Democrazia post-conflitto

Il difficile percorso della democrazia in Karabakh è ostacolato dalla posizione controproducente della comunità internazionale e dalla paura di un nuovo conflitto. Ma sembra stia per iniziare una nuova fase di dibattito politico

21/04/2009, Gegam Bagdasaryan - Stepanakert

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Murales a Stepanakert- foto di Devin Murphy

Il movimento politico che ha avuto inizio in Karabakh nel 1988 non era solo volto a sostenere idee di tipo nazional-indipendentista, ma anche riforme democratiche. Quelle del 1988 sono state tra le prime manifestazioni di questo tipo ad avere luogo in Unione Sovietica. In alcuni momenti, la voce del popolo sembrava dovesse proprio essere ascoltata dalle autorità, anche perché la folla applaudiva o fischiava con disapprovazione gli interventi dei deputati mentre parlavano alle sedute del parlamento locale. Dopo 70 anni di totalitarismo questa apertura era semplicemente inimmaginabile e suscitava entusiasmo da parte della gente.

La guerra che ha avuto luogo negli anni seguenti (1992-1994) ha spinto in secondo piano il processo di democratizzazione. Negli anni del conflitto armato, l’élite militare aveva concentrato il potere nelle proprie mani, e la stampa e la televisione, trovandosi sotto il completo controllo delle autorità, erano parte attiva di una macchina propagandistica che non accettava critiche. Sono serviti anni affinché si ritornasse a pensare in termini di vita pacifica. Vigeva inoltre la legge sullo "stato di guerra"; questa stessa legge è tutt’ora in vigore, ma le parti riguardanti limitazioni delle manifestazioni e attività dei media oggi sono state sospese.

La situazione post-conflitto, quando non c’è più la guerra ma non si vive ancora la pace, non è certo la base migliore per lo sviluppo della democrazia. Vi sono due fattori che in modo particolare rendono più complessa la strada della democratizzazione: la sensazione di minaccia esterna, rafforzata dalla retorica aggressiva del governo azero, e la posizione poco costruttiva della comunità internazionale.

Temendo la minaccia esterna, anche se non esiste formalmente censura, si rende più forte il fenomeno dell’auto-censura, non solo tra i giornalisti, ma anche tra i cittadini comuni. Gli interessi nazionali vanno prima di tutto. Purtroppo, spesso amministratori e politici sfruttano il tema degli interessi nazionali per nascondere il loro cattivo lavoro. La critica a singoli politici viene frequentemente interpretata come critica alle istituzioni del Karabakh nel suo complesso. Ed espressioni quali "le discussioni devono rimanere in casa" e "non bisogna dare acqua al mulino del nemico" sono costantemente utilizzate dalle autorità.

A questo riguardo, è interessante il dibattito che si è avuto recentemente tra due giornali del Karabakh, uno governativo e l’altro di opposizione. Sulla prima pagina del giornale governativo si leggeva a grandi lettere: "Se mi viene chiesto di mettere sui piatti di una bilancia da un parte la democrazia, dall’altra la sicurezza del paese, io scelgo quest’ultima!". Il giornale di opposizione ha citato questa frase, accostandovi la nota massima di Benjamin Franklin "Colui che è pronto a cedere la libertà per la sicurezza, non si merita né l’una né l’altra."

Il comportamento della comunità internazionale è controproducente per una serie di motivi. Prima di ogni elezione in Karabakh, organizzazioni internazionali quali il Consiglio d’Europa raccomandano che le elezioni non si tengano affatto. Questa situazione sembra assurda, perché i diritti umani sono universali e non dipendono dal luogo in cui una persona vive o dalla struttura statuale della regione in cui si trova.

La situazione diventa addirittura comica se si considera un altro elemento. Le strutture internazionali si rifiutano categoricamente di avere contatti con le autorità del Nagorno Karabakh, temendo che qualsiasi contatto possa essere interpretato come una forma di riconoscimento. In pratica però, chiedendo che non si svolgano elezioni, sostengono de facto l’attuale gruppo al governo.

La democrazia in Karabakh si trova a sopravvivere in queste condizioni. "Sopravvive", benché in passato è sembrato che vi potesse essere un nuovo slancio democratico come quello del 1988. Il leader del partito "Movimento-88", Eduard Agabekian, ha vinto nel 2004 le elezioni a sindaco di Stepanakert, capitale del Nagorno Karabakh. Lo stesso fatto che si sia eletto il sindaco della capitale è di per sé notevole, visto che in tutti i paesi del Caucaso meridionale il sindaco della capitale viene nominato, e non eletto (il sindaco della capitale armena Yerevan verrà eletto per la prima volta il prossimo maggio). Le elezioni municipali di Stepanakert sono state una sorpresa spiacevole per l’attuale gruppo al governo in Karabakh, anche perché hanno sottovalutato il sostegno dell’opposizione e non si sono preparati efficacemente a queste elezioni.

Le autorità si sono invece preparate molto attentamente alle elezioni parlamentari (le quarte dalla dichiarazione di indipendenza del Karabakh) dell’anno successivo, il 2005. Nel 2005 l’opposizione ha subito una sonora sconfitta: il blocco pre-elettorale "Dashnaktsutiun- Movimento-88" ha ottenuto solo 3 posti su 33 complessivi al parlamento. Il partito al governo ("Partito democratico dell’Artsakh") ha ottenuto 16 mandati, il partito pro-governativo "Patria libera" è arrivato secondo con 12 mandati. Nonostante giudizi piuttosto severi da parte dell’opposizione locale, la maggior parte degli osservatori stranieri presenti (circa 130), hanno giudicato positivamente le elezioni, considerandole "migliori" rispetto ad analoghe elezioni in Armenia o in Azerbaijan.

In vista delle elezioni presidenziali dell’estate del 2007, l’opposizione del Karabakh, molto indebolita, non ha trovato altra soluzione se non sostenere il candidato proposto dai partiti al governo. La campagna elettorale è stata condotta sotto il segno dell’unità nazionale. Trovandosi in disaccordo con lo stato delle cose, il vice-ministro degli esteri Masis Mailian, si è candidato, proponendo un programma riformatore: "Io sono un riformatore, non un membro dell’opposizione, ma la società ha bisogno di cambiamenti" – dichiarò allora Mailian – "Non rinnego ciò che abbiamo ottenuto fino ad ora, ma vedo un pericolo di stagnazione".

In conclusione, il candidato governativo Bako Saakian ha vinto con grande distacco. A queste elezioni hanno partecipato oltre 100 osservatori provenienti da Stati Uniti, Germania, Italia, Francia, Russia, Ucraina nonché da Abkhazia, Ossezia del Sud e Transdniestr, ed hanno dato un giudizio complessivamente positivo al processo elettorale, nonostante alcuni abbiano sottolineato l’anomalia di un unico candidato sostenuto da tutti i partiti rappresentati in parlamento.

In un modo o nell’altro, nella società del Nagorno Karabakh si è formata una tendenza ad avere una società monopolare dal punto di vista politico, e anche per questo l’uscita di 5 parlamentari dal gruppo di maggioranza in parlamento avvenuta lo scorso febbraio è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Il partito "Patria Libera" è quindi diventato il primo partito in parlamento.

Questo sembra essere solo un primo passo verso una nuova fase di rinnovato dibattito politico. In occasione delle recenti elezioni del sindaco della città di Sushi, tenutesi lo scorso 29 marzo, si è avuto uno scontro molto intenso tra due candidati pro-governativi, tanto che la vittoria finale è stata decisa con tre soli voti di scarto.

Anche la nota organizzazione Freedom House nella sua classifica annuale riguardo a diritti civili e libertà ha dato al Nagorno Karabakh una valutazione migliore rispetto all’Azerbaijan. Il paragone costante con Armenia ed Azerbaijan, a cui si fa spesso riferimento in Karabakh, comincia a non fare più lo stesso effetto. Si inizia a pensare che sia necessario cominciare ad avere come termine di paragone altri stati.

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