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Dialogo e transizione
Il ruolo dell’Onu dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, il rapporto con la missione europea Eulex, il dialogo con Belgrado e Pristina, la situazione a nord di Mitrovica. Intervista esclusiva con Lamberto Zannier, nuovo capomissione dell’Unmik
Signor Zannier, lei ha recentemente dichiarato che, in seguito alla proclamazione di indipendenza di Pristina e con il contemporaneo rafforzamento delle autorità parallele per la comunità serba "pur essendo ancora investito dell’autorità esecutiva sotto la risoluzione 1244, non ho gli strumenti per esercitarla". Cosa significa? Che ruolo riveste oggi l’Unmik sul campo in Kosovo?
La mia è stata un’osservazione di carattere fattuale. Dopo il 15 giugno, con l’entrata in vigore della costituzione kosovara e l’intervento di un certo numero di riconoscimenti a livello internazionale, si è creata una situazione di fatto per cui troviamo sul terreno istituzioni controllate dal governo kosovaro che tolgono spazio all’esercizio dei poteri di Unmik, previsti dalla risoluzione 1244, che non viene riconosciuto in questo ruolo dal governo di Pristina. Questo ha determinato la presa d’atto che lo spazio operativo per Unmik è cambiato.
Nelle aree dove le autorità di Pristina hanno ancora difficoltà ad operare e a stabilirsi, le zone abitate dalle minoranze e soprattutto nel nord del Kosovo, l’autorità di Unmik viene più apertamente riconosciuta e la 1244 rimane il punto di riferimento essenziale per l’azione della comunità internazionale. Anche lì, però, siamo costretti a mediare in continuazione su ogni questione. Non è sufficiente emettere una decisione: per poterla attuare ho bisogno poi di farla seguire costantemente da un dialogo con le parti sul terreno.
Ma chi esercita oggi l’autorità esecutiva che de facto non viene più riconosciuta all’Unmik?
Ci sono una serie di attori. Da un lato c’è il governo di Pristina, che propone atti legislativi, poi approvati dall’assemblea parlamentare e che l’amministrazione kosovara attua sul terreno. Ci sono funzioni residue per l’Unmik, che io stesso continuo ad esercitare, nella misura in cui questo è possibile. Ci sono poi le nuove istituzioni previste dal piano Ahtisaari Eulex e Ico, N.d.R, che stanno tentando di stabilirsi sul terreno, ma che vivono le stesse difficoltà incontrate dal governo kosovaro. Ci sono anche le istituzioni di Belgrado, che continuano ad esercitare forte influenza nelle zone a maggioranza serba. Le istituzioni che fanno riferimento alla 1244, Unmik e Kfor restano presenti sull’intero territorio del Kosovo ad hanno ancora, a mio giudizio, margini sufficienti per operare in modo efficace.
In questi giorni viene discussa a New York la richiesta di Belgrado di ottenere un parere presso la Corte Internazionale di Giustizia sulla legittimità dell’indipendenza del Kosovo. Questa iniziativa può portare ad effetti sul campo in Kosovo?
E’ un’iniziativa che avrà un impatto sul contesto globale, un impatto che dovrà essere valutato. Potrebbero esserci conseguenze sulla dinamica dei riconoscimenti del Kosovo, e questo potrebbe allungare la fase di transizione che oggi stiamo vivendo.
Resta confuso il rapporto tra l’Unmik la missione europea Eulex. Esiste anche un accordo politico sul passaggio di autorità e di competenze tra le due missioni?
Si tratta di un processo in divenire. C’è il rapporto dello scorso giugno del Segretario generale dell’Onu al Consiglio di sicurezza, nel quale si menziona la disponibilità delle Nazioni Unite a lavorare con Eulex e a trasferire alla missione europea delle competenze nel quadro della 1244. Ai contorni di questo ombrello, per l’aspetto organizzativo e della logistica, si fa riferimento nell’accordo tecnico già firmato a metà agosto. Per quanto riguarda l’aspetto politico, ci sono invece ancora degli elementi che vanno chiariti.
A questo proposito, lei ha dichiarato: "Prevediamo che Eulex venga dispiegata nei prossimi mesi, e che operi sotto autorità dell’Onu, in accordo con la risoluzione 1244". Attraverso quali passaggi ritiene che questa prospettiva possa divenire percorribile?
Questo non dipende da me. E’ una decisione che dovranno prendere i paesi direttamente interessati alla questione. Ci sono dei contatti tra Unione Europea e Serbia. La mia impressione e che dovrebbe esserci un qualche tipo di accettazione da parte del Consiglio di Sicurezza o comunque di presa d’atto del fatto che Eulex opererà sotto l’ombrello delle Nazioni Unite.
Lei ritiene quindi che un passaggio in Consiglio di Sicurezza sia necessario?
Credo che in realtà sia più facile fare riferimento a qualche tipo di presa d’atto in Consiglio di Sicurezza. Questo può avvenire in molti modi diversi, non sta a me definire quali. Ma questa sarebbe probabilmente la via più facile da percorrere.
Nel frattempo è iniziato il processo di riconfigurazione di Unmik. Come procederà, e con quali obiettivi?
La riconfigurazione è divisa in tre fasi. La prima, già in corso, riguarda le modifiche della struttura in relazione alle funzioni di amministrazione diretta che Unmik non è più in grado di svolgere. La seconda fase, una riconfigurazione nel settore della rule of law (polizia, giustizia, dogane), e che sarà la più consistente, è quella che attiene allo spiegamento di Eulex. Se al termine di un periodo di transizione di 120 giorni, che dovrebbe concludersi tra fine novembre inizio dicembre, Eulex avrà luce verde per dispiegarsi sull’intero territorio kosovaro, sotto l’ombrello delle Nazioni Unite, allora queste funzioni potranno essere svolte dalla missione europea. In questo caso, Unmik in quanto tale potrà ridursi in maniera sostanziale, del 70% e forse anche di più. Si procederà quindi alla terza fase che riguarda logistica, amministrazione, servizi, sicurezza eccetera.
Sotto l’Unmik opereranno a questo punto due organizzazioni: da una parte l’Osce, come vero e proprio pillar, un’Osce idealmente ristrutturata anche per svolgere una funzione più operativa sul territorio, e d’altro lato Eulex, che avrà comunque un umbrella arrangement e che si occuperà del settore dello stato di diritto.
Ma questo significa che ci sarà un rapporto gerarchico tra le due missioni? O solo operativo?
Direi essenzialmente un rapporto di tipo politico. Non ci sarà una gerarchia. L’ombrello operativo sarà delle Nazioni Unite, e non necessariamente Unmik. Ci saranno comunque dei raccordi sul terreno molto stretti.
In questi anni la missione Unmik è stata uno dei principali datori di lavoro in Kosovo. Ci sarà qualche forma di "paracadute sociale" per il personale locale che verrà licenziato?
Ne abbiamo parlato con le autorità kosovare, ed io stesso ho sollevato la questione con il primo ministro. Non c’è un vero e proprio meccanismo. Parte del personale viene già riassorbito da altre missioni sul terreno, in particolare da Eulex. C’è quindi un elemento di trasferimento di personale e di capacità da un’operazione all’altra. Quello che ho sottolineato alle autorità locali è che comunque abbiamo del personale altamente professionale, addestrato dall’Unmik, che può tornare di grande utilità alle istituzioni kosovare nel momento in cui queste si stanno dispiegando sul terreno.
Come giudica la situazione nel nord del Kosovo? Sono giustificati i timori di chi parla di zona grigia e fuori dal controllo delle istituzioni internazionali?
Il nord è un’area in cui rimane ancora difficile operare, un’area problematica nella prospettiva di Pristina, ma anche in quella di Belgrado. Questo è uno dei punti del dialogo avviato con la Serbia su cui si sta lavorando, per cercare di riportare la situazione sotto controllo. L’obiettivo primario è ristabilire lo stato di diritto nell’area. Bisogna riaprire la corte di giustizia di Mitrovica, e abbiamo già annunciato iniziative in questo senso. La polizia lì opera in maniera soddisfacente, ma senza una giustizia funzionante questo non è sufficiente. Rimane la questione delle dogane, che è stata molto politicizzata, ma che si spera di poter risolvere nei prossimi mesi, anche perché arrivare ad una soluzione è nell’interesse di tutti.
Lei vede dei passi in avanti nel processo di dialogo?
Ci sono possibilità di progresso. E’ un dialogo non facile, che idealmente dovrebbe essere diretto, tra le due parti. Ci sono però delle difficoltà di tipo politico, per cui le Nazioni Unite in questa fase devono continuare a svolgere un’opera di facilitazione.
Quale atteggiamento ha riscontrato nei suoi interlocutori? Ci sono grosse aspettative nei confronti del nuovo governo di Belgrado…
I cambiamenti non si possono vedere da un giorno all’altro. Con il cambiamento di esecutivo a Belgrado la disponibilità al dialogo è ben diversa rispetto a quella che avevamo riscontrato nel governo precedente, ma sulla sostanza dei temi rimane ancora molto da fare. Occorrerà avere pazienza. Rispetto all’autorità di Pristina, abbiamo avuto un momento difficile nel trovare un punto di equilibrio nei rapporti tra Unmik e governo kosovaro, perché fino all’entrata in vigore della costituzione questo rapporto era di natura molto diversa.
Da quel momento Unmik è diventata un’organizzazione neutrale rispetto allo status e quindi ha preso le distanze dalle due parti: si è posta in posizione centrale, e questa posizione è stata guardata, almeno in un momento iniziale, con un certo sospetto sia da Pristina che da Belgrado. Credo che quella fase sia stata superata, e che entrambe le parti vedano le Nazioni Unite come un interlocutore valido.
I rappresentanti della comunità serba hanno più volte ribadito che non intendono collaborare con Eulex, ma solo con l’Unmik. La missione da lei guidata si sta ritagliando un ruolo particolare nelle aree del Kosovo abitate da popolazione serba?
Noi continuiamo a operare su tutto il territorio del Kosovo, seppure con modalità diverse. Direi che prestiamo particolare attenzione alle zone abitate dalle minoranze, non solo quella serba. Per l’Unmik è più agevole dialogare con le minoranze, ed in particolare con la comunità serba, e quindi continuiamo a mettere questa disponibilità al dialogo a disposizione di tutti, per cercare di risolvere i problemi.
Nel presentare il suo ultimo rapporto, l’ex capo-missione dell’Osce Tim Guldimann ha dichiarato: "Il Kosovo non può essere definito una società multietnica. Questo presuppone integrazione, comprensione, tolleranza e coesistenza, cose che non si vedono oggi in Kosovo". Come giudica questa analisi?
Mi pare che ci siano dei progressi in questo senso. Si tratta di un work in progress. Piuttosto che guardare al passato vorrei pormi come obiettivo quello di una prospettiva positiva di interazione tra le comunità. Nel presente direi che abbiamo una situazione a chiaroscuri. Mi sembra che questa dichiarazione sia un po’ troppo generica, e andrebbe declinata con più precisione. In alcune aree c’è bisogno di progressi, e i rapporti tra le comunità sono difficili. In altre aree, come a Prizren, dove sono stato recentemente, mi pare che ci siano meccanismi di interazione tra comunità che funzionano molto bene.