Crimea, la paura di Tbilisi

La Georgia segue con apprensione gli sviluppi dell’iniziativa russa in Ucraina. Tbilisi teme una nuova guerra e il progetto di una nuova Unione Sovietica. Il dibattito nel paese

25/03/2014, Tengiz Ablotia - Tbilisi

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Foto Jonathan Kos-Read, Flickr

Gli eventi ucraini, e in particolare l’annessione russa della Crimea, sono l’argomento principale discusso negli ambienti politici, nei media e sui social network georgiani. La politica interna sembra passata in secondo piano, e da mesi tutti i principali telegiornali aprono con gli eventi in Ucraina.

Déjà vu

C’è un aspetto emotivo che coinvolge il paese: le vicende ucraine, da Maidan all’invasione russa, sono molto simili alla situazione in Georgia nei primi anni ’90. Anche allora, tutto era cominciato con le manifestazioni contro il presidente Gamsakhurdia, seguite da una rivolta armata, una lunga instabilità politica, l’anarchia, e infine la perdita di Abkhazia e Ossezia del sud.

La sensazione di déjà vu è rafforzata dal fatto che il processo, durato anni in Georgia, in Ucraina si presenta accelerato, quasi come un video mandato avanti veloce.

A Tbilisi, la maggioranza dei politici e degli esperti ritiene che in Ucraina siano in corso gli anni novanta, solo con vent’anni di ritardo, e che in gioco ci siano le questioni che la maggior parte dei paesi dell’ex Unione Sovietica hanno affrontato proprio negli anni novanta: cos’è l’Ucraina, quali sono le sue priorità, chi sono gli ucraini, che cosa li unisce e che cosa li divide.

Il caso georgiano mostra che raramente tali eventi avvengono senza rotture: c’è sempre una parte del paese che non è in linea con la maggioranza. L’interrogativo è solo che cosa perderà l’Ucraina: solo la Crimea o anche alcune regioni orientali?

La maggioranza dei cittadini georgiani ricorda con orrore i primi anni ’90 e simpatizza con gli ucraini, generalmente ben visti in Georgia.

Una Unione Sovietica moderna e capitalista

Tuttavia, il lato emotivo della questione non è quello più importante.

La cosa più importante per la Georgia è la diretta correlazione fra gli eventi in Ucraina e la politica russa.

L’invasione infatti non è vista come un atto isolato, ma viene letta prevalentemente nel contesto della politica imperiale di Mosca. Putin ha lanciato la sua idea di base: un’Unione eurasiatica, essenzialmente una versione capitalista e moderna dell’URSS, in cui gli Stati membri avranno più autonomia, ma saranno fondamentalmente guidati da Mosca.

Questo obiettivo riguarda solo in misura minore il Kazakistan che, grazie alle vaste risorse naturali, può permettersi una maggiore distanza dal Cremlino nonostante l’adesione all’Unione doganale. Ma per i paesi più poveri (Armenia, Georgia, Ucraina, Moldova) il margine di manovra è molto più ridotto. Inoltre, gli eventi in Crimea hanno chiaramente dimostrato l’importanza del fattore politico per la Russia.

Un’ipotetica entrata della Georgia nell’unione doganale, e in seguito in quella eurasiatica, significherebbe una riformattazione completa dell’intero sistema statale: un governo filo-russo che segue le regole russe, niente riforme, niente libertà dei media, niente libertà della magistratura, ruberie, corruzione, e così via.

La Georgia non può permettersi un tale sviluppo: sarebbe la fine della prospettiva di poter diventare, anche nel corso di 20-30 anni, un paese normale. La Georgia finirebbe per diventare un’insignificante provincia criminalizzata, con l’unica funzione di vendere vino e frutta sul mercato russo.

In questa fase, Tbilisi si appresta a firmare l’accordo di associazione con l’UE, visto come il primo vero passo verso l’integrazione europea del paese. Ora la Russia non ha alcuna leva d’influenza sulla Georgia. Mosca ha già riconosciuto Abkhazia e Ossezia del Sud come indipendenti, e le esportazioni georgiane verso la Russia non sono essenziali per l’economia.

Identità nazionale e sessuale

L’unica vera leva sull’opinione pubblica georgiana è la propaganda che sostiene che l’integrazione con l’UE priverebbe la Georgia dell’identità nazionale e ortodossa, trasformando l’intera popolazione maschile in omosessuali, e così via. Questa propaganda è piuttosto forte e diffusa, e ha la sua avanguardia nella Chiesa ortodossa georgiana, che tradizionalmente considera amici i correligionari russi, e nemici e satanisti i cattolici e protestanti europei. L’importanza di questo fattore non deve essere sottovalutata, ma nemmeno esagerata, in quanto non sarà certo sufficiente a determinare il corso del paese.

Tutto cambierebbe se la Russia non si fermasse all’annessione della Crimea. Le cose andrebbero davvero male nel Caucaso meridionale, se Mosca decidesse di procedere anche con l’Ucraina orientale. In questo caso, Putin dimostrerebbe di non avere limiti.

Fino ad ora la Russia ha invaso solo i territori autonomi, ma l’invasione dell’Ucraina orientale cambierebbe totalmente le regole del gioco. In questo caso, nulla impedirebbe alla Russia di tornare ad attaccare Tbilisi per sottomettere l’intero paese, ovvero per fare quello che non ha fatto nel 2008, non volendo al tempo rovinare troppo i rapporti con l’Occidente.

Se nel 2014 il Cremlino riuscirà in ciò che non ha portato a termine nel 2008, impadronirsi di territori al di fuori delle autonomie, la conquista di Tbilisi sarà solo questione di tempo. Ecco perché per la Georgia le vicende ucraine non sono solo una questione di déjà vu e di empatia per un paese amico, ma anche di sopravvivenza.

La riabilitazione di Saakashvili

Gli eventi in Crimea attirano particolare attenzione in Georgia anche perché riabilitano parzialmente l’ex presidente Mikhail Saakashvili, accusato di aver fornito nel 2008 un pretesto a Putin per iniziare la guerra. Parte della comunità internazionale, e della società georgiana, ritiene infatti che la guerra dell’agosto 2008 avrebbe potuto essere evitata se Saakashvili avesse mostrato moderazione e non avesse risposto alle provocazioni da parte osseta.

Su questa linea si pone ad esempio la relazione, estremamente di compromesso, pubblicata dalla Commissione europea sulle cause della guerra, che ha attribuito la responsabilità ad entrambe le parti.

L’intervento in Crimea cambia completamente il quadro: in Crimea non si spara, le truppe ucraine sono circondate e si preparano a consegnare la penisola, di "fascisti" dall’Ucraina occidentale non ne sono arrivati.

In breve, non solo le autorità ucraine non hanno "ceduto alle provocazioni", ma non oppongono alcuna resistenza. Tuttavia, questo non ha impedito alla Russia di prendere il controllo della Crimea prima, e tenere il referendum per l’adesione poi.

Tutto questo rafforza le ragioni di chi ritiene che la guerra dell’agosto 2008 era già decisa, e che non c’era modo di evitarla: era la risposta della Russia al riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo. Non c’erano state "azioni improprie da parte della Georgia" a causarla, così come non ci sono stati "fascisti" a causare l’invasione della Crimea.

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