Dal Brasile alla Bulgaria, quei giganti che non vogliamo vedere
Due anni fa, in Brasile, crollava la diga di Brumadinho, liberando una colata di scarti minerari e seminando morte e devastazione. Non è stato un caso isolato né nel resto del mondo né in Europa: i bacini di decantazione delle miniere sono tra le più grandi e pericolose opere mai costruite dall’uomo
Il 25 gennaio 2019 per i lavoratori della miniera di ferro di Brumadinho, nello stato brasiliano del Minas Gerais, sembrava una giornata normale. Molti erano in pausa pranzo quando, alle 12:28, le telecamere di sorveglianza mostrarono la diga di terra alta quasi novanta metri polverizzarsi in un istante. In pochi secondi 12 milioni di metri cubi di acqua e fanghi derivati dal trattamento del minerale inghiottivano tutto quello che trovavano nel raggio di sette chilometri: alberi, case, animali, un tratto della ferrovia. Mentre, nei giorni successivi, la colata defluiva chilometri a valle nel Rio Paraobepa contaminando le falde acquifere, a Brumadinho si scavava con ogni mezzo, incluse le mani.
Davanti alle immagini di disperazione riprese coi droni, intanto, milioni di persone si rendevano conto, forse per la prima volta da decenni, del lato oscuro di un settore fondamentale nella nostra epoca eppure quasi invisibile: quello minerario.
Due anni dopo, i familiari delle circa 270 vittime, molte delle quali impiegate presso le stesse miniere della zona, aspettano giustizia. Mentre la magistratura cerca di accertare le responsabilità penali e si discute di risarcimenti che possano, per il poco possibile, dare sollievo alle vittime, i resoconti tecnici sono già arrivati. E non lasciano scampo: il crollo di Brumadinho non è stata una calamità ma un evento umano, che era possibile prevedere ed evitare.
Un catastrofe che risponde perfettamente alle dinamiche che si ripetono ciclicamente attorno alle miniere, frutto di decenni di cattiva gestione del territorio, di scarsa memoria, avvertimenti sottovalutati.
Una storia che si ripete
Appena tre anni prima, a poche decine di chilometri di distanza, il Minas Gerais era stato devastato da un altro disastro simile, addirittura maggiore per dimensioni. Il minerale estratto era lo stesso, il ferro, e così il proprietario, la multinazionale Vale SA. Una colata senza precedenti (40 milioni di metri cubi) aveva percorso oltre 200 km nel Rio Doce, travolgendo l’abitato di Mariana e causando forse i più grave disastro ambientale nella storia moderna del Brasile.
Nel 2008 è stata la volta di una diga di contenimento nelle miniere di ferro di Taoshi, in Cina, che era crollata uccidendo almeno 250 persone. Altri incidenti gravissimi hanno colpito negli ultimi anni ancora la Cina, le Filippine, il Myanmar e anche il Canada.
Neanche l’Europa è al sicuro
Anche se negli ultimi anni i paesi che hanno pagato il prezzo più alto sono stati quelli in via di sviluppo e le compagnie emergenti, l’Europa è tutt’altro che al sicuro. Quando in Romania crollarono le dighe delle miniere d’oro di Baia Mare, tonnellate di cianuro finirono nel bacino del Danubio, avvelenandolo in gran parte. Dieci anni dopo, in Ungheria, un incidente simile è costato la vita a dieci persone.
Nel 1985 Stava, tra le montagne del Trentino, fu annientata dai fanghi di una miniera di fluorite in uno dei più gravi disastri minerari di sempre, causato dall’incuria e da una gestione delle miniere orientata al solo profitto. Era andata ancora peggio alla Bulgaria nel 1966, quando i fanghi di miniera avevano travolto la cittadina di Sgorigrad. Nonostante i tentativi del regime allora al potere di minimizzare l’accaduto, oggi sono note le sconcertanti proporzioni del disastro: almeno 488 vittime.
Il collasso dei bacini di scarti minerari ha ucciso almeno 2900 persone nell’ultimo secolo. I danni ambientali, legati soprattutto alla contaminazione di enormi quantità di suolo e acqua, si protraggono per generazioni.
Quasi sconosciuti
Alte fino a un centinaio di metri e spesso lunghe chilometri, le strutture che contengono i bacini di decantazione sono tra le più grandi opere mai costruite dall’uomo, e tra le più pericolose. Eppure il loro funzionamento, se non la loro stessa esistenza, è quasi sconosciuta a chi non ci lavora o vive nelle vicinanze.
In molte delle miniere attuali, l’enorme quantità di materiale estratto deve essere ridotta in poltiglia e poi immersa in acqua, all’interno di invasi delimitati da dighe di terra. Tempo, differenza di peso, trattamenti chimici e macchinari più o meno sofisticati permettono di separare metalli e minerali di interesse economico (una piccola frazione del totale) dai prodotti di scarto. Con il procedere delle attività i bacini si riempiono, e periodicamente occorre innalzarli. Servono così nuove dighe, costruite utilizzando altro materiale di scarto. Spesso vengono erette più a monte rispetto alle precedenti, appoggiate sui fanghi già depositati. Sono le dighe di tipo upstream, le più diffuse e anche le più pericolose, specie se progettate male. Quelle di Brumadinho e Mariana appartenevano a questa categoria.
I bacini sono a volte trattati come strutture provvisorie, anche se nei fatti vengono utilizzati per parecchi decenni, crescendo a ritmi che dipendono più dal mercato che dalla geologia.
Si ritiene che nel mondo queste strutture siano circa 30.000, dodicimila delle quali in Cina. Seguono, staccati di molto, gli Stati Uniti. La maggior parte dei gravi incidenti, ma non tutti, avviene nei bacini attivi (poco più della metà del totale).
La logica dei disastri
Lindsay Newland Bowker vive in un’isoletta a largo del Maine, negli Stati Uniti. Dopo una vita lavorativa spesa nell’analisi dei dati, potrebbe godersi la meritata pensione e la brezza dell’Oceano Atlantico. Invece è diventata una delle massime esperte mondiali in incidenti provocati da bacini di miniera. Collaborando con un manipolo di "nerd dei bacini di decantazione", parole sue, in sette anni ha analizzato una quantità impressionante di dati. Il suo sito è di gran lunga più completo di qualsiasi altra risorsa disponibile online. Nonostante si faccia molta ricerca sugli incidenti minerari, infatti, non esiste un archivio ufficiale né delle strutture esistenti, né degli incidenti.
I dati, purtroppo, parlano da soli: gli incidenti dei bacini di decantazione sono in aumento, sia per frequenza che per gravità.
La mappa qui sopra pubblicata mostra i più gravi disastri conosciuti sulla base di una magnitudo che la ricercatrice ha calcolato sulla base del numero di vittime, del volume e della distanza percorsa dalla colata. Circa la metà degli incidenti più gravi conosciuti sono avvenuti dopo il 2000. E dopo il 2010 è andata ancora peggio.
Negli ultimi anni la domanda di risorse minerarie è aumentata ma, in proporzione, la quantità di scarti di lavorazione è cresciuta ancor di più. A differenza che in passato, infatti, oggi si sfruttano anche giacimenti di qualità molto bassa, con la conseguenza che, a parità di materiale commercializzato, è necessario scavare, trattare e smaltire una percentuale crescente di roccia.
La tecnologia è diventata sempre più efficiente, ma gli sforzi si sono concentrati nella capacità estrattiva molto più che nella sicurezza e tanto meno nella riduzione dei rifiuti. Mentre in altri settori si fa un gran parlare di zero waste ed economia circolare, nel 2010 gli scarti annuali finiti negli invasi delle miniere superavano la cifra record di 14 miliardi di tonnellate.
Un problema culturale
Quando i fanghi delle miniere di Prestavel, in val di Fiemme, sconvolsero la vita della sua famiglia, Luca Zorzi aveva solo un anno. Oggi è consulente scientifico della Fondazione Stava1985 , che si occupa instancabilmente di ricordare le 268 vittime e di promuovere la cultura della sicurezza nel settore. Ma è anche un geologo affermato, che segue i lavori di miniere di tutto il mondo, inclusi i bacini di decantazione.
Zorzi non ha dubbi: anche se un errore tecnico è sempre possibile, "le conoscenze per progettare bene ci sono, e nella maggior parte dei casi vengono applicate. Ma quando il contesto socio-culturale permette di trovare scorciatoie i problemi cominciano a saltar fuori".
Dietro i disastri, spiega, c’è spesso una lunga catena di negligenze, spesso volute. Controlli troppo accondiscendenti, fatti da "yes-men" più che da tecnici, analisi colpevolmente sottovalutate. A volte una semplice, ma altrettanto letale incompetenza. "Finché esistono ancora questi giochi economico-politici in cui il profitto governa sulla sicurezza non ne veniamo fuori", conclude.
Cambio di passo. O quasi
L’incidente di Mariana del 2015 aveva messo davanti agli occhi alla comunità internazionale l’urgenza di affrontare il problema a livello internazionale. La tragedia di Brumadinho è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Almeno nelle intenzioni.
Dopo la strage brasiliana la Chiesa anglicana, che investe molti fondi pensione nel settore minerario, si è impegnata a censire e valutare le condizioni dei bacini di tutto il mondo. I risultati, condivisi su un portale , dovrebbero scoraggiare gli investimenti in miniere che non operano in sicurezza. Malgrado i nobili propositi però, la banca dati è ancora quasi tutta da costruire.
Dopo Brumadinho è nata la Global Tailings Review , un’iniziativa del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, dell’ICMM, il principale ente del settore minerario internazionale, e di un network per favorire gli investimenti responsabili sostenuto dall’ONU. Nel giugno 2020 la Global Tailings Review ha approvato uno standard che, nelle intenzioni dei firmatari, dovrebbe uniformare i passaggi per costruire e gestire i bacini in sicurezza. È indubbiamente qualcosa, ma tra attivisti e studiosi sono in molti a pensare che così com’è non sia abbastanza per ridurre gli incidenti.
Ci vorrebbe, sostiene Newland Bowker, una nuova istituzione con l’autorità di farsi valere, e provvedimenti dal punto di vista finanziario, come assicurazioni e sussidi per mettere in sicurezza i bacini già esistenti. "Si crede normalmente che le compagnie minerarie navighino nell’oro, ma spesso operano su margini di profitto strettissimi. Ammesso che vogliano, non è realistico pensare che facciano tutto da sole".
Voci inascoltate
"Prendiamo atto che lo standard approvato la scorsa estate è più di quanto sia stato fatto finora. Detto questo, è del tutto insufficiente", commenta Jan Morrill dell’ong americana Earthworks. Associazioni e rappresentanti delle comunità hanno partecipato alle discussioni, e nel testo si dà grande risalto al coinvolgimento delle popolazioni interessate. Eppure, secondo gli attivisti, si è trattato solo di un’operazione di facciata. "Nel testo finale, le nostre osservazioni sono state totalmente ignorate".
Earthworks ha una proposta molto più radicale, firmata da oltre 140 associazioni di tutto il mondo. Come chiariscono già dal titolo, Safety First , per gli attivisti la sicurezza dovrebbe prescindere da ogni convenienza economica. Soprattutto, l’ultima parola su un progetto dovrebbe spettare sempre alle comunità direttamente interessate.
Considerando che buona parte delle miniere si trova in aree remote, spesso povere o abitate da minoranze, e dove magari sia la politica che il posto di lavoro di molti dipendono dalle stesse miniere, quest’ultimo punto appare quasi inimmaginabile.
Quando c’è, il consenso informato è spesso tale solo sulla carta. Secondo un rapporto dell’ong Global Witness, nel 2019 tra tutti gli attivisti quelli del settore minerario hanno subito più spesso pressioni e violenza.
"Altre questioni legate al mondo dei minerali, come il piombo e l’amianto, esplosero perché praticamente tutta la popolazione ci viveva in mezzo", ragiona Newland Bowker. Miniere e bacini di decantazione, invece, sono sparsi ai quattro angoli del mondo, lontano da occhi indiscreti. In realtà, siamo tutti circondati dai metalli e dai minerali ricavati grazie ai bacini delle miniere. Il cambiamento comincia dall’accorgersene.