Cooperazione mafiosa
Le mafie di Croazia e Serbia collaborano molto meglio delle polizie dei due stati. E nonostante un accordo siglato lo scorso anno tra i ministeri degli Interni dei due paesi, sono ancora molti gli ostacoli ad una piena e reciproca collaborazione
All’inizio di marzo, nel lago di Jarun, presso Zagabria, è stato ritrovato il cadavere fatto a pezzi di un esponente di spicco della malavita belgradese, Cvetko Simić. Di fronte a tale scena, simile a quella di un film horror, il direttore della polizia croata Oliver Grbić è subito volato a Belgrado dal suo collega, il capo della polizia serba Milorad Veljović. Era ormai evidente infatti che una parte della malavita belgradese si era trasferita a Zagabria: i due responsabili delle forze di polizia nazionali si sono resi ben presto conto che i mafiosi serbi e croati collaborano molto meglio delle istituzioni dei rispettivi stati, che dovrebbero unirsi proprio nella lotta alla malavita.
Due mesi più tardi, ad inizio maggio, i ministri degli Interni croato e serbo, Tomislav Karamarko e Ivica Dačić, si sono incontrati a Osijek. È stato, come da loro affermato, "un grande giorno" per le polizie dei due stati "che a causa della sanguinosa guerra che li ha visti scontrarsi all’inizio degli anni ’90, per lungo tempo si sono guardate con diffidenza". Così è diventato finalmente operativo l’Accordo di collaborazione tra polizie di Croazia e Serbia, siglato dai due ministri un anno fa.
Il ministro croato Karamarko allora aveva affermato soddisfatto: "Se fino ad ora siamo stati un passo o due dietro il crimine organizzato nella regione, è giunto il momento di essere un passo avanti a loro". Perché a differenza delle polizie che, proprio come i due rispettivi stati, hanno aspettato tempi migliori per la collaborazione, la malavita serba e quella croata hanno ripreso velocemente i contatti. Anzi, alcuni di loro hanno cooperato anche durante la guerra.
Ad un mese di distanza dall’incontro dei due ministri, soddisfatti perché "pochi altri sistemi di polizia al mondo hanno una comunicazione più aperta rispetto a quella tra polizia croata e serba", come ha affermato il ministro serbo Dačić, a Zagabria ha avuto luogo un altro sanguinoso regolamento di conti tra membri della malavita belgradese. Lo scorso 8 giugno, presso il lago di Rakitje, è stato ritrovato gravemente ferito Sretko Kalinić. Trasportato all’ospedale di Zagabria, la polizia è poi risalita alla persona che gli ha sparato: Miloš Simović. Entrambi, Kalinić e Simović, erano riusciti a sfuggire alla legge del loro paese, entrambi sono accusati per l’attentato al premier serbo Zoran Đinđić, assassinato a Belgrado nel marzo 2003. Erano tra i cinque criminali più ricercati in Serbia, e la polizia era sulle loro tracce da oltre sette anni.
Il giorno successivo Miloš Simović è stato arrestato al confine tra Serbia e Croazia, e allora sono emersi i dettagli dell’intera vicenda. Kalinić, ricoverato nell’ospedale di Zagabria, era noto come uno dei più pericolosi assassini del malfamato «clan di Zemun», ed è stato uno dei principali attentatori al premier serbo Đinđić. Per questo, è stato condannato in contumacia a Belgrado a 40 anni di carcere. Anche Simović era coinvolto nell’assassinio: controllava la colonna di macchine che scortava il premier serbo.
In Croazia Simović ha instaurato ottime relazioni con la malavita locale. Viveva in un appartamento preso in affitto a Zagabria, nella zona di Lanište, e secondo fonti della polizia riportate dai mass media, questo appartamento in precedenza era stato usato da Sretko Kalinić e anche dallo stesso Cvetko Simić, il cui corpo è stato trovato fatto a pezzi lo scorso marzo nel lago zagabrese di Jarun. Di certo i criminali serbi difficilmente avrebbero potuto muoversi a Zagabria senza la copertura della malavita della capitale: tutt’altro, hanno usufruito della loro base logistica.
Sretko Kalinić è soprannominato «Zver» (la bestia, ndt) e solo per ciò che ha raccontato agli investigatori croati, che lo hanno interrogato in ospedale, se lo merita proprio. Ha confessato una ventina di omicidi, uno dei quali commesso in Croazia. Anche se non è stato confermato ufficialmente, sembra sia stato lui a liquidare Cvetko Simić. Con molto sangue freddo Kalinić ha raccontato alla polizia come ha fatto a pezzi i corpi esanimi delle sue vittime, e per alcuni ha usato persino il tritacarne.
Anche se l’ultimo regolamento di conti tra membri della mafia serba a Zagabria ha avuto una motivazione banale – pare che la questione fosse legata al’invidia di Simović nei confronti del collega criminale – le polizie dei due stati dovranno compiere ancora molti sforzi per porre fine a questi scontri sanguinosi. Il ministro degli Interni croato Karamarko e il serbo Dačić dovranno soprattutto convincere i rispettivi governi che l’attuale impossibilità per i due stati di estradare e consegnarsi reciprocamente i criminali costituisce un ostacolo per una più efficace azione di polizia.
Nonostante Kalinić in Serbia sia stato condannato ad un lungo periodo di reclusione, e nonostante sia un criminale particolarmente interessante per la polizia dato il suo coinvolgimento nell’omicidio del premier Đinđić, la Croazia non lo può consegnare alla Serbia in quanto Kalinić possiede, oltre a quella serba, anche la cittadinanza croata, essendo nato a Zara, città sulla costa adriatica.
I due paesi non hanno un accordo che, in situazioni simili, permetta la consegna dei suoi cittadini all’altro stato. Questo, in generale, è un problema che interessa l’intera regione: molti criminali con la doppia cittadinanza sono fuggiti dalla Croazia in Bosnia Erzegovina e viceversa per poter evitare il processo o il carcere. Mentre Bosnia Erzegovina e Croazia hanno siglato un accordo che permetterà la consegna di latitanti al paese da cui sono scappati, tra Serbia e Croazia tale accordo non esiste. Per questo la speranza del ministro croato Karamarko che con la firma del recente accordo i sistemi di polizia di Croazia e Serbia siano almeno un passo avanti rispetto ai criminali appare ancora come un sogno lontano.