Dall’America all’Armenia, tappa nella Napoli del dopoguerra

Napoli, 1949. Un gruppo di 162 armeni-americani in viaggio da New York verso l’Armenia fa scalo nel porto partenopeo. Donne e uomini che presto si troveranno a vivere nell’URSS di Stalin sono sbalorditi dalla miseria che vedono nell’Italia postbellica

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Passeggeri rimpatrianti durante un'esercitazione di sicurezza sulla Sobieski nel 1949. Immagine di Crosby Phillian.

Il 21 gennaio 1949, 25 anni dopo la morte di Lenin, il transatlantico polacco Sobieski salpò da New York verso Napoli. Consegnati i documenti americani, i rimpatriati salparono da cittadini sovietici verso l’Armenia. La nave avrebbe seguito lo stesso percorso della Rossija, la nave tedesca confiscata dai russi che aveva portato il primo gruppo di armeno-americani a Batumi nell’autunno del 1947. Nonostante gli sforzi da parte dei membri della prima carovana di avvertire famiglia e amici di quanto li aspettava, altri 162 dei poco più di 300 rimpatriati lasciarono l’America per l’Armenia sovietica dopo la seconda guerra mondiale.

I 162 dovevano originariamente salpare alla fine del 1948 sulla Pobeda, la nave che fu fondamentale per il rimpatrio degli armeni da Francia, Libano, Egitto, Palestina e Iraq1.

Tuttavia, nel settembre 1948, la nave fu danneggiata da un incendio di origine sconosciuta. In un processo a porte chiuse, capitano, telegrafista e spedizioniere furono riconosciuti colpevoli di negligenza grave. Due settimane dopo l’evento, il leader sovietico Stalin riversò astiosamente la colpa sugli americani, portando alla cancellazione “completa e immediata”2

di ulteriori rimpatri degli armeni della diaspora. Per un’eccezione fatta meno di un mese dopo, i 162 divennero l’ultimo gruppo a rimpatriare3.

La galleria fotografica 

Cartoline, cene, foto di gruppo. Il viaggio di rimpatrianti armeni-americani a bordo della Sobieski nel 1949. Una galleria fotografica. Immagini concesse da Crosby Phillian.

Quando altri passeggeri della nave sbarcarono in momenti diversi nei tre porti di scalo prima di Napoli, i 162 armeno-americani rimasero a bordo. Nel suo memoriale4,

Sonia Meghreblian ricorda una breve sosta a Gibilterra, dove diversi venditori salirono a bordo della nave per vendere souvenir. Lo scalo successivo fu in Francia, a Cannes, dove ad un passeggero fu permesso di andare a terra su una piccola barca. Dopo un paio d’ore a Cannes, la nave si diresse verso Genova, dove di nuovo i i rimpatriati rimasero a bordo, mentre gli altri passeggeri lasciavano la nave. L’ultima tappa fu a Napoli.

Una sosta prolungata a Napoli

Fu al porto di Napoli che i rimpatriati intuirono che la parte avventurosa del viaggio era finita e iniziarono a sentire le prime inquietudini rispetto alla loro destinazione finale. In gran parte ignari degli effetti devastanti della seconda guerra mondiale in Europa, si sarebbero presto trovati di fronte a situazioni di estrema povertà. L’arrivo a Napoli mise in risalto il contrasto tra la prospera realtà vissuta in America e la distruzione del secondo dopoguerra in Europa. Mentre gli altri passeggeri sbarcavano, gli armeno-americani rimasero sulla Sobieski, in attesa di maggiori informazioni sul cambio di nave.

Il piano approssimativo era portare i 162 rimpatriati a Napoli a bordo della Sobieski, per poi trasferirli sull’Ardeal, una nave da carico rumena. Il trasferimento dei passeggeri non andò però come previsto, perché l’Ardeal non era entrata nel porto di Napoli come pianificato. Il motivo non è chiaro, ma a quanto pare quando sovietici e romeni vennero a conoscenza della presenza della Marina degli Stati Uniti nel porto di Napoli, la nave rimase in mare per evitare un incidente internazionale. Una vicenda di imbarazzo politico lasciò i rimpatrianti senza una soluzione logistica per proseguire il loro viaggio.

L’assenza di documenti ufficiali per mettere piede sul suolo italiano rendeva la situazione molto precaria, e ulteriormente complicata dalla presenza della Sesta Flotta della Marina degli Stati Uniti nel porto di Napoli. Alla fine della seconda guerra mondiale, l’Italia si trovava in uno stato di devastazione economica. Il Trattato di Pace con l’Italia nel 1947 aveva compromesso la posizione internazionale del paese: le clausole di disarmo e le riparazioni imposte verso vari paesi, tra cui l’Unione Sovietica, avevano creato scompiglio economico e politico5.

Secondo Crosby Phillian, quindicenne di New York diretto in Armenia con la famiglia, tra le navi da guerra nel porto di Napoli c’era la portaerei statunitense USS Philippine Sea e alla flotta era stato concesso il congedo a terra: moltissimi marinai facevano la spola fra nave e terraferma.6

Da James Dean a Stalin: la tragedia del rimpatrio armeno 

Hazel Antaramian Hofman ha raccontato la storia del rimpatrio armeno e il suo progetto sulle tracce di chi, da tutto il mondo, dopo la Seconda guerra mondiale decise di migrare in Armenia in un articolo corredato da fotografie pubblicato qualche mese fa sul sito di Osservatorio: Da James Dean a Stalin: la tragedia del rimpatrio armeno

Dopo alcuni giorni, i sovietici decisero di permettere ai rimpatriati di scendere dalla nave nell’attesa di sviluppi. Prima di salire sui bus per l’Hotel Grilli, ai rimpatriati fu concesso una passeggiata militarizzata in attesa del trasferimento. Camminarono in fila indiana, scortati da un funzionario sovietico e da uno italiano.7

A Napoli i rimpatriati assisterono a situazioni di estrema povertà. Meghreblian, allora diciannovenne, prese atto della devastazione causata dalla guerra. Videro gli abitanti del luogo vivere in edifici sventrati dalle bombe.8

Phillian assistette ad un emblematico episodio sul molo:

Durante uno scarico si ruppe un sacco: era zucchero! Sciami di persone uscirono da non so dove, raccoglievano lo zucchero a mani nude e lo mettevano in borse. Una cosa mai vista, impressionante. Chi potrebbe raccogliere zucchero versato a mani nude negli Stati Uniti? Non era nemmeno concepibile.9

All’insaputa dei rimpatriati, questo episodio prefigurava la situazione che li attendeva nell’Armenia sovietica. Deran Tashjian, un altro adolescente partito da Watertown, Massachusetts, ricorda che dopo aver conosciuto la povertà a Napoli alcuni cominciarono a nutrire dubbi sulla propria futura situazione.10

I 162 rimasero in hotel a Napoli per quasi una settimana. Phillian racconta che ad ogni ingresso c’era "un soldato armato di guardia". Gli "ospiti prigionieri" ingannavano il tempo leggendo, parlando e giocando a poker. Presso l’hotel c’era un barbiere, quindi alcuni uomini colsero l’occasione per farsi tagliare i capelli. Phillian notò come l’uomo, con solo un paio di forbici e un pettine, lavorava "come un artista…per soli 50 centesimi", un affare per gli americani.

Quando giunse voce che la Sesta Flotta aveva lasciato Napoli, la Ardeal si spinse in porto per recuperare i rimpatriati che, di nuovo scortati militarmente, furono trasportati dall’hotel al porto e contati, per assicurarsi che tutti coloro inizialmente sbarcati dalla Sobieski fossero saliti sull’Ardeal. Le due navi erano diverse come il giorno e la notte: i rimpatriati, giunti a Napoli su una confortevole nave passeggeri, lasciarono l’Italia su una "nave da carico tozza e brutta, senza alloggi per tutti quelli che sarebbero saliti a bordo."11

Con le poche cabine assegnate a donne, bambini e anziani, il ponte veniva convertito in un’ampia zona notte per gli uomini. Dopo aver lasciato Napoli, la Ardeal oltrepassò la Sicilia, costeggiò le isole greche e si diresse verso la Romania. Mentre attraversavano i Dardanelli per entrare nel Mar Nero verso Batumi, i rimpatriati si trovarono di fronte dei turchi sulle barche a remi. Volarono insulti fra gli armeno-americani e i turchi, che fecero segno di "di tagliare la gola."12

A posteriori, Phillian non sa se questo gesto avesse più a che fare con l’animosità tra i due popoli o con la situazione che li attendeva nell’Armenia sovietica.

Attraverso il Mar Nero

Infine l’Ardeal attraccò a Costanza, sulla costa romena del Mar Nero, fiorente porto commerciale tra l’Impero bizantino e i porti italiani nel corso dei secoli X e XI. Diversi funzionari salirono a bordo, ma solo ai marinai romeni fu permesso di scendere a terra. Phillian racconta un episodio interessante avvenuto fra un armeno-americano e un marinaio romeno-armeno. Il marinaio parlava armeno e fu avvicinato da uno dei rimpatriati con la richiesta di consegnare una lettera indirizzata negli Stati Uniti. Poiché la Romania era sotto il giogo politico dell’Unione Sovietica, il marinaio temeva le perquisizioni di routine dei funzionari comunisti e, cautamente, rifiutò di consegnare la lettera13.

Questa fu probabilmente una mossa saggia anche per la sicurezza dei rimpatriati: non era raro per gli armeno-americani essere sospettati di spionaggio, una preoccupazione reale per molti una volta giunti in terra sovietica. Molti furono interrogati e torturati dal KGB.

Dalla Romania, la nave giunse alla sua destinazione finale a Batumi, un porto sovietico in Georgia, dove ad attendere i rimpatriati vi era una delegazione e i famigliari tornati nel 1947, tra molte fanfare e discorsi propagandistici. I 162 rimpatriati furono presto condotti in un hangar, dove li aspettava la fase finale del loro sfortunato viaggio verso l’Armenia sovietica.

 


1 The Armenian General Benevolent Union, One Hundred Years of History, Vol. II, 1941-2006, AGBU, Central Board of Directors, Paris, 302.


2 Armenian General Benevolent Union, “Realizing a Dream: Then and Now,” Vol. 20, No. 2, November 2010, 6.


3 AGBU, “Realizing a Dream,” 6.


4 Sonia Meghreblian, An Armenian Odyssey, Gomitas Institute, 2012.


5 John B. Hattendorf, Naval Policy and Strategy in the Mediterranean Sea: Past, Present and Future, Routledge Publisher, 2000, 198. La pressione prodotta dal trattato di pace si attenuò man mano che l’Occidente riportava l’Italia nella propria sfera. Si veda Roy Palmer Domenico, Remaking Italy in the Twentieth Century, Rowman & Littlefield Publishers, Inc., New York, 2002, 108.


6 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.


7 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.


8 Meghreblian, An Armenian Odyssey, 2012, 76.


9 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.


10 Tashjian, intervista con l’autrice, 8 luglio 2012.


11 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.


12 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.


13 Phillian, lettera all’autrice, 19 settembre 2012.

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