Croazia, a tutto gas

La Croazia si appresta a diventare un centro regionale di fornitura del gas grazie al rigassificatore inaugurato nel 2021 sull’isola di Krk (Veglia). Il governo Plenković gongola per il rinnovato ruolo strategico-energetico di Zagabria ma gli ambientalisti non sono affatto d’accordo

17/10/2022, Giovanni Vale -

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Impianto di rigassificazione sull'isola di Krk © xbrchx/Shutterstock

"La Croazia diventerà un centro regionale di fornitura del gas". Nel momento in cui l’Europa si prepara ad un inverno difficile dal punto di vista energetico, il Primo ministro croato Andrej Plenković tratteggia per il suo paese un futuro, se non roseo, almeno promettente , complici – stando a quanto sostiene il premier – alcune decisioni degli ultimi anni e le ultime mosse dell’esecutivo di Zagabria.

Il rigassificatore azzeccato?

Il perno attorno al quale ruota la politica energetica della Croazia è il rigassificatore inaugurato ad inizio 2021 sull’isola di Veglia (Krk) in Alto Adriatico. Co-finanziato dall’Unione europea con 124 milioni di euro, il rigassificatore ha una capacità attuale di 2,6 miliardi di metri cubi l’anno, contro i circa 2,9 miliardi che costituiscono la domanda annuale di gas della Croazia. Si tratta di un’infrastruttura chiave, che è stata costruita tra le polemiche, ma che diversi osservatori giudicano oggi azzeccata: nel momento in cui viene meno il gas a buon mercato della Russia, la Croazia ha uno strumento che le permette di rifornirsi altrove (altri paesi europei sono in una situazione simile, altri hanno invece previsto di costruire nuovi rigassificatori ).

Ma il rigassificatore di Veglia non è vantato dal governo croato solo come strumento di approvvigionamento interno, ma soprattutto come infrastruttura utile ai paesi vicini. Andrej Plenković ha annunciato a fine agosto che la capacità del terminal GNL sarà portata da 2,9 a 6,1 miliardi di metri cubi e che un nuovo gasdotto sarà costruito tra Zlobin, sulla terraferma a poca distanza dal ponte di Veglia, a Bosiljevo, sulla via per Karlovac e Zagabria (e quindi l’Ungheria). L’investimento complessivo è di circa 180 milioni di euro, che si spera saranno parzialmente finanziati, anche questa volta, dall’Unione europea, visto l’interesse comune per l’infrastruttura. Già oggi, infatti, paesi come l’Ungheria e la Slovacchia si approvvigionano presso il rigassificatore di Veglia, dove dal mese di aprile è attivo un servizio di rifornimento diretto da nave cargo ad autocisterna .

In futuro, insomma, il ruolo strategico-energetico della Croazia potrebbe aumentare. Questo è perlomeno l’auspicio di Zagabria che immagina che il raddoppio della capacità del terminal sarà completato nel 2024-2025 (fa parte del progetto anche la costruzione, annunciata ad ottobre, di un deposito di gas nei pressi del porto di Zara ). E il governo croato non è l’unico a vedere nel rigassificatore una scelta azzeccata del passato. Il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung parla ad esempio di un progetto “saggio e lungimirante, almeno a posteriori”, ovvero alla luce della guerra in Ucraina. L’articolo denuncia anche il “tono pregiudiziale” che aveva “caratterizzato gran parte della copertura (mediatica) del rigassificatore”, al tempo della sua costruzione. Insomma, Zagabria ci ha visto lungo e adesso merita le lodi. Ma è davvero così?

La transizione energetica mancata

Nella sede dell’ONG ambientalista Zelena Akcija, nel centro di Zagabria, Marija Mileta alza gli occhi al cielo appena sente parlare dei buoni motivi per il cui il rigassificatore dell’isola di Veglia va ampliato. “C’è stata una grande lobby da parte dell’Unione europea e degli Stati Uniti per la costruzione del terminal – ricorda Marija Mileta, responsabile della campagna per l’eliminazione progressiva del gas – il governo allora ha deciso di tirare dritto, ha imposto una legge speciale per accelerare i lavori, l’80% dei commenti durante la discussione pubblica sono stati respinti e sono state saltate alcune procedure” (una parte delle critiche al progetto erano infatti dovute all’approccio adottato dal governo nella costruzione dell’impianto, ascoltando poco o per nulla le comunità locali). Ma alla luce dell’attuale crisi energetica, fu comunque una scelta lungimirante, o no? “È fumo negli occhi”, taglia corto Mileta, “l’industria degli idrocarburi approfitta della situazione e il gas, invece che arrivare dalla Russia, verrà dagli Stati Uniti”.

Le critiche che gli ambientalisti croati muovono al piano di ampliamento del rigassificatore sono tante, dal modo in cui il progetto è presentato – “l’ampliamento del terminal non risolve il problema di quest’inverno, ci vorrà un nuovo studio di impatto ambientale e poi almeno un anno e mezzo di lavori”, dice Marija Mileta -, al rischio corruzione, soprattutto alla luce dello scandalo che ha colpito di recente l’impresa di idrocarburi croata INA (dalla quale alcune persone vicine al governo hanno rubato 120 milioni di euro di gas). Ma l’obiezione più importante è di tipo strategico. “Sarebbe stato meglio investire quei soldi in energia solare”, riprende l’attivista, che ricorda “il solare rappresenta l’1% del mix energetico croato. Il comune di Maribor in Slovenia produce da solo più energia solare di tutta la Croazia”. E non c’è solo il fotovoltaico: “Non si parla di efficienza energetica, non si interviene nell’isolamento degli edifici, insomma manca una visione a lungo termine”.

L’industria degli idrocarburi in Croazia ha una lunga storia di torbidi legami con i governi (un eccellente riassunto è il documentario di Gong “Gospodari plina” o “Signori del gas” ). Il caso più noto è quello del Primo ministro Sanader (2003-2009), condannato a 6 anni di carcere per aver accettato una tangente dal gruppo petrolifero ungherese MOL, che in cambio ha potuto completare la sua scalata all’INA, diventandone azionista di maggioranza (MOL detiene il 47% circa del capitale, contro il 44% dello stato croato). Ma ci sono tante altre vicende e scandali ancora in corso, con l’ultimo capitolo scritto appena poche settimane fa, quando il CEO di INA, accusato di corruzione, ha dato le dimissioni . In un contesto del genere, non stupisce che ogni nuovo progetto nel settore degli idrocarburi susciti grandi perplessità in Croazia.

A questo si aggiunge la questione della transizione energetica. L’aumento dei prezzi dei combustibili fossili russi, e in particolare del gas, avrebbe potuto accelerare il passaggio alle fonti di energia rinnovabile, un imperativo per ogni governo nella lotta contro il cambiamento climatico. Ma sembra che le cose prenderanno una piega diversa.

Un documento ottenuto dal portale Euractiv suggerisce che i governi dei 27 stati membri dell’UE siano decisi a ridurre la percentuale di energie rinnovabili imposta dalla Commissione europea nell’ambito del piano REPowerEU: invece di puntare al 45% di rinnovabili entro il 2030, i governi nazionali preferirebbero accontentarsi del 40%, con buona pace del riscaldamento globale.

La vera urgenza non è l’apocalisse climatica, ma il riscaldamento di quest’inverno. In questo contesto, la Croazia, che scommette tutto sul rigassificatore in Adriatico, non fa eccezione in Europa, anzi, è un allievo modello.

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