Croazia-Italia: armistizio diplomatico

Dopo accesi botta e risposta, sfociati in una vera e propria "guerra diplomatica", si sono finalmente smorzati i toni tra Zagabria e Roma. Tuttavia per gli analisti croati la delicata questione delle foibe andrebbe risolta. Il presidente Mesic propone una commissione italo-croata di esperti

20/02/2007, Drago Hedl - Osijek

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Stipe Mesic

"Terminata la guerra diplomatica Napolitano-Mesic"; "Mesic porge la mano della riconciliazione", "L’Italia si è ritirata", sono solo alcuni dei titoli comparsi sulle prime pagine dei giornali croati di domenica scorsa, e che hanno espresso la soddisfazione della Zagabria ufficiale per il fatto che il gravoso episodio diplomatico con l’Italia sia stato finalmente superato. Il presidente croato Stjepan Mesic ha firmato una dichiarazione con la quale dice che le parole del presidente italiano non sono state di revanscismo, e che non hanno messo in questione gli Accordi di Osimo, e in seguito da Roma è giunta la tranquillizzante dichiarazione del ministro italiano degli Affari Esteri Massimo D’Alema secondo la quale i toni polemici nella recente dichiarazione di Napolitano, a proposito del Giorno del ricordo delle foibe, il 10 febbraio, non si riferivano alla Croazia, e che l’Italia non mette in questione l’Accordo di pace del 1947, e nemmeno gli Accordi di Osimo e di Roma. A Zagabria con sollievo sono state accolte le parole con le quali il presidente italiano "con soddisfazione ha constatato che Mesic ha accettato le spiegazioni", e in particolare è stata ben accolta quella parte della dichiarazione dove si dice che l’Italia offre il sostegno alla Croazia per il suo ingresso nell’UE.

La diminuzione delle tensioni fra Zagabria e Roma, nella capitale croata è stata accolta con sollievo. Al vertice politico del Paese, che già da mesi sta conducendo una guerra diplomatica con la Slovenia circa una serie di questioni di frontiera, ciò che meno serviva era aprire un altro fronte con i vicini, cioè con l’Italia, un altro membro dell’Unione europea. La Croazia è andata parecchio avanti nelle trattative per entrare nell’Unione europea, spera che entro la fine del decennio possa entrare in questa potente unione ed è consapevole che per far questo le serve il sostegno di tutti i membri, prima di tutto dei vicini. Così, nella lunga guerra diplomatica con la Slovenia e in questa con Italia che è scoppiata all’improvviso, ma che si è altrettanto velocemente calmata, Zagabria si è trovata in una situazione paradossale: i suoi rapporti diplomatici sono decisamente migliori con i vicini orientali, Serbia e Montenegro, con i quali fino a ieri era in guerra, piuttosto che con i membri dell’Unione europea, Slovenia e Italia, in compagnia delle quali vorrebbe entrare con tutte le sue forze in Unione europea.

Le fonti vicine al presidente croato dicono che la forte reazione di Mesic in realtà è stata la risposta all’uscita del ministro italiano degli Esteri D’Alema, quando in Slovenia, alcuni mesi fa, in modo abbastanza chiaro disse che l’Italia potrebbe aprire la questione dell’accordo stretto con l’ex Jugoslavia. Questo è stato il segnale che a Roma forse si stesse pensando alla revisione di questi accordi, sicché la reazione di Mesic andrebbe letta in questo contesto. Ma, affermano le fonti vicine al presidente croato, questo non è certo stato l’unico motivo di una tale reazione.

Il sottoscritto all’inizio di febbraio, nel periodo in cui è iniziata la guerra diplomatica fra Italia e Croazia, ma quando non aveva ancora preso le dimensioni "infuocate" alle quale si è giunti la settimana scorsa, ha avuto occasione di parlare con il presidente croato a proposito della sua intervista rilasciata alla televisione italiana. Dall’altra parte dell’Adriatico gli è stato rimproverato che parlando delle foibe ha affermato che questi crimini – commessi dai partigiani di Tito contro i militari italiani in Istria – siano stati una conseguenza della vendetta per i crimini precedenti compiuti dai membri delle forze fasciste italiane contro la popolazione croata in Istria. Mesic allora ha detto che non aveva voluto in alcun modo né negare né minimizzare le vittime italiane, ma che aveva voluto avvertire che, quando si parla di loro, bisogna dire che anche i croati dell’Istria furono vittime delle forze occupanti italiane.

In quell’occasione, Mesic all’autore del presente articolo ha chiarito che purtroppo in Italia di questo non si parla, ed ha ripetuto che in nessun modo vuole sminuire i crimini delle foibe, ma che per la verità storica bisogna dire anche quello che durante la Seconda guerra mondiale su quei territori è accaduto ai croati.

Ecco perché, dicono gli analisti, la sua proposta di formare una commissione comune, italo-croata di esperti forensi e di storici, alla quale potrebbero unirsi anche degli esperti neutrali, di cui ha avanzato la proposta all’apice della crisi diplomatica fra Roma e Zagabria, sembra ragionevole e, aggiungono gli analisti, il tabù sulle foibe, che ha regnato per molti anni dopo la fine della guerra, in realtà è un vecchio peccato del governo jugoslavo e del governo italiano che hanno pensato che la cosa migliore fosse cacciare queste e altre questioni scomode sotto il tappeto.

L’eventuale commissione comune di esperti forensi e di storici che dovrebbe indagare quante sono in realtà le persone finite nelle foibe non avrà un compito facile. Il professore Marino Manin dell’Istituto croato per la storia ha reso noto sullo "Jutarnji list" che i dati relativi alle parziali esumazioni svolte sotto il controllo degli alleati occidentali sul territorio della Venezia Giulia, dunque sul territorio che allora si trovava sotto l’amministrazione dell’Esercito jugoslavo, hanno indicato 286 vittime. Ma riguarda solo la popolazione residente, cioé le persone che vivevano nella parte croata della Venezia Giulia, e non i soldati italiani. Il professore Manin avverte che non si tratta di risultati finali, e allo stesso tempo indica anche i dati che compaiono nella letteratura scientifica italiana secondo la quale il numero delle vittime delle foibe è di 16.500 persone (Luigi Papo), e 12.000, secondo quanto affermano gli storici un po’ più moderati.

Le valutazioni fondate, dice il professore Manin, vanno da circa 4.500 fino a 6.000 vittime delle foibe – e ciò è supportato anche da alcuni elenchi di nomi delle vittime. Ma questi numeri non si riferiscono solo al territorio della parte croata dell’Istria, bensì all’intero territorio ad ovest della linea di frontiera Rapallo-Roma dove ha operato l’allora esercito jugoslavo, ivi compreso il territorio di Trieste.

Sebbene le differenze anche in questo senso sembrano parecchie, concludono gli analisti politici di Zagabria, questo problema andrebbe risolto, perché esso, in relazione ai problemi interni di entrambi i paesi, potrebbe sempre apparire come terreno di nuovi disaccordi e tensioni nei rapporti fra Roma e Zagabria.

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