Dio, Stato e patria
In Albania le ultime statistiche sull’appartenenza religiosa e sulla nazionalità risalgono rispettivamente al periodo di re Zog e al regime di Hoxha. Ora ci si propone di raccogliere nuovi dati. C’è chi chiama al tradimento della nazione albanese e chi semplicemente sottolinea che il censimento non riuscirà a dare un quadro reale del paese
La composizione etnica e religiosa dell’Albania costituisce da sempre una questione delicata nella storia della nazione albanese. Le reminiscenze del passato – e le fobie balcaniche da paese eterogeneo – sono ritornate all’ordine del giorno quando il governo Berisha ha dichiarato di voler intraprendere un censimento della popolazione in cui, per la prima volta dopo il regime di Re Zog, gli albanesi dovrebbero dichiarare tra le altre cose anche l’appartenenza religiosa e quella etnico-culturale.
Il censimento è solitamente un processo di routine e l’ultimo in Albania risale al 2001. Ma la novità del prossimo censimento è proprio che, oltre ai dati socio-economici, sono state incluse anche domande riguardanti la religione (rispetto alla quale un tentativo, con scarsi risultati, era già stato effettuato nel 2001) e la nazionalità degli albanesi che non viene più censita dal ’79.
Il ministro di Stato Genc Pollo ha istituito una commissione – costituita da esperti e ministri – che seguirà il processo di censimento. Il progetto è sostenuto non solo dalle autorità albanesi ma anche da enti internazionali quali UNDP, IPA, UNPFA. Nonostante la smentita a più riprese da parte della Tirana ufficiale, è un’opinione diffusa che il censimento sia necessario all’integrazione del paese nell’Ue anche se da Bruxelles non vi è alcun documento che lo richieda esplicitamente. In molti ritengono che il governo Berisha voglia attraverso il censimento dare un messaggio positivo sul suo operato per quanto concerne il rispetto della diversità all’interno del paese (come d’altronde già successo con la legge da poco approvata contro la discriminazione delle minoranze sessuali).
Ma il censimento che dovrebbe portare alla luce la situazione etnico-religiosa dell’Albania, per quanto riconosciuto ampiamente come un gesto necessario alla democrazia e al rispetto della diversità nel paese balcanico, ha subito irritato studiosi di storia, politici e analisti. Ad accomunare la maggior parte delle opinioni è il fatto che, per quanto lodevole, l’iniziativa non sia né applicabile né adatta all’Albania per la sua eterogeneità all’interno dell’albanesità e a causa dei rapporti con gli altri vicini balcanici interpretati nella storiografia ufficiale all’insegna della forte vittimizzazione della nazione albanese.
Più che la religione, è l’etnia a intimorire, poiché finora è stato ampiamente affermato che la dichiarazione della nazionalità sarà di piena discrezionalità dei cittadini albanesi, senza che in seguito venga sottoposta ad alcuna verifica. Tale modalità di censimento ha fatto sorgere il dubbio sull’arbitrarietà delle dichiarazioni, le quali potrebbero deformare la realtà a seconda di determinati interessi. In primis preoccupa la forte tendenza ad acquisire la cittadinanza greca da parte degli albanesi ortodossi, o valacchi nel sud del paese, in cambio di pensioni o di un passaporto che abbatte i confini di Schengen. Inoltre, mentre l’Albania è ancora lontana dalla liberalizzazione dei visti – come si evince dalle dichiarazioni estremamente vaghe dei rappresentanti di Bruxelles – si ritiene che in molti sarebbero tentati di dichiararsi macedoni, serbi o bulgari.
“E’ l’ennesimo tradimento che il premier Berisha firma a danno degli albanesi”, commenta lo storico di origine çam Pellumb Xhufi, definendo l’inserimento della nazionalità nel censimento quale una facilitazione per i cittadini albanesi che vogliono dichiararsi greci, contemplata nell’interesse dei vicini meridionali. “In tal modo si vuole semplicemente dare mano libera ai greci nel loro grande sogno di appropriarsi del sud dell’Albania, del cosiddetto Vorioepiro” aggiunge indignato Xhufi.
“Si tratta di un’azione da paese democratico – afferma il repubblicano Sabri Godo – ma come si fa a credere alla nazionalità dichiarata da una coppia di anziani che ricevono la pensione greca senza che abbiano nulla di greco e senza conoscere neanche una parola della lingua greca?”. Voci altrettanto indignate arrivano anche dall’opposizione. Il leader del partito G99, l’attivista della società civile Erjon Veliaj dubita che l’Albania sia in grado di effettuare in maniera oggettiva tale censimento, dato che l’INSTAT, l’istituto statistico albanese, si è adoperato negli ultimi mesi a pubblicare cifre estremamente ottimistiche e a suo avviso inattendibili sulla più che zoppicante economia albanese. “Nuocerà di sicuro alla pace e all’armonia nel paese” avverte dalle fila del Partito Socialista, Rexhep Mejdani.
Nonostante gli albanesi non perdano mai occasione di smentire le percentuali dichiarate sulla situazione religiosa del paese – risalenti al regime del re Zog, nel primo dopo guerra – un nuovo censimento in merito alle religioni del paese entusiasma pochi rappresentati del clero. “L’Albania è un paese laico e come tale lo Stato albanese non ha diritto di violare la costituzione chiedendo ai propri cittadini di esprimersi in merito alla religione” critica duramente Xhufi “tuttavia ciò non contribuirà a minare la tolleranza reciproca e la convivenza pacifica tra le religioni nel paese poiché i problemi dell’Albania, anche quelli interni, sono sempre causati da motivi esterni al paese”. Nei forum e nelle interviste pubblicate dai media di Tirana, molti cittadini affermano di considerare la religione come qualcosa di troppo intimo e soggettivo da poter dichiarare in un censimento. Tra gli opinionisti non manca invece chi vede nel prossimo censimento una buona occasione per sbarazzarsi una volta per tutte dell’etichetta di paese a maggioranza musulmana.
Il ministro supervisore del progetto, Genc Pollo, invita invece alla tolleranza, affermando che “non bisogna avere complessi etnico-religiosi”. La dichiarazione della nazionalità e della religione rimangono tuttavia facoltative, e secondo l’esperta in materia di censimenti presso l’Instat, Milva Ikonomi, i dati raccolti in merito alle suddette categorie verranno esaminati solo se “rispecchianti la realtà”.
Un dato incontrovertibile è comunque che gli ultimi dati riguardanti l’appartenenza religiosa risalgono al periodo di re Zog, mentre sulle nazionalità si va al ’79, durante il regime comunista di Hoxha. I mutamenti continui e molto veloci che hanno interessato la società albanese dal crollo del comunismo a oggi hanno prodotto una realtà che non si può rispecchiare nei dati statistici ufficiali. Nonostante il rischio di una maggiore presenza di appartenenti alla minoranza greca nel sud del paese, il censimento in questione è senza dubbio un passo importante nel rispetto dei diritti delle minoranze. “La vecchia tesi dell’espansionismo greco nell’Epiro del Nord in territorio albanese è ormai piuttosto fantapolitica e un mutamento dei confini meridionali del paese è alquanto inverosimile”, commenta lo scrittore Fatos Lubonja in un suo editoriale per il quotidiano Korrieri.
Al censimento parteciperanno poco più di tre milioni di albanesi mentre non saranno rilevati i dati riguardanti gli albanesi emigrati all’estero. In molti rimangono scettici comunque sulla capacità del censimento di rispecchiare la realtà albanese. Da non sottovalutare ad esempio la difficoltà nell’interpretare le identità plurime delle generazioni nate dalle famiglie miste, fenomeno tipico del secondo dopo guerra, incoraggiato dal regime di Hoxha per favorire i processi di laicizzazione e albanesizzazione.