Croazia, la parabola discendente di Karamarko
Il vice primo ministro del governo croato, Tomislav Karamarko, ha scatenato uno scandalo che ha fatto cadere il governo e che comporterà probabilmente la fine della sua carriera politica
"Vi comunico che rassegno le dimissioni dalla carica di presidente del HDZ. Le ragioni sono chiare e numerose ma, in generale, diciamo che ho promesso al partito che avrei creato una maggioranza nel Sabor (il parlamento croato, ndr), cosa che non sono riuscito ad ottenere e credo che sia normale che me ne assuma la totale responsabilità. Mi ritengo una persona responsabile e credo che il partito debba andare avanti," ha detto Tomislav Karamarko lasciando la guida del partito di governo dell’Unione democratica croata (HDZ).
Le sue dimissioni rappresentano la fine di un mese di lunga crisi politica, che ha portato per la prima volta nella storia della Croazia indipendente alla caduta di un governo. Il governo di coalizione era già di per sé un esperimento politico, perché composto dall’HDZ, dalla debole alleanza di liste indipendenti-MOST e da tutto un insieme di partiti e candidati minori di centro e di destra. Su insistenza di MOST, come primo ministro era stato scelto un tecnico non appartenente ad alcun partito, affinché tale governo non rimanesse ostaggio degli interessi particolari dei deputati dell’HDZ e affinché il premier tecnico potesse realizzare le riforme con più tranquillità, innanzitutto in ambito economico.
Come primo ministro era stato scelto Tihomir Orešković, un manager relativamente anonimo di un’industria farmaceutica, che ha trascorso quasi tutta la sua vita in Canada e all’estero. Orešković è stato scelto per la carica di primo ministro dall’HDZ e dal suo presidente Tomislav Karamarko – l’uomo che, prima delle elezioni, tutti scommettevano sarebbe divenuto premier. Karamarko, uomo dal grande ego e di grande influenza, è poi diventato primo vice premier, di fatto davanti all’altro vice premier Bože Petrov (presidente di MOST) e dietro ad Orešković, ed era opinione diffusa che Karamarko avrebbe tirato le fila del governo, dato che Orešković non godeva di alcun sostegno senza di lui, mentre Petrov era privo di esperienza.
Tuttavia, per Karamarko le cose non sono andate come previsto ed è riuscito, con l’aiuto del ministro della Cultura Zlatko Hasanbegović, ad aver successo solo in un primo passo impostato: il controllo dei media e soprattutto della tv di stato croata (HRT). Ma già al secondo passo, quello relativo alla gestione dell’apparato di sicurezza e dei servizi segreti, è rimasto intrappolato. Oltre ad aver dovuto concedere a MOST il ministero degli Affari Interni, non è infatti riuscito a piazzare una propria persona di fiducia al vertice della SOA, ovvero i servizi segreti croati, funzione che ha ricoperto lui stesso in passato.
Nonostante le dichiarazioni della presidente Kolinda Grabar-Kitarović, che ha affermato che il direttore della SOA in carica, Dragan Lozančić, sarebbe una spia privata dell’ex primo ministro Zoran Milanović, Karamarko non è riuscito a mettere al suo posto un uomo di sua fiducia. MOST, e soprattutto Orešković, hanno fatto saltare i suoi piani e, su indicazione dello stesso Lozančić, a capo della SOA il primo ministro ha nominato Daniel Markić.
Il caso INA-MOL
Infine è arrivato il terzo passo, sul quale Karamarko è scivolato e anche caduto: il caso INA. L’INA è la principale azienda energetica croata e la sua proprietà è in mano per il 49% delle azioni all’ungherese MOL, e per il 46% allo stato croato. Ed è oggetto di contesa tra le due parti.
E’ attualmente in corso un arbitrato internazionale a Londra che riguarda proprio i diritti di gestione sull’INA. La Croazia ha intrapreso questo arbitrato nel 2014, sotto la guida del precedente governo di centro-sinistra, sulla base del fatto che il contratto di gestione della MOL era il risultato della corruzione tra l’ex premier croato Ivo Sanader e il consiglio di amministrazione della MOL. La Croazia al momento dell’inizio dell’arbitrato aveva dalla sua buone possibilità, in quanto Sanader era stato condannato per aver preso tangenti da alcuni rappresentanti della MOL. Poi, nel luglio 2015, il tribunale ha annullato entrambe le sentenze di condanna (di primo e secondo grado).
È bene ricordare che in precedenza quando era all’opposizione e fin dall’inizio del suo insediamento alla carica di vicepremier, Karamarko si è sempre dichiarato favorevole ad un ritiro dall’arbitrato o ad un accordo diretto con la stessa MOL.
In effetti l’arbitrato ha "condannato" lo stesso Karamarko. Quando ad aprile è comparso in tribunale in qualità di testimone della MOL Josip Petrović, ex manager dell’INA, i media e i politici croati hanno iniziato a metterlo in relazione con Karamarko. I deputati di MOST hanno chiesto che Karamarko spiegasse pubblicamente quali fossero i suoi rapporti con Petrović. Karamarko alla fine ha ammesso contro voglia di aver avuto rapporti di amicizia, ma ha negato qualunque rapporto di tipo professionale o che la loro amicizia potesse influenzare l’arbitrato INA-MOL. Tuttavia, i media sono riusciti a dimostrare il contrario e il settimanale Nacional ha pubblicato un articolo che affermava che la moglie di Karamarko, Ana Šarić Karamarko, aveva ricevuto 60.000 euro proprio da Petrović.
Nell’arco di due anni, l’azienda Drimia della Šarić Karamarko ha ricevuto circa 2.500 euro al mese dall’azienda Peritus Consulting di Petrović per consulenze su indagini di mercato e del settore energetico nella regione. A parte esser stati incassi significativi per la stessa Drimia, che era stata fondata come azienda senza grandi referenze sulla conoscenza del mercato energetico, gli importi totali che sono stati versati dalla Peritus Consulting provenivano proprio dalla MOL.
La Peritus Consulting, anche se è un’azienda di consulenza, ha realizzato la maggioranza dei propri introiti attraverso la MOL, questo spiega perché Petrović viene definito un lobbista di tale azienda. Oltre a ciò, nell’ultimo numero del Nacional, è stato reso noto che anche l’ex azienda di Karamarko, la Soboli s.r.l., aveva collaborato con Petrović nel 2003 e 2004, quando ancora era di proprietà di Karamarko, ovvero quando Petrović era ancora un amministratore dell’INA, il che conferma i rapporti professionali tra i due.
Conflitto di interessi
Tutto ciò lasciava pensare ad un possibile caso di corruzione e ad un conflitto di interessi privati (di Karamarko) con gli interessi nazionali in un settore di importanza strategica, come quello energetico. Dopo che tutto ciò è diventato di dominio pubblico, MOST, il Partito socialdemocratico croato (SDP), e alla fine lo stesso Orešković hanno chiesto che Karamarko lasciasse l’incarico di vice primo ministro. Le richieste dell’SDP sono state chiare – un giro di vite sulle figure di governo e nuove elezioni – mentre MOST e Orešković in un primo momento hanno cercato di salvare quel poco di sostegno pubblico che avevano, provando quindi a risolvere la questione Karamarko.
Karamarko non è riuscito a concepire un governo in cui lui non fosse una delle più alte cariche dello stato, ha intrapreso un percorso destinato a distruggere il governo stesso e, alla fine, anche se stesso. Karamarko e l’HDZ hanno quindi iniziato la procedura per sfiduciare il premier Orešković e con successo hanno ottenuto la caduta dell’esecutivo.
Allo stesso tempo hanno sostenuto vigorosamente la possibilità di formare una nuova maggioranza parlamentare senza MOST e di poter dar vita ad un nuovo esecutivo, anche se era matematicamente impossibile, considerata l’assegnazione dei seggi nel Sabor. Infatti, hanno continuato a ripetere di avere in Parlamento una più che sufficiente maggioranza per la formazione del nuovo governo, fino a quando la presidente Kolinda Grabar Kitarović ha dichiarato che non possedevano la maggioranza richiesta e che oltre 80 deputati parlamentari (dei 151 totali) avevano già richiesto lo scioglimento del Sabor e nuove elezioni parlamentari, con tutta probabilità da tenersi a settembre.
Resta solo da vedere se anche Karamarko farà la stessa fine di tutti i presidenti del HDZ degli ultimi 16 anni, che sono stati esclusi dal partito dopo aver lasciato il posto da presidente.