Covid-19 in Kosovo: i bimbi e il lockdown

Un sistema già fragile, sul quale ha duramente impattato la pandemia da Covid-19. Abbiamo incontrato educatrici e famiglie del settore dell’educazione 0-6 anni in Kosovo

23/03/2021, Arta Berisha -

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Attività all'aperto in una scuola per l'infanzia del Kosovo (foto di Jeton Sopa)

La pandemia causata dal Covid-19 ha impattato pesantemente sul sistema educativo del Kosovo, in particolar modo sulle istituzioni che si occupano delle fasce d’età pre-scolari. Genitori, educatori, presidi spiegano come ad essere colpiti non sono stati solo bambine e bambini e i loro insegnanti, ma anche le famiglie stesse. Tra i nidi e le scuole per l’infanzia i più colpiti sono stati quelli privati, i cui insegnanti e educatori spesso sono rimasti senza lavoro e senza stipendi per molti mesi.

A partire dall’individuazione del primo caso ufficiale di Covid-19 in Kosovo, il 13 marzo del 2020, il governo ha adottato restrizioni per molte attività economiche in tutto il paese. Anche le scuole, di tutti i livelli, sono state chiuse. Nella prima fase della pandemia le scuole per la prima infanzia sono rimaste in lockdown per tre mesi, con insegnanti e bambini a casa.

Le istituzioni pre-scolastiche in Kosovo possono essere divise in tre gruppi: quelle pubbliche, quelle private e quelle comunitarie.

Per approfondire la questione abbiamo incontrato il personale scolastico e le famiglie di alcune delle scuole d’infanzia pilota coinvolte in PEDAKOS, intervento finanziato dal governo italiano attraverso l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics). 

Un settore in difficoltà

Secondo Mevlude Murtezi – a capo di Childproof (CIPOF) un’organizzazione non-governativa kosovara che si occupa di educazione nella prima infanzia – il Kosovo si trova ad affrontare una fase complessa del suo sistema pre-scolare e scolastico.

“L’educazione della prima infanzia in Kosovo è organizzata secondo normative non ancora organiche. Da anni una proposta di legge dedicata a questa specifica questione è parcheggiata in parlamento senza che venga approvata e inoltre non vi sono percorsi curricolari adeguati per il personale scolastico per affrontare sfide e bisogni del 21mo secolo”, afferma ad OBC Transeuropa.

Nell’ultimo anno la pandemia ha aggiunto ulteriori problematiche, oltre a quelle prettamente legate alla salute. Mevlude Murtezi spiega infatti che i bimbi e le loro famiglie si sono trovati sottoposti ad un’enorme pressione psicologica dovuta all’essere obbligati in casa e all’incertezza economica e finanziaria causata dalla situazione.

Diversamente dai bambini più grandi, che almeno in parte hanno continuato le loro attività scolastiche attraverso piattaforme online, quelli di età 0-6 anni all’inizio sono stati affidati esclusivamente alle cure della propria famiglia, senza nessun affiancamento di altro tipo.

In un momento successivo l’Unicef ha sostenuto il ministero dell’Educazione e della Scienza nello sviluppare e promuovere la piattaforma digitale “Educazione a distanza”. Questa risorsa web è stata pensata dall’Unicef per aiutare non solo i bambini costretti a casa dalla pandemia, ma anche quelli che precedentemente non erano iscritti a nessun nido o scuola per l’infanzia: attraverso video informativi e articoli per i genitori e la proposta quotidiana di attività pensate per la fascia di età 0-6. Un’iniziativa che, data la fascia d’età presa in considerazione, è riuscita ovviamente a dare risposti solo parziali.

"La crisi ha colpito lo sviluppo dei bambini perché gli insegnanti non hanno più avuto la possibilità di interagire con loro in modo normale. D’altro canto, i genitori erano sottoposti allo stress di bilanciare il loro lavoro da casa con l’assicurarsi che i loro figli progredissero nella loro educazione”, sottolinea Nora Latifi Jashari, membro del comitato dei genitori presso la scuola per l’infanzia comunitaria Botanika, nella capitale Pristina.

"La chiusura di nidi e asili e le misure restrittive hanno inoltre caricato di ulteriore peso le donne, lavoratrici o meno, che sono state a casa durante questo periodo più di quanto abbiano fatto gli uomini. Su di loro è ricaduta la cura dei bambini, la loro educazione oltre, naturalmente, a tutto il resto”.

Latifi Jashari ricorda inoltre che, anche prima della pandemia, il Kosovo aveva un sistema scolastico ed educativo precario. Molte ricerche locali e internazionali – specifica – hanno evidenziato come gli studenti kosovari siano parecchio indietro per quanto riguarda la qualità dell’insegnamento.

Parlando poi da madre di un bimbo di meno di sei anni, Nora Latifi Jashari spiega come sia molto difficile anche per lei riuscire a dare risposte adeguate in termini di percorso educativo, relazioni sociali e attività adeguate a bimbi così piccoli.

“Durante il lockdown i bambini hanno percepito chiaramente la separazione con i loro amici e i loro insegnanti. Hanno forse aumentato altre attività, come ad esempio giocare con i loro fratelli o sorelle, o giocare all’aperto, ma la mancanza di rapporti con i loro insegnanti ha avuto un impatto pesante su di loro”, spiega Nora Jashari Latifi che evidenzia come la mancanza di socializzazione ha portato i più piccoli a passare molto più tempo davanti ad uno schermo.

Fino ad arrivare a conseguenze che possono sembrare paradossali: "In Kosovo non vi è molto materiale didattico online in lingua albanese e quindi spesso i bimbi hanno seguito attività in rete in varie lingue, cosa che  ha avuto un impatto sulle loro capacità linguistiche. A volte si sono trovati ad esprimere meglio alcune cose in inglese che non nella loro lingua materna”.

Tra i bambini

Nella scuola per l’infanzia Margherita Kids, a Zllakuqan, un piccolo villaggio della municipalità di Klina, nel nord ovest del Kosovo, l’atmosfera è molto tranquilla. Accoglie trenta bambini, tra l’uno e i sei anni e tutto sembra tornato alla normalità. Incontriamo una delle loro insegnanti sotto lo sguardo attento dei bambini, in quel momento impegnati nelle loro attività libere, all’aperto. Ci racconta che, nonostante l’apparenza, anche i bimbi più piccoli hanno percepito che stiamo vivendo un periodo confuso.

Ha avuto la stessa sensazione Sehadete Sejdiu, insegnante dell’associazione CIPOF presso la scuola per l’infanzia nella municipalità di Fushe Kosova. Ha raccontato a noi di OBC Transeuropa le sfide che bambini e insegnanti si trovano ad affrontare durante la pandemia.

“Abbiamo rispettato la decisione del governo di sospendere la frequentazione fisica delle scuole e abbiamo continuato a lavorare per loro da casa. Abbiamo preparato varie attività in modo che i genitori potessero poi svolgerle assieme ai loro figli”, racconta Sejdiu.

Non è stato però facile e non è stato senza conseguenze. Quando le scuole per l’infanzia sono state riaperte, nel maggio 2020, Sejdiu ha notato che molti bimbi avevano scarso interesse nello svolgere attività educative ed avevano perso del tutto la loro routine quotidiana.

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