Croazia: nuove prove di violazioni dei diritti dei migranti
Il recente rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa (CPT) è probabilmente la prova più convincente delle violazioni della polizia croata nei confronti dei migranti. Si conferma così quello che ong, giornalisti, attivisti e gli stessi migranti sostengono da tempo
(Originariamente pubblicato da Novosti , il 3 dicembre 20219)
Stando alle informazioni contenute in un registro trovato nella stazione di polizia di Koprivnica, in Croazia, nel periodo tra il 25 luglio e il 12 agosto 2020 nella zona di competenza della polizia di Koprivnica – responsabile della sorveglianza di un tratto di confine con la Bosnia Erzegovina lungo 33 chilometri – sono stati “intercettati” o “dirottati” 2373 migranti. Stando invece ai dati ufficiali forniti dalle autorità croate, nello stesso periodo gli agenti di polizia di Koprivnica avrebbero fermato solo dieci persone che hanno attraversato il confine croato-bosniaco al di fuori dei valichi di frontiera ufficiali.
È quanto emerso da un rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d’Europa (CPT), pubblicato lo scorso 3 dicembre dopo un anno di ostruzionismo da parte della Croazia che dal novembre 2020, quando il Consiglio d’Europa ha approvato il rapporto in questione, ne ha di fatto impedito la pubblicazione.
I dati contenuti nel rapporto del CPT sono probabilmente la prova più convincente di alcuni fatti già noti e ora difficilmente contestabili.
Primo, la polizia croata in modo sistematico e illegittimo nega ai rifugiati e ai migranti il diritto di chiedere asilo e li respinge dal territorio croato effettuando i cosiddetti pushback.
Secondo, questi respingimenti non vengono ufficialmente registrati.
Terzo, gli agenti di polizia effettuano i respingimenti con l’approvazione, se non addirittura su ordine dei loro superiori.
Quarto, durante la visita effettuata in Croazia dal 10 al 14 agosto 2020, un gruppo di esperti del CPT – composto da ex funzionari di polizia, criminologi, giuristi e scienziati forensi provenienti da vari paesi europei – ha raccolto, come si legge in un comunicato stampa diffuso dal Consiglio d’Europa, “numerose testimonianze affidabili e concordanti sulle violenze fisiche commesse dagli agenti della polizia croata (soprattutto dai membri delle forze speciali) nei confronti dei migranti”, compresi “schiaffi, percosse, colpi sferrati con manganelli e altri oggetti contundenti (come calci e canne di armi da fuoco, bastoni di legno e rami di alberi). Nel comunicato si afferma inoltre che “un numero considerevole di persone intervistate ha mostrato [alla delegazione del CPT] lesioni recenti sui loro corpi che i medici forensi membri della delegazione hanno valutato compatibili con le affermazioni degli intervistati riguardanti le violenze commesse nei loro confronti da parte degli agenti della polizia croata”, compresi “i caratteristici ematomi a forma di binari nella parte posteriore del corpo che corrispondono ai colpi inflitti con manganelli o bastoni”.
Quinto, i migranti e i rifugiati hanno raccontato alla delegazione del CPT di essere stati sottoposti anche ad altre forme di maltrattamento e umiliazione, affermando, tra l’altro, di essere stati costretti a sdraiarsi faccia a terra, mentre i poliziotti sparavano accanto ai loro corpi, ma anche di essere stati gettati nel fiume Korana con le mani ammanettate e poi costretti a camminare scalzi nei boschi, nonché di essere stati rimandati in Bosnia Erzegovina indossando solo biancheria intima e, in alcuni casi, completamente nudi.
Il rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa è un duro colpo per il premier croato Andrej Plenković e per il ministro dell’Interno Davor Božinović; per l’intera piramide gerarchica delle forze dell’ordine, dal capo della polizia Nikola Milina verso il basso; ma anche per gran parte dell’opinione pubblica croata. Per la prima volta un’importante organizzazione internazionale, come il Consiglio d’Europa – che non solo vede tra i suoi membri la Croazia, ma è anche attualmente guidato da Marija Pejčinović-Burić, ex ministra degli Esteri della Croazia e membro dell’Unione democratica croata (HDZ) – ha confermato quello che diverse organizzazioni non governative, giornalisti, attivisti e gli stessi migranti sostengono da tempo, ossia il fatto che la polizia croata sistematicamente esercita violenze sui migranti.
Dopo che all’inizio di ottobre di quest’anno alcuni media europei hanno pubblicato un video che mostra gli agenti della polizia croata picchiare brutalmente un gruppo di migranti, e dopo la recente sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Croazia, ritenendola responsabile della morte di una bambina afghana, Madina Hussiny, il rapporto del CPT è un’ulteriore schiaffo all’immagine che la Croazia si sta sforzando di fornire di sé come di un paese civile e umano, in cui le leggi vengono rispettate e la polizia non perpetua violenze nei confronti di persone inermi.
Che le autorità croate cerchino di insabbiare le violenze commesse nei confronti del migranti lo conferma anche il fatto che il ministero dell’Interno ha informato il CPT che dal 2018 il Servizio disciplinare del ministero dell’Interno ha ricevuto 41 denunce riguardanti il comportamento degli agenti di polizia nei confronti degli stranieri privati della libertà, precisando che di queste 41 denunce 36 sono state respinte, tre sono state giudicate infondate, mentre le restanti due hanno portato all’avvio di indagini, tuttora in corso. Tuttavia, i membri del CPT hanno analizzato le attività investigative avviate dal Servizio disciplinare sulla base di alcune denunce sporte dall’ombudswoman croata o sulla base delle informazioni emerse da alcune inchieste giornalistiche. Dei 12 fascicoli analizzati, solo in due casi – come si legge nel rapporto del CPT – “sono emerse prove dell’intenzione del Servizio disciplinare di svolgere un’indagine sistematica volta a fare chiarezza sulle accuse di azioni illegali mosse nei confronti della polizia croata (ad esempio disponendo tempestivamente un esame medico delle presunte vittime di violenza o guardando le registrazioni video dei maltrattamenti). Purtroppo, gli altri fascicoli non contengono alcuna prova dell’esistenza delle attività istruttorie volte all’accertamento dei fatti degne di essere chiamate tali”.
Il rapporto del CPT si conclude con la constatazione che la polizia croata “segue un modus operandi ben preciso nei confronti dei migranti” e che “l’ostinata tendenza del ministero dell’Interno a negare l’esistenza di qualsiasi irregolarità nell’operato degli agenti di polizia, accompagnata dall’assenza di un efficace meccanismo di controllo”, permette agli agenti di polizia di perpetuare, indisturbati, violenze sui migranti, sapendo che non saranno chiamati a rispondere delle proprie azioni.
Il rapporto del CPT – come si legge nel comunicato stampa emesso dal Consiglio d’Europa – è stato pubblicato “a seguito di alcune dichiarazioni rese da un alto funzionario croato”, nel pieno rispetto del Regolamento sul funzionamento del CPT. Il regolamento in questione prevede che le azioni del CPT siano basate sulla riservatezza e su un rapporto di fiducia reciproca con i paesi in cui vengono svolte missioni di verifica. Secondo il regolamento, un rapporto del CPT non può essere pubblicato senza il consenso del paese interessato, tranne che nel caso in cui, come previsto dall’articolo 39, paragrafo 3, un rappresentante del paese interessato dovesse “rilasciare pubblicamente una dichiarazione che sintetizza il contento del rapporto o lo commenta”.
Tale dichiarazione è stata rilasciata da Terezija Gras, segretaria generale del ministero dell’Interno croato. Nel luglio 2021, nella sua risposta scritta alle domande che le sono state rivolte dal Centro per la pace di Zagabria, Terezija Gras ha affermato che la Croazia non consentirà la pubblicazione del rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura perché i membri della delegazione del CPT avrebbero avuto dei pregiudizi basati su alcuni rapporti delle organizzazioni non governative e avrebbero “minacciato esplicitamente alcuni funzionari di polizia, cercando di impossessarsi dei documenti ufficiali e di fare un’irruzione violenta negli uffici, dimostrando così disprezzo nei confronti delle istituzioni e dei rappresentanti della Repubblica di Croazia”.
Il Comitato per la prevenzione della tortura ha reagito affermando che la Croazia ha violato l’accordo di riservatezza e che, di conseguenza, il CPT non è più obbligato ad astenersi dal pubblicare il rapporto. Così il rapporto è stato pubblicato grazie ad una mossa arrogante e poco intelligente della segretaria generale del ministero dell’Interno croato.
Quel presunto tentativo della delegazione del CPT di “impossessarsi dei documenti ufficiali” si riferisce al fatto che nella stazione di polizia di Koprivnica i membri del CPT hanno trovato quel registro di cui abbiamo parlato all’inizio dell’articolo e mentre ne prendevano visione alcuni agenti di polizia, consapevoli che il registro conteneva informazioni compromettenti, hanno cercato di strapparlo dalla mani dei membri del CPT.
Secondo alcune fonti del ministero dell’Interno – interpellate da Novosti nell’ambito di un’inchiesta giornalistica sulle violenze della polizia croata nei confronti dei migranti – simili registri esistono anche in altre stazioni di polizia in Croazia. Un agente di polizia ha affermato che gli è stato impedito di stendere rapporti ufficiali sugli arresti dei migranti perché questi rapporti “mandano su tutte le furie” il suo superiore, mentre un altro agente ha dichiarato che il ministero dell’Interno, attraverso canali informali, viene quotidianamente informato dei respingimenti dei migranti effettuati dalla polizia.
Anche se i media dovessero parlare con insistenza del rapporto del CPT – e dovrebbero farlo perché si tratta di un documento molto importante – il ministro dell’Intero Davor Božinović probabilmente continuerà a reagire con incredulità ai tentativi di stabilire le responsabilità per quanto sta accadendo all’interno della polizia croata e a ripetere di non avere alcuna intenzione di dimettersi. Resta però da vedere se Terezija Gras, nota per la sua propensione a insabbiare inchieste, pagherà le conseguenze di quella mossa “sbagliata” che ha portato alla pubblicazione del rapporto del CPT, mettendo così il premier Andrej Plenković e il ministro Božinović in una situazione imbarazzante.
Se vivessimo in un paese normale, il contenuto del rapporto del CPT e le azioni illegali compiute ormai da anni dalla polizia croata susciterebbero uno scandalo. Assisteremo invece, con ogni probabilità, ad una situazione in cui la pubblicazione del rapporto del CPT sarà considerata scandalosa e nella lista dei nemici della Croazia, oltre ai giornalisti e difensori dei diritti umani, verranno inclusi anche i rappresentanti di alcune organizzazioni internazionali.