i diritti delle donne. L’Articolo 15 conferisce un’uguale capacità legale alle donne mentre l’Articolo 16 riafferma pari diritti all’interno della famiglia, un ambito che spesso protegge i criminali dallo scrutinio esterno. Tuttavia, gli articoli sopra menzionati sono anche i più riservati della convenzione. Infatti gli stati firmatari spesso fanno appello ad una specifica "sensibilità" culturale e religiosa per evitare un’ingerenza negli affari interni (6). CEDAW ha due altre notevoli debolezze: (1) l’assenza di violazioni di natura sessuale (gender violations) e (2) un sistema di implementazione che si affida alla trasparenza dei singoli stati firmatari. Perciò, in CEDAW non si fa menzione dei diritti riproduttivi, del diritto alla propria sessualità, mentre il modello tradizionale di donna (madre e moglie) esclude altre categorie a rischio come bambine, donne disabili, rifugiate, anziane (7). A livello di implementazione, CEDAW adopera il sistema più debole: rapporti quadriennali che i singoli stati devono sottoporre all’attenzione del Comitato del CEDAW.

Chiaramente questo sistema di revisione lascia un ampio margine di discrezione agli stati. Infatti i governi possono condannare alcune forme di violenza nei confronti delle donne, e contemporaneamente difendere leggi o politiche che negano loro i diritti. Un recente e positivo sviluppo in campo di diritto internazionale e’ l’Optional Protocol (OP) che dal Settembre 1999 e’ stato affiancato al CEDAW. L’OP, entrato in vigore in 15 stati (8) firmatari, permette la petizione individuale, anche se rispetto a simili procedure in altri trattati internazionali(9) e’ limitato da più severe qualifiche. Infatti solo un’organizzazione non-governativa (ONG) riconosciuta giuridicamente dallo stato in questione può portare una presunta violazione all’attenzione del Comitato previo consenso della vittima. Inoltre, gli stati firmatari possono "opt-out" dalla richiesta di condurre un’investigazione in loco (10). Questo significa che i diritti delle donne e la loro posizione all’interno della società restano per molti membri ONU un area da controllare e da circoscrivere.

Il caso della Bosnia

i) Violazioni e tutela dei diritti delle donne in un conflitto armato

A Beiijng, la Quarta Conferenza Mondiale delle Donne (1995) ha sottolineato che "nell’affrontare i conflitti armati una politica di mainstreaming attiva e visibile insieme ad una prospettiva attenta al gender deve essere promossa in tutte le strategie e programmi di azione" (11). Una breve analisi del Diritto Internazionale Umanitario (DIU) rende evidente il bisogno di integrare i diritti universali delle donne nella implementazione del DIU. Il DIU si occupa, tra l’altro, della protezione dei prigionieri di guerra e dei civili durante un conflitto. Tradizionalmente, l’impatto di un conflitto armato cade in modo sproporzionato sulle donne che costituiscono la maggioranza dei rifugiati e degli sfollati (IDPs). Nessuna distinzione è fatta tra i civili anche se l’esperienza del conflitto può essere notevolmente importante per l’intensificarsi delle disuguaglianze (12).
Le violazioni che possono essere definite "gender-specific" sono i rischi per la salute, maltrattamento nei campi, malnutrizione, molestie, stupro ed altre forme di violenza. Il DIU e’ trattato principalmente nelle 4 Convenzioni di Ginevra (1949), nei due Protocolli aggiunti nel 1977 e nella giurisprudenza emersa in seguito al processo di Norimberga e al Tribunale Militare di Tokyo. In totale 43 clausole fanno riferimento alla protezione delle donne, ma in relazione alla loro figura "tradizionale" piuttosto che come singoli individui (13). Inoltre e’ importante notare che queste clausole fanno uso del concetto di "protezione" e non di "proibizione". Infatti l’Articolo 27(2) della Quarta Convenzione relativa alla protezione dei civili durante un conflitto armato afferma che "le donne dovranno essere specialmente protette contro ogni attacco al loro onore, in particolare dallo stupro, prostituzione e alcuna altra forma di violenza immorale". E’ evidente che nel 1949 i crimini di natura sessuale sono trattati come una "offesa all’onore" e non come "gravi violazioni" elencate successivamente nell’Articolo 6 del Trattato di Norimberga (14). Tale riferimento all’onore si trova anche nella formulazione dell’Articolo 76 del Protocollo I e nell’Articolo 3 del Protocollo II che deve essere applicato da forze governative e non-governative. In conclusione, la posizione del DIU nei confronti dello stupro e di altre forme di violenza e’ piuttosto ambigua anche se può "rientrare" nella lista di "grave violazioni" sotto la definizione di tortura.
Il conflitto nei Balcani ha ribaltato lo status quo del DIU a livello giuridico ed istituzionale. Infatti la Res. A/48/13 dell’Assemblea Generale stabilisce che lo stupro e altre forme di abuso nei confronti delle donne costituiscono un crimine di guerra perseguibili da un tribunale internazionale (15). Al momento e’ in discussione il fatto che lo stupro sistematico e pianificato possa essere una forma di genocidio (16) utilizzato per distruggere la vita famigliare e la comunità di un particolare gruppo etnico. L’ICTY stabilisce perciò un’importante precedente: (a) i crimini sessuali sono esplicitamente identificati e (b) nato durante l’evolversi del conflitto il Tribunale non può essere compromesso dalla nozione di una "giustizia secondo il vincitore" (17). Anche il Trattato di
Roma (1998) include nello Statuto del Tribunale Internazionale (ICC) "gender persecution" come una forma di genocidio. Inoltre e’ importante sottolineare che un crimine contro l’umanità e/o di genocidio può essere perseguibile a prescindere dal suo manifestarsi in tempo di pace o di guerra. Tuttavia, "gender persecution" esclude la persecuzione di omosessuali e la violenza domestica, un chiaro compromesso verso gli stati più conservatori e meno tolleranti. Per ora queste concessioni non hanno dato i frutti sperati (18).
La Bosnia-Herzegovina ha ratificato CEDAW il 1 Ottobre 1993, ci risulta però essere in ritardo con i suoi due primi rapporti.

ii) Violazione e tutela dei diritti delle donne in fase post-bellica

La violenza nei confronti delle donne durante un conflitto si trasmette nel periodo di ricostruzione e di pace. Gli anni 90 hanno visto emergere un consenso intorno all’incidenza globale della violenza nei confronti delle donne, un fenomeno che supera barriere geografiche, razziali o religiose. La violenza ha varie forme in quanto può avvenire nel privato delle mura domestiche, nella comunità o in luoghi pubblici. Può essere stupro e abuso famigliare, violenza mentale, fisica, psicologica, può riguardare la salute come la sterilizzazione, aborto, gravidanza forzata, FGM, infanticidio, vendita e matrimonio di bambine o altre violazioni relative a pratiche tradizionali, può essere una forma di alienazione e reclusione, prostituzione, traffico e pornografia. Sono specialmente a rischio donne ed adolescenti economicamente dipendenti come immigrati, IDPs, rifugiati mentre in alcuni casi la discriminazione e’ sancita dalla legge o dalla pratica.
Nei Balcani, la ricostruzione ha portato ad un aumento della violenza domestica, del traffico e della prostituzione facilitata da una presenza militare e civile internazionale che ha creato un mercato ed un servizio facendo circolare valute forti in un area impoverita dalla guerra. La Bosnia-Herzegovina con un alto tasso di disoccupazione
e di miseria causato anche dal collasso economico, ha visto come maggiori beneficiari il mercato globale e il crimine organizzato. Le ragioni della violenza sono molte: controllo e mancanza di controllo, una cultura di discriminazione, la percezione della donna come proprietà, sessualità e disempowement. Tuttavia, le donne spesso sono discriminate anche nel loro nuovo ruolo di capo famiglia, particolarmente critica la situazione di chi e’ sfollato nelle città senza qualifica lavorativa o esperienza imprenditoriale. L’UNHCR ha creato la Bosnian Women Initiative in Sarajevo che offre un training in diversi tipi di attività e corsi, assistenza sociale e psicologica per superare i traumi delle guerra ed uno sportello aperto per fornire informazioni su problemi legali, sul ritorno, proprietà, casa, occupazione, pensione e consulenza matrimoniale. Altre ONG ed associazioni locali formate da donne per le donne (19) si stanno attivando nelle città della Bosnia e con difficoltà nelle zone più periferiche. La maggior parte fornisce un supporto sociale, economico, psicologico ed un’assistenza sanitaria. E’ chiaro che il processo di riconciliazione e di ricostruzione passa attraverso le donne, insieme alla promozione dei diritti umani, e la conoscenza dei loro diritti.

Sinergie tra livello internazionale, nazionale, locale: una via per colmare lo iato tra prescrizione e implementazione dei diritti.

La campagna globale per sradicare la violenza ha avuto riflessi a livello giuridico e di implementazione. La General Recommendation 19 estende la competenza del Comitato CEDAW ed afferma che gli abusi di natura sessuale non sono solo una violazione in sé, ma annullano anche tutti gli altri diritti (20). Nel campo del mainstreaming e’ importante menzionare la Declaration on Violence Against Women (1993) and il mandato dello Special Rapporteur on Violence against Women (1994). Lo Special Rapportuer può ricevere, chiedere chiarimenti ed agire su petizioni individuali.
Queste violazioni sono riportate nel rapporto annuale presso la CHR. Al momento non e’ stata ancora organizzata una missione in Bosnia-Herzegovina, ma lo Special Rapporteur ha fornito ampia documentazione sulle violazioni nei confronti delle donne durante il conflitto. Anche se i recenti sviluppi nella legge, soprattutto a livello internazionale, non implicano automatici cambiamenti sul terreno, la distribuzione e la conoscenza dei diritti umani e nel caso specifico di CEDAW e dell’OP può avere un forte impatto. Questi sviluppi devono essere integrati con un più stretto legame e networking tra organizzazioni internazionali, nazionali e locali. In questo contesto le Donne in Nero offrono un esempio positivo di attivismo che supera le barriere geografiche ed ideologiche dei Balcani ed entra nella rete internazionale della diplomazia popolare.

Note:

(1) Rapporto di Amnesty International "Bosnia-Herzegovina: rape and sexual abuse by armed forces" (1993); Rapporto dello Special Rapporteur to CHR, Tadeusz Mazowiecki, E/CN.4/1993/50 sito OHCHR.

(2) Vienna Conference, Declaration and Programme for Action, paragrafo 18.

(3) L’Articolo 6 dell’International Covenant on Civil and Political Rights (ICCPR) proibisce "la privazione arbitraria del diritto alla vita ad opera dell’autorità pubblica", ma ignora violazioni commesse da privati o da gruppi non governativi.

(4) L’Articolo 1 CEDAW afferma che " ‘the term discrimination against women’ shall mean any distinction, exclusion, or restriction made on the basis of sex which has the effect or purpose of impairing or nullifying the recognition, enjoyment or exercise by women, irrespective of their marital status, on a basis of equality of men and women, of human rights and fundamental freedoms in the political, economic, social, cultural civil or any other field".

(5) Articolo 2(e) CEDAW.

(6) Radhika Coomoraswamy, UN Special Rapportuer contro la Violenza nei confronti delle Donne, ha sottolineato come "rights discourse with its notion of the empowered individuals comes up against communitarian notions of the family: an ideological force far stronger than rights discourse and perhaps the most formidable obstacle women’s rights activists face".

(7) Fatta eccezione per donne che vivono in zone rurali vedi Articolo 14 CEDAW.

(8) Riferimento Cedaw

(9) Vedi Articolo 14 Convention on the Elimination of Racial Discrimination (CERD) e l’Articolo 22 della Convention Against Torture (CAT).

(10) Articolo 10 Optional Protocol.

(11) Beijing Conference, Platform for Action, paragrafo 143.

(12) Si veda Commentario ICRC e inoltre "Initiative to better responds to the needs and resources of women affected by armed conflicts".

(13) J. Gardam and H. Charlesworth "Protection of women in armed conflict" Human Rights Quarterly (200).

(14) Nell’Articolo 6 i crimini contro l’umanità escludono la persecuzione sessuale, ma si limitano a persecuzione razziale, politica e religiosa. Vedi C. Chinkin "Rape and sexual abuse of women in international law issues" Eur. J. Int. L. 326.

(15) L’ICTY segue la formulazione del Control Council No. 10 degli Alleati che inserisce lo stupro nella lista dei crimini contro l’umanità.

(16) Articolo 2 della 1948 Genocide Convention.

(17) Ci sono ancora significativi ritardi per l’estradizione di criminali. Inoltre, lo Statuto dell’ICTY non prevede la compensazione delle vittime e testimoni.

(18) Il numero di firmatari è al momento a quota 22, ma 60 ratificazioni sono necessarie perché lo statuto entri in vigore.

(19) Possono essere menzionate tra le più attive Medica (Zenica) Associazione delle Donne (Zena Zeni a Sarajevo) e Maligrad (Mostar).

(20) Nella GR 19 la definizione di discriminazione "includes gender based violence- that is violence which is directed against a woman because she is a woman or which affect woman disproportionately… gender based violence may breach specific provisions of the Convention regardless whether this provisions expressly mention violence".

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