Di tomba in tomba

Arriva finalmente nelle sale italiane uno dei film più belli degli ultimi anni prodotti nell’ex Jugoslavia. È "Odgrobadogroba – Di tomba in tomba" dello sloveno Jan Cvitkovic. Una nostra intervista con il regista

15/07/2008, Nicola Falcinella -

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Un'immagine del film "Odgrobadogroba"

Vincitore del Film Festival di Torino 2005, e in precedenza a San Sebastian e altri festival tra il 2005 e il 2006, Jan Cvitković ha confermato con "Odgrobadogroba – Di tomba in tomba" di essere uno dei più talentuosi nuovi autori europei. L’atmosfera drammatica, rigorosa fin dal suo bianco e nero, il ritratto senza speranza di una famiglia tra mancanza di lavoro, alcol, solitudine e follia del suo film d’esordio "Kruh in mleko – Pane e latte" (Leone del futuro alla Mostra di Venezia 2001), diventa qui una colorata compresenza di grottesco e di dramma. Ne abbiamo parlato con il regista.

"Odgrobadogroba" è stilisticamente un film del tutto diverso da "Kruh in mleko".

Sarebbe noioso fare film che si assomigliano tutti. Non credo negli stili. Penso che le persone cambino e il modo in cui si esprimono cambi di conseguenza. Credo che il motivo per cui alcune persone tengono uno stile per tutta la vita è che hanno trovato un modo per avere successo. Invece se sei un artista devi cambiare, devi cercare. Io sono cambiato nel periodo tra i due film, è cambiato il mio modo di vedere la vita. Per questo i due film sono molto diversi.

Nei titoli di coda ci sono ringraziamenti a molti scrittori, ma nessun regista.

Ho ringraziato le persone che mi piacciono, quelle cui per qualche motivo mi sento legato, che mi hanno dato qualcosa. Ho messo scrittori come Carver, Salinger, Moravia, Böll, Babel, John Irving e Patrick McCabe, e anche degli artisti, perché non vedo molti film e mi piace più leggere che andare al cinema. Però ho visto il film bosniaco "Kod amidže Idrica – Days and Hours" di Pjer Žalica e mi è piaciuto molto, trovo che sia un capolavoro. Credo che fra quanti fanno cinema ci sia un’alta percentuale di persone noiose. In generale trovo che gli scrittori e gli scultori, gli artisti che lavorano da soli, che stanno a lungo da soli, siano molto più interessanti.

Lei si dedica anche a queste attività?

Scrivo poesie e mi piace lavorare la pietra. Ne ricavo degli oggetti, non posso considerarmi uno scultore. Una volta pensavo di scrivere romanzi, ora preferisco la poesia, la trovo più forte, più immediata, più potente.

Parlando di "Odgrobadogroba", si è fatto riferimento ai film di Kusturica, ma non ci vedo una relazione.

Non credo che ci sia un legame con i suoi film, solo la presenza della band in una scena può far pensare a lui, ma credo che il mio film sia lontano dai suoi. Quando faccio i film non mi faccio molte domande, non sono molto razionale. Le idee mi arrivano dal subconscio, non penso cosa mettere, lascio che le cose arrivino. Se vengono da dentro, dal profondo, sento che sono giuste.

Il padre della famiglia tenta più volte il suicidio e il suicidio è presente in diversi film sloveni.

Dipende dal fatto che la Slovenia ha uno dei tassi di suicidi più alti in Europa. Anche due miei amici si sono suicidati. Sul Carso verso in confine con l’Italia dove vivo accade spesso. Purtroppo è un fatto piuttosto frequente, per questo ritorna spesso nei nostri film.

In "Odgrobadogroba" ha inserito una sequenza di "Maciste".

In origine volevo usare "Ben Hur", ma la Warner Bros non ci ha dato il permesso. Abbiamo cercato un film simile e un amico ha trovato a Udine, fra tanti film italiani, questo. Sono contento di aver trovato Maciste perché mi piace ancora più di "Ben Hur". La cosa curiosa è che la Warner ci ha detto di no perché il nostro film è troppo violento: ma "Ben Hur" lo è dieci volte di più!.

Per la seconda volta recita in un suo film Sonia Savić. Ha scritto il ruolo di Ida, così sensibile e selvaggia insieme, per lei?

No, non ho scritto per lei. Però è come se in qualche modo l’avessi avuta in testa mentre scrivevo. In seguito mi sono accorto che solo Sonia poteva fare quel personaggio. Anche nella vita reale è una donna disconnessa dal mondo, vive in un mondo suo, è insolita. E il personaggio vive in un mondo tutto suo. Nessun’altra attrice poteva rendere così reale e tangibile il distacco e la diversità di quella donna. La prima volta, per "Pane e latte", non sapevo chi chiamare. Poi vidi una sua foto su un giornale, le scrissi una lettera e andai a Belgrado a incontrarla. Non recitava al cinema da quasi dieci anni ma accettò.

In questo film ogni personaggio è ben caratterizzato, anche quelli che appaiono in poche inquadrature funzionano molto bene. Come li ha scelti? Come avete lavorato?

Molti degli interpreti non sono attori. Quando scrivevo aspettavo a lungo che le cose mi venissero alla mente e così anche nella scelta degli attori. Solo a Gregor Baković, che è il protagonista Pero, ho pensato mentre scrivevo, gli altri li ho trovati durante il casting: ho aspettato di trovare le persone giuste e alla fine è andata bene. Con loro ho fatto una lunga e intensa preparazione con loro, avevo solo 35 giorni di riprese e dovevo arrivare pronto. Non abbiamo fatto nessuna vera prova sulla sceneggiatura, ma abbiamo fatto altro, improvvisazioni, esercizi fisici. Abbiamo cercato di creare uno spirito comune del gruppo e quando c’è stato abbiamo cominciato. Credo che un modo per fare un bel film avere uno spirito comune, delle idee comuni tra gli attori e la troupe.

Dove avete girato il film?

Sul Carso sloveno. All’inizio non sapevo dove girare, poi parlando con lo scenografo abbiamo menzionato Komen (Comeno) e il Carso. In quel momento ho avuto quasi un’illuminazione; ho fatto i sopralluoghi e il primo giorno ho trovato quasi tutte le location che cercavo. Erano già posizionate come me le ero immaginate, al punto che quando descrivevo una casa diroccata, un cortile con un grande bidone blu davanti, l’avevo trovato tale e quale.

Una delle scene più belle e che restano più impresse è quando il protagonista Pero e Renata parlano seduti ai tavolini del bar all’aperto.

Sì, in quella scena esce tutta la loro relazione anche se stanno parlano di tutt’altro. Chiacchierano di cose che sembrano non c’entrare nulla con loro, invece esce tutto quello che sono e quello che c’è tra di loro. Il segreto è scegliere attori intelligenti e lavorare molto prima delle riprese, in modo che capiscano e condividano lo spirito del film.

La Slovenia ha un buon gruppo di attori bravi.

Dipende dal buon modo di formazione che si è creato. A cambiare le cose è stata Nataša Burger che ha studiato a Praga e quando è tornata ha portato questo metodo di lavoro. Abbiamo cominciato a utilizzarlo in "U leru – In folle" di Janez Burger che ho scritto e interpretato nel ’99. Da allora è stato usato in parecchie occasioni, non in tutti i film, ma varie volte e dà ottimi risultati.

A proposito di Burger, lavorate insieme da anni, come vi siete conosciuti?

Ci siamo conosciuti nel 1988, io studiavo archeologia, lui economia, nessuno dei due pensava di fare cinema. Siamo diventati amici. Poi Janez è andato a Praga a studiare cinema al Famu. Ora abbiamo una casa di produzione insieme, la Staragara, con la quale abbiamo prodotto "Odgrobadogroba".

Quando ha deciso di fare cinema?

Non l’ho mai deciso. È successo che nel ’98 avevo bisogno di soldi, c’era un concorso per sceneggiature di cortometraggi con un grosso premio in denaro, ho scritto una storia, ho partecipato e ho vinto. E così ho cominciato. Poi ho scritto "U leru" con Janez e sono seguite altre cose.

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