Denizli: il gallo e altri canti

Tra leggende avicole, feste nazionali e rock sotto i minareti: un viaggio a Denizli nel cuore della Turchia, dove storia e modernità si intrecciano sotto lo sguardo fiero del gallo frigio

18/07/2025, Fabrizio Polacco -

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Denizli, il monumento al gallo, simbolo della città - © Shutterstock

Non ho grande familiarità coi pennuti da cortile, e quindi non sarei in grado di confermare quanto tutti qui danno per scontato: “Il canto del gallo di Denizli è quello che si ode da più lontano al mondo”. Posso però dire per prova diretta che quantomeno è meglio non indispettirli, i galli di questa parte dell’Anatolia che in tempi antichi fu la Frigia meridionale – la terra di re Mida, del nodo di Gordio e del berretto frigio, da secoli simbolo di rivoluzioni e di libertà.

Alcuni anni addietro, quando sono stato preso di mira da un gallo locale, mi trovavo appena fuori dai confini della regione; ma non si è trattato ugualmente di un confronto piacevole. Solo la provvidenziale e brusca chiusura di una porta di legno in faccia all’aggressore ha messo un freno a becco e artigli, pronti ad avventarsi sull’intruso italico.

Denizli, il monumento al gallo – Foto di F. Polacco

Comunque, vero o non vero che sia il primato, è certo che il fiero pennuto è il simbolo della città: una sua statua in vetro multicolore svetta infatti nel bel mezzo di Delikli Cınar, piazza principale della zona moderna.

Oggi ovviamente il rumore del traffico e il canto modulato e amplificato dagli altoparlanti del muezzin, che dalla moschea grande della piazza scandisce il tempo della preghiera islamica, sovrasterebbero qualsiasi ‘chicchirchì’ del gallo frigio. E tuttavia è da lì, sotto quel rilucente uccello dalle dimensioni ben più grandi che in natura (dove, dicono, vanta anche la cresta più imponente tra i suoi simili del pianeta), che ho visto svolgersi gli eventi pubblici di una delle settimane festive di rilievo della Turchia.

È quella in cui cadono due ricorrenze, il 15 e il 19 maggio, entrambe molto sentite; e che lo Stato, così come ogni amministrazione locale, si impegna a celebrare in vari modi. La seconda, soprattutto, è una vera e propria festa nazionale: gli uffici non aprono, così come le scuole, anche perché ad essere mobilitati per parteciparvi sono soprattutto i giovanissimi.

I giovani di Denizli sfilano per la festa del 19 maggio – Foto di F. Polacco

Mi pare di percepire anche adesso l’insolito silenzio di quella mattina luminosa del 19, quando, sceso dalla mia camera, ho capito che i grandi viali confluenti nella piazza erano stati chiusi al traffico per l’allestimento di una parata.

Ed eccoli, infatti, un migliaio di adolescenti, ragazze e ragazzi, vestiti di maglietta rossa o bianca (i colori della bandiera turca), radunarsi in modo ancora confuso, eccitati nel prendere ordine nei vari settori del corteo; e farsi poi subito composti, pronti a partire verso il luogo del raduno centrale, quello in cui si svolgerà la celebrazione: con inni, canti, discorsi ufficiali; ma anche con tornei e saggi atletici. Siamo infatti nel giorno della ‘Commemorazione di Atatürk e Festa della Gioventù e dello Sport’.

Non è una data irrilevante: il 19 maggio del 1919 colui che sarebbe diventato il padre della Turchia moderna (ma allora si chiamava ancora solo Mustafa Kemal) sbarcava a Samsun, sul mar Nero, allontanandosi da una Istanbul occupata dagli alleati al termine della Grande Guerra.

Dava avvio alla rivolta contro il sultanato, declinante e arrendevole sul tavolo della pace, e nello stesso tempo alla ‘Guerra d’Indipendenza’, o di ‘Liberazione’ nazionale. Gli storici di altri paesi la chiamano guerra ‘greco-turca’, perché quelli ne furono i contendenti principali; ma in realtà fu combattuta anche contro altri eserciti dei vincitori, come i francesi in Siria, oltre che per il mantenimento delle province più orientali dell’Anatolia.

Comunque, dal punto di vista turco il conflitto salvò il Paese da uno smembramento territoriale che, dopo la perdita di tutti i possedimenti dell’impero ottomano, lo avrebbe ridotto ad uno staterello con pochi sbocchi sul mare. E siccome il 19 maggio era anche il giorno del compleanno di Atatürk, egli dichiarò solennemente che era questo del 1919 il vero giorno di nascita, o rinascita: sua, e dell’intero Paese.

Il legame tra il mese di maggio, i giovani e lo sport, è d’altra parte una costante: in una ideologia nazionalista i giovani sono promessa del futuro della patria, si aprono alla vita come fa la natura al culmine della primavera; e lo sport è sinonimo di salute, di forza ed eccellenza fisica: oltre ad essere in qualche modo propedeutico all’esercizio militare.

Denizli, concerto rock alla vigilia della Festa della Gioventù e dello Sport – Foto di F. Polacco

Ma la Turchia è un Paese poliedrico, dalle molte anime: perciò non mi ero stupito quando, la sera prima della parata e sulla medesima piazza, uno scatenato concerto rock, sempre parte del programma festivo, aveva raccolto quegli stessi giovani, oltre a una gran quantità di loro genitori e di figli ancor più piccoli.

Era una folla non diversa da quella che avremmo visto in una manifestazione simile qui in Europa occidentale: nessuna traccia di velo in capo alle ragazze e donne presenti, tripudio di cellulari branditi e lampeggianti a ritmo di musica, fumogeni colorati, casse acustiche spaccatimpani. Sola differenza? A un certo punto, immancabile, la voce del muezzin prima sembra schiarirsi la gola, poi si leva dominante, a sera ormai inoltrata, per richiamare gli astanti ai doveri della fede.

Subito la musica si azzera: sulla piazza scende un rispettoso, trattenuto silenzio attorno al solenne richiamo del minareto. Però, a me che l’avevo sentita per giorni, stavolta quella modulazione (che è in diretta, non registrata) pare sforzata, come incrinata: forse per un intimo rincrescimento, per una sottintesa ammonizione a quella massa disinibita e magari troppo laica. Ma poi, appena l’appello finisce, la baraonda e l’entusiasmo collettivi riprendono come nulla fosse, esattamente là dove erano temporaneamente cessati.

La stanza da letto di Atatürk a Denizli – Foto di F. Polacco

Anche qui a Denizli, comunque, Atatürk si recò in visita, come del resto fece durante il suo governo in quasi tutte le città grandi e piccole dei questo immenso Paese. Tanto è vero che in ognuna di esse sorge una ‘Casa di Atatürk’, vale a dire la trasformazione in museo dell’edificio dove ‘il Padre dei Turchi’ ha risieduto. Nonostante non me la aspetti diversa da quelle già viste nei viaggi precedenti, mi reco a visitarla, perché in fondo è l’unico edificio che porti il nome di museo negli opuscoli e nella piantina che mi hanno donato al Municipio.

Ma anche qui la regola del pazientare e scavare in profondità, in attesa di scoprire qualcosa di nuovo in una provincia di cui so ben poco, si rivela efficace. La gentile dottoranda che mi accoglie e che custodisce la Casa (e ammette che sì, in fondo Atatürk ha trascorso in quella camera giusto una notte…) mi informa che lì nei pressi è stato inaugurato appena un anno prima il Museo della Città, che per questo non è ancora segnalato nelle guide.

In quelle sale, finalmente, grazie a un’esemplare e sistematica esposizione del suo passato, il vero volto di Denizli mi si svelerà. Compreso il mistero di quel gallo che domina dall’alto la vita quotidiana col suo canto formidabile: magari non più forte, ma certo più disteso nei millenni dei concerti rock, degli appelli del muezzin.