Diario di una giornata di settembre a Fiume
Una passeggiata in centro a Fiume, il giorno del centenario dell’impresa fiumana di D’Annunzio: la politica, il lavoro degli storici, la memoria e la democrazia
Di solito sono contento quando l’opinione pubblica mostra interesse per temi storici. Chiusi nell’autocompiacimento per saggi pubblicati in qualche rivista specializzata o per l’invito a congressi da più o meno piccoli gruppi di esperti, noi storici siamo molto grati allorquando l’interesse del grande pubblico ci degna di uno, seppur minimo, sguardo. Invece, il centenario dell’impresa fiumana di Gabriele D’Annunzio, celebratosi il 12 settembre scorso, mi ha alquanto rattristato. Sono trascorsi ormai 15 anni da quando ho iniziato ad occuparmene, seppur interessato in primis al rapporto del Poeta con il cristianesimo e la Chiesa , mi sarei aspettato che le luci dei riflettori su questo personaggio mi avrebbero fatto piacere. Invece tutt’altro.
A differenza del giorno dell’impresa fiumana nel 1919, in cui, sembra, ci fosse stata tanta pioggia, il 12 settembre 2019 a Fiume era una giornata soleggiata, con temperature che sfioravano i 28 gradi… Ed io ho ripreso ad andare in spiaggia… Dopo il mare, mi sono recato alla sede della Comunità degli italiani di Fiume, che aveva ospitato Giordano Bruno Guerri , del Vittoriale degli Italiani, uno degli autori che ultimamente si era dato molto da fare per valorizzare l’impresa fiumana del Vate (settembre 1919 – gennaio 1921), allestendo mostre, organizzando convegni, sdoganando, insomma, la figura del Comandante dall’alone fascista o protofascista.
Nel raggiungere l’ambiente del Circolo (abbreviazione di Circolo degli Italiani, cioè comunità degli italiani rimasta a Fiume dopo l’esodo), posto in centrocittà, sono passato accanto a un nutrito gruppo di poliziotti che custodiva l’entrata dell’edificio. La tensione in città, infatti, era salita già dalla mattinata, quando i media croati hanno pubblicato la notizia della provocazione organizzata dal gruppo soprannominatosi gli Idraulici, proveniente dall’Italia: giovani nemmeno ventenni si son fatti fotografare con una gigante bandiera italiana, seppur con lo stemma sabaudo, e hanno distribuito volantini con testo dannunziano, ecc. Si son presi così le prime pagine del quotidiano fiumano e l’interesse dell’intera opinione pubblica croata. Poi, nel primo pomeriggio, sono arrivate le notizie dell’avvenuta inaugurazione del monumento al Poeta a Trieste . Per erigere il monumento è stata scelta proprio la data del centenario dell’impresa fiumana fomentando dubbi sulle reali motivazioni dell’establishment triestino – si celebra il poeta o il conquistatore di Fiume?
Era palpabile il crescendo di tensione durante quella giornata, soprattutto sui social media. Reazioni simili si erano scatenate a seguito delle dichiarazioni dell’ex presidente del Parlamento Europeo Tajani, che pochi mesi fa, parlava di terre italiane riferendosi all’Istria, a Fiume e alla Dalmazia. Passando, insomma, accanto ai poliziotti e leggendo i commenti su Facebook dal mio telefono, mi assaliva la sensazione o meglio dire la paura, che in questo modo, con la bravata di un paio di adolescenti esaltati, in un colpo solo venissero sbriciolati anni e decenni di tessitura di dialogo qui a Fiume, in cui molti si sono prodigati per conciliare croati e italiani.
Anch’io nel mio piccolo ho cercato di sforzarmi in questo senso volendo ricucire lo strappo storiografico, verificatosi dopo l’esodo, e riscrivere la storia fiumana, soprattutto religiosa. Secondo me la responsabilità di quello che è successo attorno al centenario non ricade in primis sul gruppetto di adolescenti che sono comparsi sui media, resosi colpevoli di un gesto provocatorio, ma soprattutto su quelli che negli anni passati, fino ad oggi, hanno veicolato un’immagine dell’impresa dannunziana quale rivoluzione goliardica ed eccentrica, un’avanguardia del 1968. Sull’onda della vittimizzazione che domina oggi la narrazione italiana su queste tematiche, senza che vi sia posto per un’analisi complessiva della politica italiana verso queste terre nel Novecento (dopo averle trascurati durante la Prima repubblica, oggi si è passati all’estremo opposto di un’acritica diffusione di tesi non comprovate e appoggiate, anche finanziariamente, dal mondo politico), l’interpretazione dell’impresa dannunziana si era diffusa negli ultimi anni senza che la maggioranza dei suoi estimatori avessero sentito il bisogno di relazionarla a quella che è l’eredità dannunziana. Appunto, qual è l’eredità dannunziana? Il discorso comincia a complicarsi dato che il giudizio storiografico non può prescindere da concetti quali democrazia parlamentare, diritti delle minoranze, rapporto tra nazionalità e identità europea, tra integrazione ed esclusione, militarismo e pacifismo ecc.
Se D’Annunzio non è fascista, come si afferma, non si può negare che sia stato nazionalista e militarista. Nonostante alcuni tratti della legislazione dannunziana a Fiume, per giunta mai messa in pratica, il suo governo non conduceva politiche democratiche. Bisogna mettere in rilievo soprattutto la politica da lui condotta a Fiume nei confronti di più della metà della popolazione cittadina costituita all’epoca da non italiani. I sedici mesi fiumani del Poeta-Condottiero, infatti, intaccarono i delicati equilibri nazionali e linguistici dando luogo ai primi esuli croati da Fiume. Seguirono poi anni in cui le vittime di violenze e nazionalismi opposti diverranno purtroppo gli italiani, nella Seconda guerra mondiale e soprattutto col dramma massiccio degli esuli nel dopoguerra.
Su vari temi del Novecento concernenti l’Istria e Fiume, è diffusa in Italia un’interpretazione che non prende in considerazione le storiografie croata e slovena, e nonostante ciò gode di un’acritica diffusione nell’opinione pubblica. Sovente si esprimono giudizi storiografici su questi temi (numero degli esuli, strage di Vergarolla a Pola ecc.) senza conoscere le lingue croata e slovena, con la conseguenza della mancata consultazione della bibliografia e delle fonti disponibili. Fanno eccezione giovani storici quali Abram e Rolandi, che hanno pubblicato anche in questa sede e che fanno ben sperare. La storiografia croata poi, non ha ancora fatto i conti con il dramma degli esuli. Ma sono discorsi da fare nelle riviste scientifiche, pertanto mi fermo qui.
Concludendo le cronaca di quel giovedì del centenario, mi sono poi recato all’apertura della mostra L’Olocausta di D’Annunzio , presso il Museo della marineria di Fiume. Si tratta della risposta croata alla mostra Disobbedisco , da un paio di mesi allestita a Trieste dalle autorità cittadine. La presenza delle forze d’ordine era ancora più massiccia; si aspettava l’arrivo, non preannunciato, del ministro alla Cultura croata.
In calce, D’Annunzio ed il dannunzianesimo rimarranno oggetto di ricerche storiche essendo, in effetti, questo periodo e i suoi protagonisti degni di interesse e di studio. La storia però non dovrebbe divenire ostaggio della politica. Permettendo alla politica di occuparsi della storia, ci ritroveremmo con un’ingegneria politica facente uso di avvenimenti storici interpretandoli a proprio piacimento, secondo interessi politici (elettorali) e spesso nazionalisti. È compito non solo di storici, ma di tutta la società civile impedire che ciò accada.
* Marko Medved, professore associato, Università di Zagabria-Fiume