Democratizzazione in Turchia: il passettino
Presentato lunedì 30 settembre dal premier turco Tayyip Erdoğan l’atteso "pacchetto di democratizzazione", relativo ad un ampio spettro di riforme. Nonostante i passi in avanti, in molti, soprattutto tra le minoranze etniche e religiose, non hanno nascosto la propria delusione
Gli undici anni di governo del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) sono segnati da una lunga serie di pacchetti di riforme. L’ultimo, il “pacchetto di democratizzazione”, illustrato lunedì 30 settembre dal premier Tayyip Erdoğan, arriva giusto in tempo per mitigare la crisi del processo di pace avviato con il leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) Abdullah Öcalan e consolidare il proprio elettorato conservatore in vista delle elezioni amministrative e presidenziali previste nel 2014 .
Ci si aspettava di più
Il pacchetto resta però ancora una volta lontano dal soddisfare le minoranze etniche e religiose della Turchia che dalle misure annunciate si aspettavano molto di più.
Rivolgendosi all’opinione pubblica turca e internazionale (il discorso è stato tradotto in simultanea in inglese e in arabo) il premier Erdoğan ha reso note le nuove riforme mirate anche a rilanciare la propria immagine improntata, dopo i fatti del Parco Gezi, da un crescente autoritarismo.
Richieste specifiche dei curdi del Partito della pace e democrazia (BDP) riguardo alle modifiche da apportare al codice penale turco e all’abolizione della legge per la lotta contro il t[]ismo, per la quale si trovano in carcere migliaia di attivisti politici curdi, non hanno trovato alcuno spazio nel pacchetto. Non è stata accolta nemmeno la richiesta dei curdi di ricevere l’istruzione scolastica in madrelingua, resa libera solo nelle scuole private.
Un passo importante riguarda invece la depenalizazione dell’utilizzo delle lettere Q, W e X, presenti nell’alfabeto curdo. Non sarà più reato nemmeno l’impiego delle lingue e dei dialetti diversi dal turco per tenere comizi politici e fare attività propagandistica. Previa autorizzazione del ministero dell’Interno diventerà anche possibile ripristinare la toponomastica storica (curda, armena o altro) dei villaggi, mentre verranno prese in considerazione anche le proposte di modifica riguardanti le province e i capoluoghi.
Infine, i bambini delle scuole elementari non dovranno più ripetere in coro il “giuramento” (and) nazionale del mattino che inizia recitando: “Sono turco, sono giusto…” e termina con “Felice chi dice di essere turco”. Un rito dal quale i ragazzi delle medie erano già stati dispensati l’anno scorso e la cui abolizione non ha mancato di raccogliere le reazioni indignate dei settori kemalisti della società.
Soglie di sbarramento
Un’altra novità è la riduzione della percentuale dal 7 al 3% del consenso che devono ottenere i partiti per avere diritto al finanziamento pubblico. Diventerà inoltre più facile iscriversi alle formazioni politiche, mentre, sempre sul campo delle libertà, verrà abolito il divieto di portare il velo per le lavoratrici del settore pubblico, una misura che in passato ha penalizzato molte donne limitandone le possibilità di impiego. Restano ad ogni modo escluse dall’applicazione della nuova misura le forze dell’ordine, le forze armate e la magistratura.
La grande attesa riguardo ad un’eventuale abbassamento della soglia di sbarramento elettorale resta per il momento solo un’ipotesi. Erdoğan ha annunciato tre possibili “alternative” per lo sbarramento del 10%, una delle più alte al mondo, introdotta dalla giunta militare dopo il golpe del 1980 e rimasta da allora in vigore. La prima possibilità esposta dal premier sarebbe quella di mantenerla così com’è. La seconda opzione prevederebbe di abbassare la soglia al 5% modificando la ripartizione delle circoscrizioni, la terza di eliminarla completamente, introducendo un sistema uninominale secco.
Nelle regioni curde del paese, le ultime due formule permetterebbero al BDP di entrare nell’Assemblea nazionale senza doversi presentare alle elezioni con candidati indipendenti, ed essere costretti a formare un gruppo parlamentare in un secondo momento. Sarebbero tuttavia fortemente penalizzanti per tutte le forze politiche minori, poiché favorirebbero solo i candidati dei partiti più forti. Una soluzione che, oltretutto, andrebbe nella direzione del sistema bipolare voluto dal premier Erdoğan. Secco il commento di Gültan Kışanak, co-leader del BDP: “Non è un pacchetto che risponde alle esigenze di democratizzazione della Turchia”.
Minoranze
Il seminario greco-ortodosso Halki, sull’apertura del quale nei mesi scorsi erano sorte forti speranze, non è stato incluso nel pacchetto, così come sono rimaste ancora una volta inascoltate le richieste avanzate dagli aleviti. Nessuno status legale alle cemevi, loro luogo di culto; invariato l’obbligo dell’ora di religione (di fatto islam sunnita) nelle scuole. Il vicepremier Bekir Bozdağ ha tuttavia annunciato che “i lavori sull’apertura alevita procedono e verranno comunicati all’opinione pubblica in un secondo momento”. Intervistato dalla BBC Türkçe, Selahattin Özel, presidente della Federazione alevita-bektashi, ha detto che l’atteggiamento del premier nei confronti degli aleviti “è nota e continua a mantenere la stessa coerenza, ma la democrazia serve alla Turchia più che agli aleviti”.
Il premier ha affermato che verrà fondato un Istituto universitario di lingua e cultura rom, un’altra minoranza che nelle ultime settimane è tornata al centro di attacchi fisici e verbali, anche da parte di cariche istituzionali. Secondo quanto annunciato da Erdoğan, nel prossimo periodo il governo inizierà a condurre “una lotta più attiva contro reati che abbiano come movente l’odio”. “In Turchia nessuno può essere discriminato a causa della propria lingua, etnia, colore, fede o perché professa la propria fede”, ha detto il premier, aggiungendo che verranno previste “pene da uno a tre anni di carcere per chi interferisce nelle scelte riguardanti le convinzioni, il modo di credere e di pensare delle persone”.
Gli esperti ricordano però che in Turchia non esiste un’apposita legge contro i “reati d’odio” e il pacchetto non sembra fare cenno ad una sua eventuale introduzione. Il giornalista İsmail Saymaz, citando il processo che ha portato recentemente al pianista Fazıl Say una condanna di 10 mesi per aver inviato dei tweet blasfemi, ricorda che “le regolamentazioni che verranno fatte per definire ‘i discorsi d’odio’ potrebbero anche facilmente ritorcersi contro chi si esprime contro l’islam”.
Reazioni
Positive le prime reazioni al pacchetto da Bruxelles. Peter Strano, portavoce del commissario europeo all’allargamento Štefan Füle, ha affermato che la Commissione europea si aspetta "progressi" in Turchia dal pacchetto di riforme di "democratizzazione", assieme "all’inclusione dell’opposizione" nel processo e seguirà la "traduzione delle proposte in legge e azioni".
Per il Mithat Sancar, docente di giurisprudenza all’Università di Ankara e opinionista del quotidiano Taraf, il pacchetto è invece un’occasione per “mettere in campo le dinamiche della politica democratica e spingere ancor di più in quella direzione. La democratizzazione non è qualcosa da poter affidare ai governi. Ci sono modifiche che in undici anni di governo l’AKP avrebbe potuto fare senza alcuna difficoltà, ma le ha realizzate solo quando la spinta della società civile era abbastanza forte. L’AKP e il premier nel realizzare le riforme si muovono in senso unilaterale, tenendo tutto sotto controllo. Lo stile e il metodo che adottano non sono democratici. E’ per questo che bisogna protestare e insistere affinché tutto il processo diventi più democratico”.
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