Dinaro: vali troppo?
E’ tra i pochi ad aver previsto la crisi finanziaria globale. E’ l’economista e premio Nobel Paul Krugman, che ad inizi ottobre era a Belgrado. Con una proposta shock: il dinaro andrebbe ulteriormente deprezzato. Ma in pochi, in Serbia, sono convinti di quanto proposto
Lo scorso 3 ottobre il premio Nobel per l’economia Paul Krugman ha tenuto a Belgrado un seminario durante il quale ha illustrato le sue teorie per superare la crisi economica e finanziaria in atto. Krugman si annovera tra i pochi economisti ad aver anticipato – tra il 2007 e il 2008 – la catastrofe economica a cui il mondo stava andando incontro e questo lo rende una voce autorevole e credibile in termini di proposte di soluzioni. Krugman è un cosiddetto neokeynesiano, sostenitore di politiche espansionistiche in momenti di recessione finalizzate a sostenere la produttività e l’occupazione. Il contrario di quello che l’Europa – sotto la spinta della Germania e delle maggiori istituzioni internazionali – sta facendo.
Partner ad oriente
Durante il seminario, Krugman ha ribadito con tenacia le sue teorie, affermando che la Serbia ha la necessità di discostarsi dalle politiche restrittive europee per aumentare la competitività della propria economia.
L’economista si è anche dichiarato fiducioso per il futuro della Serbia, in virtù del fatto che il paese presenta un elevato livello di istruzione, una radicata capacità imprenditoriale e un costo del lavoro relativamente basso. Anche se la vicinanza politica all’Europa rimane un fattore cruciale per la stabilità della Serbia, Krugman ha sottolineato come il paese, a livello economico e commerciale, debba rafforzare i rapporti con i propri partner ad oriente: dalla Russia alla Cina, passando per la Turchia.
Sovrastimato
Ma quello che più ha sorpreso i presenti al seminario, sono state le parole dell’economista americano riguardo alla moneta serba, il dinaro, che secondo lui è overrated, sovrastimato. Una svalutazione del dinaro porterebbe forti vantaggi in termini di competitività, ha ammonito Krugman.
La risposta non si è fatta attendere, con il vice-governatore della Banca centrale serba Diana Dragutinović che ha subito dichiarato: “Non so da quali calcoli il professor Krugman abbia tratto queste conclusioni, perché una revisione dei documenti ufficiali della Banca centrale e dell’Ufficio nazionale di statistica su tasso di cambio/deficit/inflazione avrebbe dovuto portarlo ad affermazioni opposte”.
In Serbia è infatti in corso un acceso dibattito sulla forte svalutazione che ha colpito il dinaro dal 2011 ad oggi e che lo ha portato nel giro di un anno da un cambio di circa 90/95 dinari per euro ad inizi 2011 agli attuali 113. La svalutazione del dinaro, secondo le istituzioni serbe, ha amplificato gli effetti della crisi e peggiorato le condizioni di vita della popolazione.
La svalutazione della moneta è uno strumento di stimolo economico sostenuto con vigore da molti economisti, che lo identificano come un mezzo efficace e parzialmente indolore per rilanciare l’economia di un paese, specialmente quando paragonato a politiche restrittive: rendendo più vantaggiose le esportazioni di beni e più costose le importazioni, contribuirebbe a risanare la bilancia dei pagamenti. Allo stesso tempo, dato che le importazioni diventano più costose, la domanda interna dovrebbe spostarsi verso l’acquisto di beni e servizi prodotti localmente, dando così un’ulteriore spinta all’economia interna e un aiuto al ribilanciamento dei conti pubblici.
Così semplice?
Esistono però vari effetti negativi correlati ad una svalutazione. Non tutti i beni importati sono infatti facilmente “sostituibili” con beni prodotti internamente. E’ il caso ad esempio di gas e petrolio, beni cioè che in mancanza di proprie risorse naturali la Serbia deve per forza importare. Dato che questi sono beni prezzati in moneta internazionale, una svalutazione del dinaro comporta un aumento del costo relativo di tali beni che si traduce direttamente in un aumento dei prezzi interni. Se a questo aggiungiamo nel caso specifico serbo il recente aumento dal 18% al 20% dell’IVA (esclusi i beni alimentari) che il nuovo governo serbo ha approvato per rimpinguare le disastrate casse dello stato, è facile ipotizzare forti ripercussioni sull’economia reale – come sottolinea l’economista serbo Goran Nikolić – in termini di inflazione.
E i dati sull’inflazione in Serbia mostrano che questa sta già galoppando: si è passati dal 7% di aumento del 2009 all’attuale 11%, mentre gli esperti del Fondo Monetario Internazionale durante una visita in Serbia ad inizio 2011 hanno individuato al 4% il valore ottimale per il 2012. L’inflazione ovviamenete erode il potere di acquisto della popolazione (tramite l’aumento dei prezzi al consumo), ed il valore degli stipendi (se non correttamente indicizzati).
Le autorità serbe per limitare quest’andamento inflazionistico hanno, nel corso del 2012, già innalzato per quattro volte il tasso d’interesse base, ora al 10,75%.
A livello teorico, affinché una politica di svalutazione funzioni, deve inoltre essere “credibile”, cioè deve essere fatta secondo programmi economico-politici ben precisi e di lungo periodo. Se i mercati internazionali la percepiscono al contrario come sintomo di paura e di instabilità all’interno di un paese, si aspettano ulteriori svalutazioni che a loro volta innescano immediate e massicce speculazioni finanziarie (vedere il “Mercoledì nero” inglese del 1992 per credere), nonché fughe di moneta verso l’estero.
“Il dinaro è sotto la pressione di pesanti vendite, dovute in parte da preoccupazioni più ampie della zona euro, ma anche dall’incertezza sulle prospettive della politica economica e fiscale in Serbia. Il dinaro può sprofondare ad un tasso di 125 per ogni euro entro la fine dell’anno e l’inflazione potrebbe accelerare se il nuovo governo non è disposto ad attuare presto il risanamento dei conti pubblici”, dichiarava in un rapporto mensile il 5 giugno scorso l’Istituto di Economia di Belgrado.
Reazioni
Rispondendo a Krugman l’economista serbo Nikola Fabris, professore presso la Facoltà di Economia di Belgrado, dichiarava che la Serbia “semplicemente non ha un’economia forte. Considerando la nostra realtà, siamo semplicemente condannati a vedere un indebolimento continuo del dinaro rispetto all’euro nelle circostanze attuali”. Una posizione condivisa da molti altri analisti all’indomani delle dichiarazioni di Krugman. Quindi la svalutazione starebbe avvenendo come conseguenza dei problemi strutturali della Serbia e non tanto – come auspicava l’economista americano – come scelta di politica economica.
Del resto affinché una svalutazione della moneta porti ai risultati desiderati, devono esistere una serie di pre-condizioni, tra le quali: una capacità produttiva tale da aumentare le esportazioni e da compensare l’aumento del costo di alcune importazioni “non sostituibili”, un basso debito estero (prezzato in moneta internazionale), un governo credibile in grado di sostenere politiche economiche di lungo periodo. Lungo questa strada, nonostante Krugman, la Serbia non sembra essere ancora pronta.