Cubani lungo la rotta balcanica: un’intervista

A poco più di due mesi di distanza da un articolo sul viaggio degli esuli cubani verso l’UE, torniamo sull’argomento con le voci dei diretti interessati raccolte a Bihać, in Bosnia Erzegovina. Con un focus particolare: la comunità LGBT

17/06/2022, Nicola Zordan -

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Migranti lungo la rotta balcanica - © Trendsetter/Shutterstock

Dopo aver raccontato le peripezie dei cubani lungo la rotta balcanica, abbiamo raccolto le testimonianze dirette di Jose, un ragazzo di 28 anni; Ramon e il suo compagno Luis, rispettivamente di 29 e 34 anni; e Carlos, un loro amico 35enne (i nomi sono di fantasia). Ad accomunarli è la precaria permanenza in uno dei tanti squat che circondano Bihać – i cosiddetti insediamenti informali – ma anche l’avversione per il regime in patria, che li ha spinti all’auto-esilio. Ma mentre per Jose e Carlos la discriminante principale è la repressione politica e le ristrettezze economiche, per Ramon e Luis è stato determinante un ulteriore ed insopportabile tipo di discriminazione subita a Cuba: quella contro la comunità LGBT. Nel corso dell’intervista vengono delineate le ragioni fondamentali che hanno spinto tutti e quattro ad intraprendere un viaggio alla ricerca di migliori condizioni di vita, sebbene fossero del tutto impreparati rispetto ai meccanismi di funzionamento del sistema di Dublino, al diritto d’asilo in Europa, alle difficoltà di raggiungere l’UE e alla violenza della polizia croata.

I motivi della fuga da Cuba

Jose: Io ho lasciato Cuba principalmente per mia figlia, tutto quello che faccio è per lei. La situazione a Cuba è drammatica, scarseggia il cibo, non c’è lavoro… Come per la maggior parte dei cubani, da quando è arrivato il Covid due anni fa o poco più non ho più un lavoro. Al momento mia figlia è con sua madre, ma siamo divorziati. A Cuba c’è molta repressione. Quando te ne vai da Cuba dopo 3 mesi devi obbligatoriamente tornare indietro. Se resti all’estero per più tempo ci sono ripercussioni legali, si finisce in galera al ritorno.

Ramon:

Noi siamo andati via proprio per la repressione che c’è a Cuba, in particolare per la discriminazione che c’è nei confronti delle persone gay. Le persone di questa comunità non possono trovare lavoro e possono essere arrestate. Ci sentivamo in pericolo per il nostro orientamento sessuale. Capita che ti mettono in prigione per settimane, o anche mesi o anni. Il mio fidanzato è stato in prigione 2 mesi. Lavorava in un locale come drag queen, finito il turno stava camminando per tornare a casa, la polizia l’ha visto e l’ha messo in carcere. Non gli interessava che quello fosse il suo lavoro. L’hanno accusato di sfruttamento della prostituzione maschile.

Luis: Nel periodo in cui sono stato in carcere mi sono anche tagliato [mi mostra tantissimi tagli sulle braccia], stavo malissimo.

R: La dittatura a Cuba non accetta le persone omosessuali. Ci sono poi delle famiglie più comprensive di altre.

L: Per esempio, io l’ho detto solo a mia mamma che mi vuole bene e mi accetta per quello che sono, ma non a mio papà.

R: Succede che per strada tu possa incontrare persone che vogliono picchiarti o ti trattano male e non sai come difenderti. Non sai come proteggerti, non puoi chiedere nemmeno alla polizia perché è anche peggio. Il problema maggiore a Cuba è la dittatura. C’è una forte repressione, che si aggiunge a tutti i problemi economici, al fatto che non ci sia lavoro, che non arrivano le medicine. E in più che i diritti delle persone gay sono negati.

J: Quando il Covid è arrivato a Cuba le cose erano già generalmente molto negative. La situazione era difficile soprattutto per le persone gay, che prima del Covid erano identificate come il nemico. Il regime era contro di loro, specialmente perché generalmente parlando Cuba è un paese cristiano. Con il Coronavirus il focus si è solo spostato, ed il nemico è diventato il virus. In quel periodo si sono svolte numerose proteste. Il Covid è stato preso molto seriamente, la gente è stata messa in quarantena ma il governo non ha provveduto a fornire sostentamento alle persone isolate. Per molti anni a Cuba abbiamo utilizzato due tipi di valute diverse, il peso cubano e i dollari. Prima del Covid, il governo o non so quale mafia ha iniziato a vendere prodotti made in Cuba nel mercato americano, ad un prezzo maggiorato. Nel mercato cubano non si poteva comprare molto, e quello che si poteva trovare era veramente costoso. C’era un sacco di inflazione, alcune famiglie potevano permettersi di più perché alcuni loro familiari lavoravano negli Stati Uniti. Per fare un esempio, prima del Covid il costo di una birra era di 25 pesos cubani, adesso la stessa birra costa 500-600 pesos, è folle. Ci sono state molte proteste nelle strade, alcuni mercati sono stati distrutti, mentre la polizia reprimeva le proteste, picchiando e imprigionando le persone.

R: La situazione è sicuramente peggiorata con il Covid, le nostre famiglie non avevano da mangiare, non avevano le medicine. Per questo sono iniziate delle proteste per le strade, e molti protestanti sono stati arrestati e picchiati.

J: Anche io ho partecipato alle manifestazioni, la polizia mi ha picchiato e sono rimasto in prigione per 15 giorni. Ero senza lavoro da 2 anni, prima lavoravo come modello. Quando le proteste sono iniziate, pensavamo che gli Stati Uniti potessero aiutarci; ma si è rivelata una falsa speranza, non è interessato a nessuno. Le persone all’estero pensano che Cuba sia un posto meraviglioso, ma non è vero. Non c’è libertà di informazione. Non possiamo scegliere il nostro presidente, altre persone lo fanno per noi. E’ folle.

Carlos: Io ho perso un nipote di 5 anni nel 2021 per una disattenzione medica, aveva l’appendicite e non gliel’hanno rimossa bene. E’ difficile trovare le medicine a Cuba, casi di questo tipo succedono spesso. Per questo vorremmo andare in Europa, affinché i nostri diritti siano rispettati e per mandare soldi alle nostre famiglie. Vorremmo poi un giorno portare le nostre famiglie in Europa. Non torneremo mai a Cuba. Stare a Cuba è come morire. Non c’è alcuna speranza.

Il viaggio

R: Per arrivare qui in Bosnia siamo partiti da Cuba e abbiamo viaggiato in aereo fino in Russia. Dalla Russia siamo arrivati in Serbia sempre in aereo. In Russia c’è la stessa dittatura come a Cuba, e in più laggiù maltrattano i cubani, ci trattano come cani.

J: Io sono arrivato in Russia 8 mesi fa (sono arrivato lì in aereo, costa 1000 euro il viaggio andata e ritorno) con la mia sorella minore, lei aveva un contratto lì ma poi è scaduto ed è dovuta rientrare a Cuba. In Russia non possiamo avere i documenti in regola, è la nostra destinazione solo perché il visto è gratuito per noi. E’ lì che ho scoperto che alcuni cubani stavano facendo tutto questo viaggio per arrivare in Europa.

L: Noi infatti siamo stati in Russia solo un mese e abbiamo lavorato illegalmente, poi ce ne siamo andati subito.

J: Molti cubani volano in Serbia perché non è comunque richiesto il visto, poi proseguono per il Montenegro e da lì raggiungono la Grecia. In Grecia si compera un biglietto per la Spagna e si arriva nell’Ue. Funziona così: si trova un sosia in Spagna, e questa persona invia il suo documento di identità al suo alter ego cubano in Grecia. In questo modo all’aeroporto molti cubani, avendo il passaporto e parlando fluentemente spagnolo, riescono a passare indisturbati. Avevo trovato un sosia anche per me, ma costava troppo (circa 1000 euro) e poi le autorità greche hanno iniziato a capire il meccanismo e a fare più controlli. Appena sono arrivato in Serbia pensavo di andare in Grecia subito, ma mi è stato riferito che lì la situazione era problematica, non era semplice lasciare il paese. Così in Serbia ho trovato un altro ragazzo cubano che mi ha spiegato come fare, dove attraversare il confine e come raggiungere l’Europa.

R: Noi siamo rimasti in Serbia per 3 mesi, non guadagnavamo tanto e anche lì avevamo un lavoro illegale in fabbrica. Poi abbiamo passato il confine a piedi per arrivare in Bosnia. Siamo in Bosnia da circa 2 mesi; abbiamo provato il game 3 volte.

J: Molti cubani hanno attraversato il confine dalla Serbia alla Bosnia via fiume, con una barca, e hanno pagato un ragazzo cubano che li ha accompagnati. Io invece non sono andato in barca, ho attraversato il confine a piedi, ma alle 5 del mattino la polizia mi ha trovato e mi ha portato qui a Bihać.

La polizia croata e il game

R: La situazione con la polizia croata è un disastro, non pensavo che in Europa esistesse una cosa del genere, non lo potevo immaginare. Abbiamo incontrato la polizia croata tre volte, eravamo con delle donne e non ci hanno picchiato, ma ci hanno rubato tutte le cose che avevamo. Dei miei amici cubani però sono stati picchiati. Eravamo tanto impauriti e non sapevamo che fare, siamo stati zitti e ci siamo accucciati per la paura. I poliziotti ci hanno rubato il cibo, l’acqua, i soldi. Ho avuto tanta paura ed è stato tanto traumatico, anche il viaggio in montagna, molto faticoso. Quando ci hanno deportato in Bosnia ci hanno messo in un van e continuavo a vomitare. Abbiamo chiesto ogni volta asilo in Croazia e la polizia croata ci diceva “go, go, aide”.

J

: Non mi aspettavo che la polizia croata fosse così cattiva. Dopo aver attraversato il confine dalla Serbia alla Bosnia è stato davvero facile, così ho pensato che in 10-15 giorni sarei riuscito a raggiungere l’Italia o la Spagna. Ho pensato che fosse come andare da Cuba al Nicaragua e da lì agli Stati Uniti, il che è abbastanza semplice, si paga il contrabbandiere e si arriva in fretta. Ma quando ho provato il game per la prima volta, ho capito che era davvero difficile. Ho provato solo 2 volte, la terza voglio assolutamente avere successo. So che la gente qui ci ha provato 7-8 volte, è pazzesco. I cubani hanno la tendenza a seguire sempre le stesse strade, ecco perché la polizia li cattura. Conosco il percorso grazie ad altre persone che ci hanno dato suggerimenti. Ci abbiamo provato con le donne, con i bambini, ma alla polizia non importava nulla.

R: Durante un game eravamo con delle donne e una di loro è stata male, aveva dei problemi di respirazione. Abbiamo contattato l’IOM per avere asilo in Croazia, loro hanno chiamato la polizia che ci ha fatto tornare in Bosnia.

J: L’ultima volta alcuni cubani ci hanno provato, si sono nascosti nella foresta e poi hanno chiamato l’IOM, che ha avvisato la polizia croata. La polizia è arrivata e li ha deportati in Bosnia. I funzionari dell’IOM hanno detto che non ci potevano fare nulla. Penso che la mia esperienza con la polizia sia stata negativa, ma non così brutta come ad alcuni amici che ho incontrato, che mi hanno detto di essere stati picchiati e tutto il resto. La polizia ha rubato i miei averi e mi ha lasciato in un posto che non conoscevo senza cibo o altro, è per questo che ho paura a provare di nuovo il game. In più, i poliziotti ci hanno chiuso in un furgone. Io sono claustrofobico, ho molti problemi se sto in posti senza aria o finestre. Il loro furgone ci sballottava qua e là, ho vomitato diverse volte.

R: Nessuno ci ha avvisato sul viaggio che avremo intrapreso, ci siamo scambiati qualche informazione solo tra cubani, ma nulla di preciso. A Sarajevo siamo stati solo pochi giorni e non nel campo, poi siamo venuti subito a Bihać. Siamo stati anche a Banja Luka, dove in realtà eravamo tranquilli, la città è pulita e nessuno ci ha fermato. A Mostar invece abbiamo percepito dell’astio contro i migranti.

Aspettative in Europa

L: In Europa vorremmo trovare asilo, poter vivere tranquillamente. Vogliamo cercare un posto in cui non ci sia discriminazione per il nostro orientamento sessuale. Sia in Spagna che in Italia, va bene, l’importante è stare tranquilli.

R: So che a Valencia ci sono tanti ristoranti cubani, io sono diplomato come cuoco, e mi piacerebbe lavorare in un ristorante.

L: Io probabilmente andrò in Italia perchè ho parte della mia famiglia a Treviso; mi piacerebbe lavorare in locali gay anche lì.

J: Io vorrei rimanere in Italia per un po’, ho amici a Trieste e Roma (sono lì da 10 anni), ma potrei anche andare in Spagna.

C: Ho fortunatamente un fidanzato in Spagna che voglio raggiungere e che sono sicuro mi aiuterà.

J: In realtà non mi importa dove andrò, voglio solo avere dei documenti in regola. Sono disposto ad adattarmi a fare qualsiasi lavoro. Se potrò avere i documenti in Italia, resterò lì. Quando avrò i documenti, vorrei potermi ricongiungere con mia figlia. Non posso portare anche la mia ex moglie perché siamo divorziati, ma sono convinto che accetterà di separarsi da sua figlia perché si rende conto di quanto grave sia la situazione a Cuba. Cuba è davvero un disastro.

Chiede Ramon: l’Europa conosce la situazione dei migranti cubani? Se sapessero la situazione di Cuba magari ci accoglierebbero. E poi la nostra cultura non è così lontana, siamo anche cristiani. La cosa importante per noi è mantenere la speranza.

 

 

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