Croazia: Novosti, vent’anni di lotta per una società più giusta

Un settimanale antifascista e femminista in Croazia, è il Novosti che ha compiuto venti anni lo scorso 17 novembre. I nostri amici di Le Courrier des Balkans hanno intervistato Nikola Bajto caporedattore del settimanale

27/11/2019, Nikola Radić -

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Nikola Bajto (foto Toni Gabrić)

(Originariamente pubblicato da Le Courrier des Balkans )

Il settimanale Novosti quest’anno compie vent’anni. Quali sono stati i momenti decisivi della vita del giornale?

La storia di Novosti può essere suddivisa in due periodi di 10 anni ciascuno. Nel primo decennio di vita, il settimanale era edito dal Consiglio nazionale serbo di Croazia e le copie venivano distribuite gratuitamente attraverso una rete di organizzazioni della minoranza serba. Durante questo periodo del dopoguerra – quando la maggior parte dei profughi serbi, cacciati dalla Croazia durante l’operazione Oluja [Tempesta], non era ancora rientrata nel paese – i nostri giornalisti percorrevano la Croazia, raccoglievano dati sulla popolazione serba, cercando di individuare i problemi ma anche di elaborare idee e possibili soluzioni. Il primo numero uscì nel 1999, la stessa settimana in cui morì Franjo Tuđman. Pochi mesi dopo, Stjepan Mesić fu eletto presidente della Repubblica e in un’intervista rilasciata a Novosti invitò i serbi a ritornare in Croazia. Novosti divenne col tempo un’importante fonte di informazione per i serbi, fornendo loro uno spazio di riflessione su questioni politiche, sociali, culturali, etc. Con il passare degli anni, sempre più autori si unirono alla redazione, indipendentemente dalla loro appartenenza nazionale, e si fece strada l’idea di cominciare a distribuire il giornale nelle edicole.

Uno dei motivi alla base di questa decisione fu la chiusura del settimanale satirico di Spalato Feral Tribune, e alcuni giornalisti del Feral entrarono a far parte della redazione di Novosti. Fu così che Novosti divenne una piattaforma anti-nazionalista, di orientamento di sinistra, mentre prima era destinato esclusivamente alla minoranza serba. Oggi i nostri giornalisti sono presenti sul campo, tra la “gente comune”, e il giornale offre uno spazio di dibattito aperto a tutte le sinistre.

Quali sono le difficoltà che state incontrando in questo momento?

Le difficoltà sono iniziate subito dopo la comparsa del giornale nelle edicole. Un gioco di parole sulla collisione tra due aerei MIG dell’Aereonautica militare croata, che abbiamo pubblicato in prima pagina, ha provocato numerose reazioni ed è stata lanciata una campagna denigratoria contro il giornale. Da allora, abbiamo dovuto combattere, in più di un’occasione, per poter commentare la realtà ed esprimere le nostre opinioni su un piano di parità con gli altri giornalisti e cittadini croati. Difendiamo i valori che dovrebbero essere universali e sanciti dalla costituzione ma che sono sempre minacciati dall’estrema destra. La nostra sfida più grande è quella di mantenere questa direzione. Siamo stati bersaglio di numerose campagne mediatiche, soprattutto nel 2015, dopo la pubblicazione di una mia parodia dell’inno croato, scritta in occasione del ventennale dell’operazione militare Tempesta.

Dopo la pubblicazione di quella poesia satirica molti uomini politici ci hanno accusato di aver dileggiato i simboli nazionali, mentre noi ci siamo fatti beffe del regime, del fenomeno della militarizzazione della società croata e dei tentativi di nascondere la verità. L’ultima campagna contro Novosti è stata lanciata nel 2017, quando ci siamo ampiamente occupati della nuova ondata ultraconservatrice in Croazia, che può essere considerata come una conseguenza della tendenza a concedere finanziamenti smisurati alle associazioni cattoliche ultraconservatrici. Inoltre, i membri del Partito croato dei diritti (HSP, partito di estrema destra e filo-ustascia) in più occasioni hanno bruciato le copie del nostro giornale davanti alla redazione; riceviamo continuamente messaggi minatori sui social network, oltre alle email firmate con uno slogan ustascia; ci bollano come cetnici, etc. Con la virata a destra della società croata a cui si assiste negli ultimi anni, sono aumentate anche le pressioni a cui è sottoposto il nostro giornale.

Come descriverebbe l’evoluzione della scena mediatica croata negli ultimi dieci anni?

La scena mediatica croata è completamente cambiata nel corso dell’ultimo decennio. Con la crisi economica, i salari nel settore dei media si sono abbassati, il numero di dipendenti è stato ridotto, e molti mezzi di informazione sono stati chiusi. Parallelamente, la digitalizzazione dell’informazione continua ad avanzare in tutto il mondo e certe piattaforme online sono state trasformate in spazi pubblicitari. Tuttavia, la situazione in Croazia è migliorata negli ultimi anni, e lo dimostra il fatto che alcune inchieste giornalistiche hanno portato alla destituzione dei ministri, alla crisi di governo, etc. Dall’altra parte, la Radiotelevisione croata (HRT), purtroppo, è sotto il pieno controllo del regime e continua a perseguire una prassi che non esiste in nessun’altra parte d’Europa, ovvero a sporgere querele contro gli altri media croati ma anche contro i giornalisti che in passato hanno lavorato alla HRT, tra cui anche Hrvoje Zovko, attuale presidente dell’Associazione dei giornalisti croati.

Cosa pensa della situazione della libertà di stampa in Croazia? In un recente rapporto, l’organizzazione Reporter senza frontiere ha denunciato il clima di intolleranza verso i giornalisti che sta dilagando in Croazia…

Ultimamente non è stato registrato alcun attacco fisico ai giornalisti. Tuttavia, Đurđica Klancir, giornalista del portale Net.hr, è stata recentemente convocata dalla polizia per un interrogatorio, su richiesta di un politico, mentre un giornalista del portale Index.hr è stato interrogato per aver pubblicato alcuni post sui social network sulle violenze compiute dalla polizia. Questi esempi dimostrano che, se non ci opponessimo all’apparato statale, i giornalisti verrebbero continuamente arrestati.

La mostra che avete organizzato a Zagabria in occasione del ventennale della fondazione di Novosti racconta, attraverso la fotografia, venti storie di serbi di Croazia. Come vive oggi la minoranza serba a Zagabria e in altre parti della Croazia?

Non dispongo di dati certi, ma penso che circa la metà dei serbi di Croazia viva nelle aree meno sviluppate del paese e non riceva alcun aiuto dallo stato. Durante la guerra, i serbi avevano abbandonato le aree urbane. Tuttavia, la minoranza serba è ancora presente nella Slavonia orientale, ad esempio a Vukovar. Ma lì non viene promossa la reintegrazione pacifica di quelli che hanno combattuto nella guerra, bensì vengono celebrate le vittorie di guerra, affermando che i serbi che vogliono ritornare in Croazia non sono i benvenuti. La situazione è diversa nelle regioni di Lika, Kordun e Banovina, nonché in Dalmazia. In quelle zone la comunità serba è stata decimata; le città e i villaggi che prima della guerra erano abitati prevalentemente da serbi oggi sono abitati perlopiù da croati, ma vi è una cooperazione più forte e una comprensione migliore tra i ritornanti serbi e la popolazione croata. Ad esempio, il sindaco di Knin, un politico di destra, ha avviato un dialogo con la minoranza serba; reagisce regolarmente agli attacchi contro i serbi, cerca di attenuare le tensioni e agisce in maniera costruttiva.

Per quanto riguarda la mostra, attraverso le storie raccontate abbiamo voluto offrire una panoramica delle situazioni tipiche vissute dai ritornanti serbi, ma anche presentare alcune storie insolite come quella di una recente partita di calcio tra la squadra della minoranza serba in Croazia e la squadra della minoranza croata in Serbia. In Croazia esiste un partito serbo i cui membri non insistono sulla loro identità nazionale e a Zagabria ci sono alcuni ambienti in cui l’appartenenza nazionale non ha alcuna importanza ed è lì che i serbi si sentono a casa loro. Il principale partito dei serbi di Croazia (Partito democratico indipendente serbo, SDSS) si ispira alla tradizione antifascista della Seconda guerra mondiale, quando i serbi, i croati e altri popoli jugoslavi hanno lottato insieme nel movimento partigiano contro le ideologie radicali. Anche le istituzioni della minoranza serba in Croazia poggiano sull’antifascismo, eppure alcuni continuano a bollarle come istituzioni dei “cetnici”.

Ultimamente in Croazia i messaggi di odio e gli attacchi contro i serbi sono diventati sempre più frequenti. Quali sono i fattori che contribuiscono ad alimentare questo clima di violenza?

Questi attacchi non sono di certo una novità, né tanto meno sono la cosa peggiore che abbiamo dovuto affrontare. La crisi economica, la crisi dei migranti, e molti altri fattori hanno contribuito alla trasformazione della scena politica croata. Nel 2016, l’Unione democratica croata (HDZ) e il movimento MOST hanno formato un governo apertamente nazionalista, che ha avuto vita breve ed è caduto a causa di uno scandalo di corruzione, ma da allora si è sviluppata una piattaforma politica radicale ben strutturata. Di tanto in tanto alcuni politici se ne appropriano. Tomislav Karamako, ex presidente dell’HDZ, sostiene che Miroslav Škoro abbia fatto propria quella piattaforma politica radicale, e quest’ultimo, secondo i sondaggi dell’opinione pubblica, potrebbe ottenere una notevole percentuale dei voti alle elezioni presidenziali che si terranno a dicembre. L’ostilità verso i migranti, il ritorno delle ideologie ultraconservatrici, il potere finanziario, la forte presenza della Chiesa cattolica e delle associazioni dei veterani di guerra, tutto questo contribuisce ad alimentare il nazionalismo, e i serbi sono il primo bersaglio quando si tratta di dimostrare chi sono i “veri croati”.

Quest’anno è stato registrato un preoccupante numero di attacchi contro i serbi, di cui almeno tre attacchi organizzati: uno a Spalato, dove sono stati attaccati alcuni giocatori di pallanuoto della Stella Rossa di Belgrado; uno a Brač, dove sono stati presi di mira alcuni lavoratori stagionali provenienti da Vukovar, e uno a Uzdolj, avvenuto in un bar durante la trasmissione di una partita di calcio. Purtroppo, l’attuale governo croato incoraggia questo clima di odio, tollerando l’uso del saluto ustascia “Za dom spremni” [Per la patria pronti], nonostante esso simboleggi un male terribile. E come se qualcuno camminasse per strada urlando “Sieg Heil”. Il saluto “Per la patria pronti” è scritto sulle targhe apposte sui muri, viene scandito durante le commemorazioni dell’operazione Tempesta, ed è così che viene legittimata la politica rappresentata da questo slogan: una politica criminale, genocidaria, anti-serba, antisemita, contro le minoranze. Il frequente ricorso a questo simbolo ustascia la dice lunga sullo sviluppo di questa politica molto inquietante.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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