Di che Europa stiamo parlando?
Gresa Hasa spiega perché lei, albanese e attivista del movimento Lëvizja Për Universitetin, si sente europea. Un’Europa che è concetto morale ancor prima che geografico
Mentre l’Unione europea festeggia il 9 maggio, l’Albania – che non è membro Ue ed è in lizza per l’adesione – ha nominato l’intera settimana di quella ricorrenza come "settimana europea".
Quando si tratta dei millennial albanesi, devo ammettere che non c’è mai stata una generazione che si senta più europea di quanto ci sentiamo noi, nonostante si viva tutto il tempo come sulla soglia d’ingresso dell’Europa. La generazione dei nostri genitori ha trascorso la propria giovinezza sotto un regime di t[]e e, dopo il suo crollo, l’Europa è diventata un sogno, irraggiungibile per la maggior parte di loro, ma tuttavia un sogno fondato su un’idea molto semplicistica, innocente e romanticizzata di un luogo dell’abbondanza, del miglioramento di se stessi e di opportunità.
Per quelli di noi nati durante il periodo di transizione e nell’era dell’evoluzione tecnologica, l’ampia esposizione agli stili di vita, politiche e cultura europea, specialmente attraverso internet e i social media, ha modellato un approccio verso l’Europa che è più informato e più critico.
Ciononostante, a me sembra che vi sia l’Europa e poi vi sia l’idea di "Europa": un costrutto sociale, un concetto, un ethos, un obiettivo e una sorta di destinazione morale.
Quindi, quale Europa sta effettivamente catturando l’immaginazione collettiva dei millennial albanesi e sollevando la loro attenzione? Difficile da dire, ma sicuramente non l’Europa dell’etno-nazionalismo, dell’estremismo di estrema destra, del neoliberalismo e ogni altro "ismo" dello spettro politico.
Questa non è di certo il tipo di Europa a cui la maggior parte delle persone della mia generazione pensa quando si concede la speranza di un futuro come cittadini d’Europa. L’Europa che noi immaginiamo è un luogo dove fascismo e nazismo sono relegati al passato, non argomento urgente del presente. L’Europa a cui noi ci rifacciamo e di cui ci sentiamo parte ha un volto umano, dove gli immigrati che cercano salvezza dalla violenza ricevono protezione e non sono lasciati annegare dopo giorni nel mare per raggiungere le coste dell’Europa solo come cadaveri.
Vero è che la "nostra" Europa probabilmente non ha mai caldamente abbracciato – con porte e cuori aperti – quelli che scappano dagli orrori di guerre sanguinolente, dalla povertà miserabile, dall’oppressione e dall’ingiustizia – per la maggior parte conseguenze di scontri tra gli interessi ristretti delle grandi potenze. Ma la narrativa "europea" che ancora rimane radicata, specialmente nei paesi dell’est Europa, è quella di un’Europa di democrazie liberali, di un’Europa delle dichiarazioni dei diritti dell’uomo, un’Europa che sostiene la dignità umana.
Lo scorso 9 maggio, nel Giorno dell’Europa, leggendo in un caffè a Tirana delle attività in tutto il continente che celebrano la pace e l’unità in Europa, mi è venuto in mente che raramente mi capita di mettere in dubbio la mia "europeità", il che potrebbe sembrare strano a un qualsiasi residente formale dell’Unione europea. Strano o no, io mi identifico con le lotte in tutt’Europa della mia generazione, con le loro idee di un mondo nuovo, un mondo dove nella seconda più grande economia del mondo non ci deve essere spazio per povertà e miseria perché al suo interno vi è abbondanza di risorse per tutti noi; dove la giustizia sociale e l’eguaglianza prevalgono; dove l’educazione è accessibile a tutti; dove i lavoratori sono pagati e trattati giustamente; dove proteggere l’ambiente e adottare misure contro la crisi climatica non è un obiettivo negoziabile, dove vivere la tua vita liberamente e senza paura in quanto donna, minoranza LGBT+, persona di colore, credente, o come ateo è dato, perché coesistere in pace con altri che non condividono lo stesso sistema di opinioni non deve poi essere così difficile.
Il concetto di Europa della nostra generazione rifiuta di percepire confini perché noi ci rifiutiamo di vedere muri dove non ce ne dovrebbe essere nessuno, e perché noi prima di tutto crediamo in ponti e solidarietà, non nella divisione.
Io sono "europea" nel senso che le lotte quotidiane e le sfide che io affronto nel piccolo paese che è lo stato che include all’interno dei suoi confini amministrativi il luogo geografico dove sono nata, sono le stesse lotte e sfide affrontate dalla maggior parte delle persone della mia età, che posseggano un passaporto europeo o no.
Allargando il centro dell’attenzione, realizzo che anche il paese da cui provengo affronta gli stessi problemi, ed è soggetto alle stesse sfide cui fanno fronte tutti i paesi UE, specialmente se uno guarda alla causa fondante della crisi piuttosto che ai suoi sintomi.
Le nozioni di "solidarietà" e "comunità" sembrano esistere solo in via teorica in Europa, mentre ciò che sembra pulsare è un senso di alienazione e isolamento. È più facile vedere l’altro come estraneo ostile anziché come amico, quando sei portato a credere che gli immigrati stanno rubando il tuo futuro, il prodotto del tuo lavoro e i tuoi benefici.
Questo trasforma le persone in isole solitarie che fluttuano attorno agli altri ma non comunicano tra loro, bramose di galvanizzarsi per il primo ideologo amorale.
Il neoliberalismo da una parte, e le politiche xenofobe della destra estrema dall’altra, sembrano essere i due lati della stessa medaglia nel panorama politico europeo: sono entrambe risposte estreme alle misure di austerità, alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e alla crisi dei rifugiati.
Il contrappeso a tutto ciò, naturalmente, è lo sviluppo di un ampio fronte progressista: una promettente generazione di giovani che sia altamente attiva, che si mobiliti per fermare la xenofobia e i discorsi di estrema destra e che ripristini i valori fondanti dell’Europa come l’umanità, le eque opportunità, la solidarietà e il progresso.
In questo senso mi sento molto vicina ai miei "fratelli d’arme" in Europa e alle loro lotte, agli attivisti come Greta Thunberg o agli studenti in Inghilterra o altrove che si battono per politiche d’istruzione migliori, generando quindi una rinascita dei valori democratici. Io mi identifico con i miei colleghi europei – lavoratori senza confini – che si organizzano per chiedere condizioni di lavoro migliori e salari che permettano la dignità nel posto di lavoro; mi identifico con le persone di tutte le generazioni che si uniscono in solidarietà, resistendo al fascismo e alla radicalizzazione violenta per un futuro più prospero che appartenga a tutti noi. Lontana dall’essere un’ancora di stabilità, l’Europa che immaginiamo non si è pienamente materializzata, quindi non dovremmo mai cessare di lottare per quell’ideale.
Questo è il motivo per cui, forse, ogni volta che sono nelle strade dell’Albania a protestare per un’istruzione pubblica libera e migliore, o a cercare di rendere il governo responsabile per i diritti e la sicurezza dei lavoratori, mi sento parte della stessa famiglia europea che vede il cambiamento precisamente in questo tipo di impegni. Io credo che sia importante per la mia generazione – sia per quelli di noi che possono permettersi l’ultimo iphone sia per quelli che non possono – fare ogni sforzo per impegnarsi politicamente per migliorare la qualità della vita localmente, quindi consentendo il miglioramento delle nostre vite su scala più grande.
Intervista
Un fiume di vitalità per la società e il futuro dell’Albania. Un’intervista a Gresa Hasa, attivista del movimento studentesco che sta mettendo in difficoltà il governo albanese
Dossier
Tra il 23 ed il 26 maggio 2019 nei 28 paesi dell’Unione europea si terranno le votazioni per l’elezione del Parlamento europeo. Un appuntamento importante che in questo dossier guardiamo dal punto vista dell’est Europa e con una particolare attenzione ai dati, grazie al nostro progetto di datajournalism EDJNet