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Dalla violenza contro il Gay Pride a Genova, non è la mia Serbia
La violenza al Gay Pride di Belgrado e poi i drammatici fatti di Italia-Serbia di ieri sera. "Chi vi ha dato il diritto di definirvi difensori della mia Serbia? Chi siete voi, innanzitutto?" Da Belgrado un commento della nostra corrispondente
Domenica scorsa la parata del Gay Pride a Belgrado. Ci si augurava fosse una manifestazione normale in un paese finalmente normale. Ma non è stato così. Un migliaio di persone ha manifestato in un centro di Belgrado blindato, scortati da poliziotti armati fino ai denti.
Avevamo avuto il presentimento che ci sarebbero stati degli incidenti, ma nessuno è arrivato ad immaginare che Belgrado si sarebbe trasformata in una zona di guerra. Non mi piace ricordare gli anni Novanta, ma sono obbligata a farlo. Per dieci anni ho partecipato ad ogni protesta tenutasi a Belgrado. Per le sue vie, assieme a migliaia di altri, ho passato tre mesi e mezzo a chiedere che fosse rispettato il voto dei cittadini.
Le nostre proteste erano convinte, ma pacifiche e nonviolente. Era la polizia, purtroppo non di rado, a utilizzare la violenza: ci ha picchiati, ci ha arrestati e t[]izzati. Erano altri tempi e pensavo che tutto questo non si sarebbe più ripetuto.
Noi allora eravamo giovani. Volevamo la libertà, insoddisfatti della vita, non avevamo alcuna possibilità di trovare lavoro, i nostri genitori lavoravano mesi e mesi per dieci marchi tedeschi, eravamo nel mezzo dell’inflazione più pesante di tutta Europa, le sanzioni erano il nostro "buongiorno", altri ci avevano portato a guerre senza senso. Sono cadute bombe sulle nostre teste. E, di nuovo, abbiamo manifestato pacificamente il nostro dissenso.
Non ho alcuna comprensione per coloro che oggi mi parlano dei bambini che vivono senza speranza e contemporaneamente distruggono Belgrado attentando alla vita dei suoi cittadini. Per noi il "nemico" era rappresentato dalla polizia che aveva ricevuto l’ordine di picchiare senza pietà e senza motivo. Mentre ci picchiavano ci urlavano che eravamo dei traditori, la vergogna della Serbia.
Oggi però la polizia usa la violenza solo quando è assolutamente necessario. Ed è proprio per questo che noi ci siamo battuti. Di tutte le scene terribili girate in questi giorni su internet una mi è rimasta particolarmente impressa: un poliziotto, in piena tenuta antisommossa, si avvicina ad un hooligan seduto lungo la via Ivica urlandogli: "Sei venuto a distruggere la mia Belgrado?!".
Non ho alcuna comprensione per gli organizzatori di questi vandalismi. Non ho nessuna comprensione per i genitori che se ne fregano se i figli seminano paura per le vie di Belgrado. Non ho nessuna comprensione per gli insegnanti, i docenti e i professori che non fanno il loro lavoro. Per gli organi dello Stato che da anni tacciono sulle organizzazioni di destra e sulle orde di tifosi. Per la società che si è cullata nella finzione che tutto si sarebbe risolto da sé.
Non ho alcuna comprensione per il serbismo e il patriottismo. Di quale patriottismo stiamo parlando? Chi diavolo ha ideato una scala di valori del patriottismo secondo la quale io sono una buona serba solo se odio i gay e le lesbiche, se a causa dell’insoddisfazione urlo "uccidi, sgozza, finché nessun croato/albanese/gay esisterà"? Chi vi ha dato il diritto di definirvi difensori della mia Serbia? Chi siete voi, innanzitutto?
Oltre il 60% delle persone che domenica scorsa hanno creato i disordini al Gay Pride non sono di Belgrado. Quasi la metà sono minorenni. Tutti sono membri di organizzazioni di ultradestra o di tifoserie. Non sono certo venuti per le "lesbiche e i gay" anche se non li sopportano. Se non fosse stato per il Gay Pride sarebbe stato per qualcos’altro. Due anni fa avevano distrutto Belgrado a causa della dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Hanno picchiato il portiere della rappresentativa serba perché ha commesso un terribile crimine contro l’umanità: dalla Stella Rossa è passato al Partizan.
È chiaro. Tutto ciò non ha nulla a che fare con il Gay Pride, proprio come non ha nulla a che vedere con la partita Italia-Serbia e i tifosi. Aleksandar Tijanic, caporedattore responsabile della Radio Televisione della Serbia, dice: "Si tratta di una prova generale per qualcosa di molto più grande". Nessuno osa dirlo, ma credo che la maggior parte della gente pensi al tentativo di un colpo di stato.
Domenica per le vie di Belgrado non c’erano i cittadini che sono contrari al Gay Pride. Questi, che pensano che la parata per l’orgoglio omosessuale minacci i valori tradizionali serbi (qualunque cosa ciò significhi) hanno organizzato la "marcia della famiglia" a Belgrado il giorno prima. Domenica per le strade c’erano i membri delle organizzazioni di ultradestra: 1389, Obraz, Dveri e simili, così come i membri di gruppi estremisti delle tifoserie della Stella rossa, del Partizan e del Rad.
Erano ben organizzati, come una vera formazione paramilitare. Una delle menti dell’organizzazione, il famoso Mladen Obradovic, ha atteso i gruppi di hooligan presso la piazza Zeleni Venac, per poi spingerli verso i cordoni della polizia. Obradovic è stato fermato e portato in prigione e durante la perquisizione gli sono stati trovati addosso le liste di tutti i partecipanti agli scontri. Giravano per la città scooter "spia" che avvertivano in quali punti la polizia era più vulnerabile. Tutto era stato organizzato nei dettagli, così come, ad un certo punto, la stessa la ritirata degli hooligan.
Così è stato anche martedì a Genova alla partita Italia-Serbia. Su tutte le prime pagine quell’individuo, tatuato fino all’ultimo centimentro di pelle, che con un cappuccio in testa fa ondeggiare la barriera dello stadio, impartisce ordini agli altri hooligan, taglia le reti di protezione.
Per quanto ne so – e ho visto spesso partite di calcio allo stadio – non direi che sono vestiti tipici per un evento sportivo. Quindi cosa? Quella gente è arrivata molto ben organizzata. Hanno estratto le spranghe, i petardi, i fumogeni. Sono venuti da Belgrado e da altre città della Serbia per dimostrare ancora una volta che non hanno paura dello Stato, che continueranno a cercare di assumere il controllo delle cose. Per essere più precisi, quando dico "cose" intendo dire il potere.
Ovviamente si è arrivati agli incidenti. Ovviamente nessuno a Belgrado ha pensato che i disordini sarebbero proseguiti in Italia, nonostante la Lega Calcio serba da giorni lo dicesse. Ovviamente si è fatto di tutto per far sì che Hillary Clinton non vedesse niente di quel delirio che impazzava per la capitale serba due giorni prima della sua visita. Ovviamente questi due eventi ad alto rischio hanno tenuta occupata per due giorni interi la polizia.
Ma tutto questo non dovrebbe essere ovvio per niente! Per anni chiudiamo gli occhi e ci comportiamo da stupidi. Come se questi aggressori fossero un caso isolato, dicendo che ogni paese ha i suoi hooligan, che, poveretti, non hanno alcuna prospettiva e così si divertono a far qualcosa. Come chiudiamo gli occhi sulle conseguenze degli anni Novanta come se ora, entrando nell’Unione europea, si sistemerà tutto. E tra l’altro: non abbandoneremo mai il Kosovo.
Stop. Così non si va più avanti. Lo sanno tutti che in Serbia esiste un significativo gruppo di persone al quale non piace la democrazia, anche se per ora si tratta forse solo di un semplice tentativo di democrazia. A tutti è chiaro che quanto accaduto domenica a Belgrado, e martedì a Genova, qualcuno lo deve aver finanziato. Non siamo dei pazzi, sappiamo bene che qualcuno ha organizzato tutto questo. E se ora il governo non se ne occuperà, tutto andrà in malora. A niente servono gli arresti di queste persone. Le prigioni sono comunque già piene zeppe, e da esse non usciranno né migliori, né più intelligenti.
Se vi può servire in qualche modo, scusateci se siamo stati ospiti sgraditi. Se vi può in qualche modo influenzare: questa non è certo la maggioranza della Serbia. Se può avere un qualche senso per voi, i cittadini della Serbia oggi sono come tante altre volte negli ultimi venti anni umiliati e avviliti.
Tutte queste scuse nel nome di quelle persone che definiscono se stessi serbi mi mette davvero la nausea.