Crimea: la Turchia tra i fratelli tartari e il basso profilo
La Turchia osserva con inquietudine crescente l’evoluzione della crisi in Ucraina. Non si tratta solo di avere a che fare con il vicino russo, ma dell’obbligo per il governo Erdoğan – pena la perdita di popolarità – di affermare la propria solidarietà con i tartari di Crimea
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 15 marzo 2014)
Chi passeggiava a Istanbul lungo le rive del Bosforo ha potuto assistere, dagli inizi di marzo, ad un balletto acquatico poco comune: a qualche giorno di intervallo l’una dall’altra hanno passato lo stretto cinque navi da guerra – due russe, due americane e una ucraina – dirigendo la prua verso il Mar Nero. Un’immagine che ricorda bene quanto la Turchia è, suo malgrado, sempre più coinvolta nella crisi di Crimea.
Ankara avrebbe voluto tenere il profilo basso, stretta tra due partner essenziali. Da una parte la Russia, che fornisce il 60% del gas consumato in Turchia e che sta costruendo la prima centrale atomica turca, senza parlare degli ingenti investimenti turchi in Russia e i 4 milioni di turisti russi che arrivano ogni anno sulle spiagge del paese. D’altra parte devono essere gestiti i partner occidentali, già indispettiti da un governo giudicato sempre più autoritario – in particolare dopo la repressione delle proteste di Gezi – senza dimenticare degli obblighi che derivano alla Turchia dall’essere un membro della NATO.
L’allargarsi della crisi ucraina alla Crimea impone però ora alla diplomazia turca di inserirla tra le proprie priorità, vista la presenza di 250.000 tartari di Crimea, popolo turcofono e sunnita che rappresenta il 12% della popolazione della penisola.
In una visita in Ucraina lo scorso 28 febbraio, il ministro degli Etseri turco Ahmet Davutoğlu, aveva avvisato: “Ci stiamo muovendo per difendere i diritti dei nostri fratelli di Crimea e faremo tutto il necessario per riuscirci”. Durante la sua visita a Kiev durante la quale il capo della diplomazia turca ha incontrato non solo i nuovi dirigenti ucraini ma anche i rappresentanti delle istanze politiche dei tartari.
Deportazione
Popolo autoctono di questa penisola appartenuta all’Impero ottomano sino alla fine del XVIII secolo, i tartari hanno ricordi amari della presenza russa in Crimea. Vittime dei Progrom a seguito della conquista russa, sono stati deportati in massa in Asia centrale da Stalin nel 1944. I sopravvissuti e i loro discendenti hanno avuto la possibilità di rientrare in Crimea dopo l’implosione dell’Unione sovietica ma la convivenza con la popolazione russa non è mai stata semplice in particolare a causa delle loro terre, requisite ai tempi della deportazione, e ora nella mani di famiglie d’origine slava.
Così i tartari hanno massicciamente sostenuto la “rivoluzione” arancione nel 2004 e anche quella di Maidan nelle ultime settimane e i deputati tartari al parlamento di Kiev sono affiliati alle liste del partito Roukh, un partito nazionalista ucraino, che ha radici in particolare nell’ovest del paese ed ormai coincidente con il movimento Batkivchtchyna (La patria) di Yulia Tymoshenko.
E ora ormai i tartari temono le conseguenze di un’integrazione della Crimea con il territorio russo.
Visto dalla Turchia, il dossier ucraino è complicato e rischia di compromettere la buona intesa diplomatica e commerciale tra Ankara e Mosca. Storicamente la Turchia ha sempre evitato di mettersi contro il grande vicino russo: ai tempi del conflitto russo-georgiano nel 2008 Ankara aveva evitato di schierarsi in modo troppo evidente. Ma nella crisi attuale la presenza del “popolo fratello” cambia le carte in tavola ed obbliga Ankara ad adottare, assieme al campo occidentale, toni più fermi in favore dell’integrità territoriale dell’Ucraina.
La Turchia sul filo
“La posizione turca è molto delicata”, riconosce il politologo Sinan Ülgen, “perché Ankara cerca di conservare buone relazioni con Mosca a causa della sua dipendenza dal gas russo e il legami commerciali tra i due paesi, senza contare la calorosa relazione personale tra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdoğan. Malgrado i loro disaccordi di fondo sulla questione siriana, le due capitali hanno saputo conservare delle buone relazioni bilaterali, che rischiano ora di essere compromesse da questa nuova crisi”.
Il dossier ucraino andrà a condizionare anche la politica interna turca? All’alba di un’annata elettorale cruciale, il governo del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) è piombato in una serie di scandali e le contestazioni sociali stanno riprendendo vigore. Agli occhi di una parte dell’elettorato – senza contare la diaspora tartara in Turchia, che conterebbe più di un milione di persone – la difesa di una popolazione turcofona al di fuori delle proprie frontiere è importante. A partire da marzo manifestazioni di sostegno ai tartari e contro l’occupazione russa in Crimea sono state organizzate ad Ankara, Istanbul, Izmir e Bursa. “Il governo Erdoğan deve dichiarare il suo sostegno e mostrare che intende proteggere i tartari di Crimea. Altrimenti concederà troppo spazio agli ambienti nazionalisti”, sottolinea Sinan Ülgen. Col rischio però di pagarne un prezzo ingente nel confronto con Mosca.