Dall’accoglienza alle frontiere. Dieci anni di politiche migratorie dell’UE
La cosiddetta "crisi dei migranti" del 2015 ha plasmato il modo in cui le istituzioni di Bruxelles parlano e definiscono la legislazione in materia di migrazione e asilo. Negli anni, questa è diventata sempre più restrittiva e orientata al rafforzamento dei confini esterni dell’Unione

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© Janossy Gergely/Shutterstock
Un decennio per le politiche europee è un lasso di tempo enorme. Se si considera l’evoluzione attraversata dalle politiche relative alle migrazioni e all’asilo dopo la cosiddetta "crisi dei migranti" del 2015, l’Europa sembra essere cambiata a una velocità ancora più impressionante.
Perché gli effetti di quell’arrivo senza precedenti di persone alla ricerca di protezione internazionale sul territorio dell’Unione europea hanno plasmato non solo il modo in cui si parla delle migrazioni, ma anche in cui le istituzioni dell’UE hanno deciso di affrontare sul piano legislativo e operativo delle questioni che fino a quel momento erano rimaste relativamente in secondo piano.
Dieci anni di arrivi e Frontex
Era il 2015 quando Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, rilevava il livello di attraversamenti irregolari delle frontiere dell’UE più alto mai registrato da quando questi dati avevano cominciato a essere raccolti nel 2007. Circa 1,8 milioni di persone migranti in arrivo, soprattutto nelle isole greche dell’Egeo e poi lungo la rotta balcanica, con siriani e afghani come nazionalità prevalenti.
A seguito degli accordi tra l’UE e la Turchia, l’adozione di misure sempre più restrittive sull’accoglienza di migranti e richiedenti asilo, e il rafforzamento delle frontiere (inclusa la costruzione di barriere e muri al confine, come in Ungheria, Polonia, Grecia, Finlandia e nei Paesi baltici), il numero degli arrivi è gradualmente calato.
Seppur con alcuni picchi nel corso degli anni – come nel 2019 per la rotta del Mediterraneo orientale o nel 2023 per quella del Mediterraneo centrale – dieci anni dopo la crisi del 2015 Frontex registra i livelli più bassi di ingressi irregolari nell’UE. Nel 2024 si sono fermati a circa 239mila, con una diminuzione del 38% rispetto all’anno precedente.
Il progressivo rafforzamento di Frontex – che l’ha portata recentemente a operare anche lungo frontiere esterne all’UE, come in Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – è stato accompagnato da torbidi fenomeni di violazioni dei diritti umani.
Come emerso da un rapporto stilato dall’Ufficio europeo anti-frode (OLAF) , Frontex si è distinta per il coinvolgimento attivo o passivo (cioè il non impedimento) nei respingimenti illegali messi in atto dalla guardia costiera greca contro persone che avevano diritto a chiedere protezione internazionale nell’UE.
Fabrice Leggeri, il capo di Frontex, aveva fornito solo risposte parziali o ingannevoli alle richieste di trasparenza presentate dalla Commissione europea e dal Parlamento europeo. Nell’aprile 2022 Leggeri si è dimesso dall’incarico in circostanze piuttosto oscure, spiegando che "il mandato su cui sono stato eletto è stato silenziosamente ma effettivamente cambiato" – ma si stavano svolgendo in contemporanea le inchieste dell’Ufficio europeo anti-frode. Due anni più tardi Leggeri si è candidato ed è stato eletto eurodeputato tra le file del partito di estrema destra francese Rassemblement National.
Come è cambiata la retorica a Bruxelles
"La migrazione è sempre stata una realtà per l’Europa e lo sarà sempre, nel corso dei secoli ha definito le nostre società, arricchito le nostre culture e plasmato molte delle nostre vite, e sarà sempre così". La politica migratoria dell’Unione europea non ha mai previsto una grande apertura alle frontiere, ma a rileggere a cinque anni di distanza le parole con cui la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen presentava nel settembre 2020 il Patto sulla migrazione e l’asilo sembrano comunque passate ere politiche.
Dalla questione dell’accoglienza al rafforzamento dei controlli alle frontiere e ai rimpatri, la narrativa sulle migrazioni è profondamente cambiata, spostandosi verso un’impostazione quasi esclusivamente securitaria. È vero che già in occasione della firma della dichiarazione UE-Turchia nel marzo del 2016 emergeva un’attenzione sempre più forte per il rafforzamento delle frontiere esterne, ma l’accelerazione si è percepita soprattutto negli ultimi anni.
Un esempio è la lettera con cui nel febbraio 2023 la presidente della Commissione europea von der Leyen citava una "mobilitazione dei fondi UE per supportare gli Stati membri a rafforzare le capacità e le infrastrutture di controllo delle frontiere". Von der Leyen ha mostrato che i passaggi relativi alle migrazioni e all’asilo contenuti nei trattati fondanti dell’UE possono essere interpretati in modo piuttosto libero, per esempio per quanto riguarda il principio di non respingimento .
Con l’avvicinarsi delle elezioni europee del 2024 si è verificata anche una progressiva intesa tra von der Leyen e la Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni. Dopo il naufragio di Cutro nel marzo 2023, uno scambio di lettere tra le due leader ha evidenziato per la prima volta alcuni punti poi diventati ricorrenti: l’esigenza di adottare un approccio "olistico" alle migrazioni, e la necessità di focalizzarsi sul "combattere le reti criminali di contrabbando".
Semplificazione di una questione complessa e approccio securitario alla gestione del fenomeno migratorio si sono intersecate fino all’elaborazione di uno slogan nuovo: "Decidiamo noi chi entra in Europa, non i trafficanti", affermava per la prima volta la presidente della Commissione nel corso della visita a Lampedusa nel settembre 2023. L’UE rimane però reticente nel riconoscere le proprie responsabilità legate alle azioni della cosiddetta Guardia costiera libica, che altro non è che un’organizzazione collusa o guidata dai medesimi trafficanti.
"Coloro che non hanno il diritto di rimanere devono essere rapidamente allontanati, e devono esserci conseguenze chiare per coloro che non collaborano": l’ultimo anno a Bruxelles ha dimostrato che la narrativa securitaria sbilanciata verso l’estrema destra è ormai preponderante e sta modellando non solo gli accordi bilaterali con Paesi terzi ma anche le stesse politiche dell’Unione.
Dall’accordo con la Turchia ai rimpatri
Il 18 marzo 2016 l’Unione europea mostrava l’indirizzo per la gestione del fenomeno migratorio che avrebbe poi sempre più convintamente seguito negli anni a venire. Con la firma della Dichiarazione UE-Turchia si siglava per la prima volta un accordo complessivo sulle migrazioni con un Paese terzo.
A fronte del versamento di diversi miliardi di euro da parte dell’UE, l’accordo prevedeva il rimpatrio in Turchia di tutte le persone migranti irregolari arrivate sulle isole greche e il ricollocamento di un cittadino siriano sul territorio dell’UE per un altro rimpatriato in Turchia. Dal 2016 Bruxelles ha versato ad Ankara circa 9 miliardi, con un ulteriore miliardo stanziato nel 2024.
Su questa falsariga, negli anni successivi sono stati firmati controversi memorandum d’intesa con quasi tutti i Paesi sulla sponda meridionale del Mediterraneo e anche oltre, dalla Tunisia all’Egitto fino alla Mauritania.
In tutti questi anni, il tema di maggiore confronto a Bruxelles è stato quello della definizione di un’effettiva politica migratoria comune. Dopo aver cercato a lungo un compromesso che riconoscesse le responsabilità dei Paesi di primo arrivo nella gestione delle persone migranti ma assicurasse anche la solidarietà degli altri stati membri, nel dicembre del 2023 è stato raggiunto un accordo sulla proposta presentata dalla Commissione europea per il Patto sulla migrazione e l’asilo , un pacchetto di 14 provvedimenti legislativi che dal giugno 2026 entreranno via via in vigore.
Per quanto riguarda il principio di solidarietà tra gli stati membri, il nuovo Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione (RAMM) non supera però il principio cardine fissato dal Regolamento di Dublino del 2013: il compito di esaminare l’eventuale richiesta di asilo di una persona che fa ingresso in modo irregolare sul territorio dell’UE spetta al primo stato membro a cui accede.
Viene però introdotto un meccanismo di solidarietà obbligatoria che impone a ogni stato membro l’obbligo di fornire sostegno ai Paesi di primo arrivo – ma ciascun governo sarà libero di scegliere in che forma fornire questo sostegno: accogliendo persone migranti, versando contributi finanziari o garantendo supporto a Paesi terzi.
Il nuovo Regolamento sulle procedure di asilo (APR) prevede nuove procedure, per esempio nei casi in cui la persona che richiede la protezione internazionale provenga da un Paese da cui viene accolta in media meno del 20% delle domande. Sarà possibile una detenzione di fatto alla frontiera senza obbligo di rappresentanza legale o di sospensione per la presentazione di eventuali ricorsi, anche per le famiglie con minori.
Cruciale in questo nuovo regolamento è il concetto di "Paese terzo sicuro", che sta subendo una revisione in senso restrittivo a livello dell’UE. Nella primavera del 2025 la Commissione europea ha presentato sia una proposta per un nuovo Regolamento sui rimpatri sia una revisione del concetto di Paese terzo sicuro .
L’obiettivo dichiarato è quello di accelerare le procedure di rimpatrio – ma si apre la strada a un’esternalizzazione sistematica dell’asilo tramite trasferimenti verso Stati che la legislazione definisce come sicuri, ma che non necessariamente offrono reali garanzie di protezione. Il "Paese di rimpatrio" non sarebbe più solo quello di origine o di transito, ma anche qualsiasi Paese terzo "con cui esiste un accordo o un’intesa in materia di rimpatrio".
Dimitris Angelidis (EfSyn, Grecia) ha contribuito alla realizzazione di questo articolo.
Questo articolo è stato prodotto nell’ambito di PULSE, un’iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.
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