Crimea: la Russia contro i tatari

La magistratura russa ha avviato un’azione contro il Mejlis, organo rappresentativo dei tatari di Crimea. Minoranze, loro media e diritti nel post annessione

06/05/2016, Matteo Zola -

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Crimea (mischvalente/flickr)

Natalia Poklonskaia, procuratore generale della Crimea, nominato dopo l’annessione russa, ha deciso di sospendere l’attività del Mejlis, il locale parlamento dei tatari. La decisione è solo l’ultima, in ordine di tempo, volta a limitare le libertà politiche dei tatari, minoranza musulmana e turcofona della regione che fin dall’inizio della crisi ucraina ha manifestato la propria contrarietà all’annessione della penisola da parte della Russia, avvenuta nel marzo 2014.

Il Mejlis è l’organo rappresentativo dei tatari di Crimea, include 33 membri, e dal 1991 svolgeva un ruolo di raccordo tra la comunità tatara e le autorità nazionali ucraine e locali, indirizzando richieste o segnalando problemi al parlamento di Kiev. Suo scopo principale è però la conservazione della memoria della deportazione, il Surgun, ordinata da Stalin nel 1944. L’attività del Mejlis ha cominciato a farsi difficile nel 2010, quando un gruppo di attivisti pro-russi della Crimea indirizzò – senza successo – all’allora presidente Viktor Yanukovich la richiesta di abolire ogni forma di rappresentanza politica dei tatari, accusandoli di essere un gruppo di "estremisti dedito al crimine organizzato". All’indomani dell’occupazione russa del 2014, il Mejlis si pronunciò contro l’annessione della Crimea boicottando il referendum voluto da Mosca. Una decisione pagata a caro prezzo.

Mustafa Dzhemilev, guida storica dei tatari di Crimea, è stato esiliato già nell’aprile 2014 mentre misteriose sparizioni di attivisti tatari cominciarono ad avvenire nell’autunno 2014. Amnesty International, nel suo report 2015 sulla situazione in Ucraina, ricorda che: "Non sono state condotte indagini efficaci sui sei casi di sospetta sparizione for­zata di attivisti tatari di Crimea, avvenuti nel 2014, e per un caso confermato di rapimento, tortura e uccisione. Ciò è avvenuto nonostante le molte prove a di­sposizione, incluse videoregistrazioni, suggerissero chiaramente che i paramilitari filorussi della cosiddetta Forza di autodifesa della Crimea erano responsabili di almeno alcuni di questi crimini”.

Media

Nell’aprile 2015 le autorità russe della Crimea rifiutarono di rinnovare la concessione per le trasmissioni della televisione tatara ATR, aperta nel 2006, che trasmetteva grazie a una licenza concessa dal governo ucraino. ATR fu in prima fila nell’opposizione all’annessione della Crimea alla Russia e la sua chiusura, pur rientrando nell’ambito della legalità, è un atto di ritorsione e censura. Un atto destinato a replicarsi poco dopo, con il ritiro della licenza a Meydan FM, radio indipendente tatara.

Al posto di queste emittenti sono state aperte una televisione e una radio in lingua tatara sottoposte al controllo governativo cui è stato fatto divieto di occuparsi di politica. Una limitazione alla libertà di espressione che ancora Amnesty International ha denunciato: "La comunità tatara di Crimea è stata particolarmente colpita: le sue manifestazioni pubbliche sono state regolarmente vietate, i mezzi d’informazione in lingua tatara sono stati costretti a chiudere e i loro leader sono stati sottoposti a continue perquisizioni domiciliari e hanno subito azioni penali e detenzione per motivi politici. […] Il Mejlis ha subito ulteriori rappresaglie. Il suo attuale leader, Ahtem Čiygoz, è stato arrestato il 29 gennaio (2015, ndr.) con l’accusa di aver organizzato ‘disordini di massa’ il 26 febbraio 2014”.

Le rappresaglie sono diventate, con l’abolizione del Mejlis ordinata il 13 aprile scorso, vera e propria repressione. Il procuratore Poklonskaia ha così motivato la sua decisione: "Si riconosce l’associazione pubblica ‘Mejlis del popolo dei tatari della Crimea’ organizzazione estremista e si vieta la sua attività sul territorio della Federazione Russa". Una decisione che ha spinto  Consiglio d’Europa Parlamento europeo a esprimere "profonda preoccupazione" per la tutela dei diritti umani della comunità tatara.

Radici storiche

L’ostilità dei tatari verso la Russia ha radici antiche che affondano nella guerra russo-turca (1768-1774) al termine della quale si sancì il passaggio della Crimea dal dominio ottomano a quello zarista. La popolazione locale, musulmana e turcofona, emigrò in gran parte verso l’Anatolia mentre il resto della popolazione subiva una forzosa russificazione.

Dopo la rivoluzione bolscevica le autorità comuniste proseguirono nella "de-tatarizzazione" della Crimea ed eventi come l’Holomodor o la lotta ai kulaki dimezzarono la popolazione tatara. La deportazione, ordinata da Stalin nel 1944, portò alla morte per fame quasi 100mila persone. Destinati in Asia centrale, la gran parte morì lungo il tragitto. Un caso di pulizia etnica che i tatari oggi considerano un genocidio. La memoria di quel genocidio è forse l’elemento su cui si incardina il senso politico del Mejlis, la sua ragion d’essere, quale strumento volto a garantire i diritti umani ai tatari.

Azioni di resistenza

Secondo i russi il Mejlis sarebbe invece una "organizzazione estremista" ricettacolo di oppositori colpevole di coprire, se non fomentare, le attività di boicottaggio che i tatari stanno, per reazione, conducendo da mesi e che con il passare del tempo sembrano profilarsi come una sorta di "resistenza" all’occupante.

Una prima eclatante azione fu il blocco dell’importazione di alimenti dall’Ucraina, organizzato il 20 settembre 2015, che lasciò vuoti gli scaffali dei supermercati costringendo le autorità russe a una rocambolesca importazione di derrate via mare. Il 20 novembre successivo militanti tatari fecero poi esplodere quattro linee di energia elettrica che forniscono più del 70% dell’elettricità alla Crimea, causando un blackout in tutta la penisola. Un’azione che ha lasciato la Crimea al buio per tutto l’inverno dimostrando la debolezza delle autorità locali e l’impotenza del Cremlino nel garantire un sufficiente livello di benessere alla popolazione della penisola.

Scopo di questi attacchi è mostrare quanto vuota sia la propaganda del Cremlino, a loro avviso incapace di garantire i più normali servizi alla popolazione locale. Elettricità e cibo erano infatti fornite dall’Ucraina. Inoltre nella loro azione i militanti tatari hanno trovato più di una sponda a Kiev. In particolare il blackout ha messo in serio imbarazzo il Cremlino che è riuscito a riportare energia alla penisola solo parzialmente e dopo aver lasciato al freddo e al buio la popolazione per un intero inverno.

Secondo il procuratore Poklonskaia gli attentati sarebbero costati alla Russia quasi 5 milioni di dollari (360 milioni di rubli) mentre altre fonti parlano persino di 14 milioni di dollari. Molto per un paese, la Russia, impegnato militarmente su più fronti e indebolita dalle sanzioni. Nel mondo delle guerre asimmetriche, anche queste iniziative di militanti tatari sono capaci di nuocere a una grande potenza come la Russia.

Ci si chiede se il giro di vite di Mosca nei confronti dei tartari basterà a stroncarne la resistenza o se, piuttosto, il mancato rispetto di questa minoranza non si rivelerà controproducente, con il rischio di trasformarla in una questione internazionale. Ankara, antagonista del Cremlino sul fronte siriano, guarda con interesse alla lotta di questi "confratelli" turcofoni mentre i due fronti, siriano e ucraino, sembrano avere destini sempre più legati. 

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Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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