Controffensiva: cosa potrebbe accadere ora in Russia?

Il Donbass, la Crimea e la tenuta del potere di Putin alla luce degli ultimi giorni di controffensiva ucraina. Abbiamo intervistato lo storico Simon Pirani

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Una manifestazione in Polonia nel giugno del 2022 - © Poppy Pix/Shutterstock

Negli ultimi giorni, la controffensiva da parte dell’esercito di Kyiv sembra aver dato una svolta nel conflitto in Ucraina, ponendo Putin e la Russia in una posizione difficile e di fronte alla necessità di dover cambiare strategia. In tanti ora si domandano cosa può succedere ai vertici di potere della Federazione, visto anche che il malcontento per gli ultimi fallimenti militari inizia a serpeggiare a livello di amministrazioni cittadine. Nel caso l’avanzata dovesse proseguire, inoltre, si riaprirebbe con ancora più forza la delicata questione del Donbass e dei territori separatisti. La prospettiva di Simon Pirani, accademico e studioso del regime putiniano da diverso tempo.

Vorremmo provare a commentare con lei la situazione attuale, cosa sta succedendo in questa fase della guerra, mentre assistiamo ad una potente controffensiva ucraina e ad una perdita di consensi interni di Putin. Pensa davvero che avverranno cambiamenti nella distribuzione dei poteri in Russia?

È ovviamente impossibile fare delle previsioni sul futuro. Quello che possiamo dire con certezza è che c’è stato un recupero davvero ingente di territori da parte dell’esercito ucraino e per me – che non sono un esperto in questioni militari – risulta chiaro che uno dei fattori che ha permesso questo è il vasto supporto popolare di cui gode la controffensiva decisa dal governo. Girano molti video di soldati che entrano nei villaggi liberati e vengono accolti dalla popolazione che sventola bandiere ucraine. Tutto il contrario di ciò che pensava Putin prima dell’invasione, per il quale sarebbe stato invece l’esercito russo a essere accolto in maniera festante. Ciò non è accaduto, neanche in quelle zone dove risiedono in prevalenza persone russofone; al contrario in diverse cittadine della zona occupata dai russi molte persone hanno manifestato contro l’esercito russo e le misure che stavano adottando.

Dall’altra parte in Russia, per quanto ci possa essere un generale sostegno nei confronti dell’operazione militare, non mi pare ci sia forte volontà da parte delle popolazione giovane di arruolarsi e andare a combattere. Una differenza sostanziale con la controparte: in Ucraina una buona fetta dei cittadini si è invece impegnata volontariamente a difendere il proprio paese, fin dall’inizio hanno avuto più volontari che armi. Il Cremlino è stato sino a ora e continua a essere molto riluttante a dichiarare guerra in maniera aperta e decidere per una mobilitazione totale. Nelle poche occasioni in cui è stata paventata questa possibilità, si sono viste reazioni molto contrariate sui social media, in un paese in cui è piuttosto pericoloso esprimere le proprie posizioni contrarie alla guerra (la qual cosa ovviamente non ci permette di avere un’immagine chiara dell’opinione pubblica in Russia, ma indica comunque una tendenza).

Nel frattempo, l’ala più nazionalista – che è anche l’unica a cui è consentito esprimere un dissenso rispetto al governo – ha iniziato a criticare, anche aspramente, il modo in cui è stata condotta l’operazione militare e ammette le perdite disastrose registrate negli ultimi giorni. Alcuni osservatori hanno ipotizzato che il potere possa essere sempre più spostarsi nelle mani di queste forze politiche. Ma, ancora, è davvero difficile capire che cosa possa succedere. Da una parte mi sento di dire che, al momento, il regime di Putin è abbastanza stabile e "al sicuro" da possibili ribaltamenti. Dall’altra, però, il fatto che a febbraio sia stato commesso un gigantesco []e di valutazione – essenzialmente per motivi ideologici – è ormai evidente a tutti e non saprei quale possa essere una via d’uscita dignitosa per Putin.

A ogni modo, bisogna comunque essere cauti e ricordarci che per ora non siamo ancora a una svolta decisiva. Non sono così ottimista sul fatto che l’esercito ucraino possa ripristinare in poco tempo i confini antecedenti al 2014 e arrivare a una conclusione del conflitto così come non penso che si possa arrivare a un crollo totale dell’esercito russo. È più probabile che la guerra si trascini ancora per un bel po’ e che la Russia mantenga una propria presenza militare sul territorio ucraino.

Vorremmo provare ad analizzare in maniera più profonda la questione dei territori occupati, in particolare nel Donbass. Cosa pensa riguardo al sostegno della popolazione di quei territori dell’occupazione russa e delle dirigenze filo-russe, al di là degli aspetti repressivi, se appunto ci sia un sostegno genuino in quelle zone. E magari capire anche rispetto alla situazione in Crimea.

Per quanto riguarda la Crimea è importante non scordarsi del tipo di regime che è stato imposto in quei territori nel 2014. È vero che nella regione prima di quel momento non sussisteva un forte senso di appartenenza nazionale all’Ucraina e dunque in questo senso non si è verificata una repressione su larga scala dopo l’annessione. Ma alcune comunità, come per esempio quella tatara che già aveva subito le deportazioni verso il Kazakistan in epoca staliniana, ma anche giornalisti, attivisti politici o associazioni religiose (come quelle islamiche) sono state prese di mira spesso attraverso incarcerazioni assolutamente sproporzionate.

A Donetsk e Luhansk, prima del 2014, c’era come sappiamo un forte sostegno a favore del Partito delle Regioni che sostanzialmente rappresentava il grande potere capitalistico (in particolare minerario) e oligarchico della zona e sosteneva appunto Janukovich. Queste forze hanno per lungo tempo fatto leva sulla paura del nazionalismo ucraino e hanno dunque favorito la creazione di una sorta di divisione all’interno della popolazione che si è concretizzata in forma estremamente acuta con la rivolta di Maidan: nel Donbass si era infatti sviluppato il cosiddetto movimento anti-Maidan che si opponeva alla sollevazione nella capitale e in altre città dell’ovest. Si tratta di fenomeni eterogenei con sviluppi molto complessi e rispetto ai quali è rischioso compiere delle generalizzazioni. Una genuina paura del nazionalismo si è andata mischiando ad altro genere di malcontento, dalla corruzione alle difficoltà economiche e sociali.

Ma il punto centrale, a mio modo di vedere, è che con lo scoppio del conflitto nel Donbass, nell’area di Donetsk e Luhansk è andata progressivamente avanti una distruzione economica e sociale di quelle comunità. Tante persone, soprattutto delle fasce più povere, hanno lasciato le zone controllate dall’esercito ucraino, ma molte di più sono invece scappate dalle cosiddette repubbliche popolari, sia verso ovest che verso la Russia. Si parla di 2-3 milioni di persone: significa che due anni dopo lo scoppio del conflitto la popolazione della zona era ridotta a circa la metà e questo calo drastico è dovuto anche al fatto che molte miniere e acciaierie hanno chiuso, le industrie hanno semplicemente smesso di funzionare e c’è stato un trasferimento di proprietà assolutamente illecito nelle mani di nuove compagnie vicine all’ex-Presidente Janukovich registrate in Ossezia del Sud, il sistema legale è stato sostanzialmente smantellato e il potere accentrato dai combattenti che hanno assunto il controllo degli oblast nel 2014, la maggior parte dei quali affiliati all’estrema destra russa. Similmente, lo spazio di agibilità politica della società civile e dei sindacati operai si è ridotto notevolmente (su questo sono interessanti i report dell’Eastern Human Rights Group) e anche la situazione dei diritti umani è andata peggiorando.

Fra il 2020 e il 2021, inoltre, anche la politica della Federazione Russa nei confronti del Donbass è cambiata: se prima c’era un supporto a distanza, da quel momento si è andati maggiormente verso un tentativo di integrazione e si è iniziato a rilasciare passaporti russi alla popolazione. Anche la campagna di propaganda contro la lingua ucraina, portata avanti nelle scuole, si è intensificata e resa ancora più sistematica, così come si è intensificata la presenza di partiti pro-regime russo, tra i quali lo stesso Partito comunista che ha sempre supportato l’intervento militare.

È infatti a partire da questo periodo che alcuni hanno iniziato a pensare che si preparasse una recrudescenza del conflitto (anche se quasi nessuno scommetteva su un’invasione su larga scala come quella che abbiamo visto).

Dati tutti questi elementi è davvero difficile capire quale sia il sentimento più diffuso fra la popolazione. La stessa libertà d’espressione è molto limitata. Ma possiamo dire per certo che, anche nel confuso periodo del 2014, non c’è mai stata una maggioranza a favore della separazione dal resto dell’Ucraina. C’era sicuramente una minoranza a favore, ma i più al massimo erano preoccupati e desiderosi di maggiore autonomia (anche perché c’era la percezione che il Donbass fosse fra le regioni più ricche del paese). La separazione è stata resa possibile, e dunque imposta, da un intervento militare esterno.

Un’ultima questione, tornando al potere di Putin in Russia. Nel suo libro (Change in Putin’s Russia: Power, Money and People ) descrive la salita al potere di Putin e sottolinea che è avvenuta nel momento di un recupero economico, dopo le terapie shock degli anni ’90, e Putin è stato rappresentato allo stesso tempo come il fattore decisivo per questa ripresa e allo stesso tempo come uomo forte sul piano dell’ordine e della sicurezza (anche scontrandosi con una parte degli oligarchi). Come cambia ora il sostegno verso Putin?

Ho scritto il mio libro poco dopo la crisi economica del 2008 e le condizioni economiche hanno giocato un grosso ruolo nell’ascesa al potere di Putin. In seguito a quella crisi i prezzi del petrolio avevano iniziato a scendere e questo iniziava dunque a creare non pochi problemi all’economia Russa. Nella prima decade in cui Putin era al governo i prezzi del petrolio erano saliti costantemente e gli oligarchi diventavano di conseguenza sempre più ricchi. Parallelamente, dopo la forte crisi degli anni ’90, anche la popolazione – soprattutto nelle regioni di Mosca e degli Urali – percepiva un miglioramento delle proprie condizioni e di una forma di protezione sociale. Ma queste dinamiche si arrestarono appunto attorno al 2009-2010. È da quel momento che l’opposizione politica a Putin si è intensificata: nel 2012 c’è stata la prima manifestazione di massa, non tanto contro il carovita ma per i brogli elettorali. Le persone si trovavano al parco Bolotnaya di Mosca e ci sono state davvero centinaia di migliaia di arresti, qualcosa che non si vedeva dai primi anni ’80 in Russia (allora Unione Sovietica).

Tante persone, in particolare giovani che magari non avevano conosciuto il periodo sovietico, divennero attive politicamente in quell’occasione. In ogni caso manifestare il proprio dissenso in Russia è sempre stato rischioso: pochi anni prima della corrente invasione ha fatto scalpore il cosiddetto "Network Case", con cui sono state comminate pene pesantissime a un gruppo di antifascisti, che hanno pure subito torture.

In generale, comunque, dal 2010 le condizioni di vita sono peggiorate e si è intensificato il dissenso (che ha quasi sempre assunto forme politiche, non direttamente sociali). Inoltre l’intervento in Ucraina del 2014 ha ulteriormente aggravato le condizioni economiche: come conseguenza di quell’atto, per tanti oligarchi e compagnie è diventato più difficoltoso l’accesso alla finanza internazionale (che è fondamentale per il commercio di petrolio e metalli dall’inizio degli anni 2000). Questo ha ridotto ulteriormente le capacità di investimenti e, in generale, ha aumentato la dipendenza dell’economia russa dai prezzi del petrolio e del gas sul mercato internazionale. L’annessione della Crimea e l’invasione degli oblast di Donetsk e Luhansk ha comportato un pesante costo economico ma ha rappresentato una sorta di vittoria politica a breve termine per Putin, perché ha dato il via a un rinvigorimento del nazionalismo interno, con una classica dinamica politica da regime populista di destra. Mi chiedo, a posteriori, se abbiamo prestato sufficiente attenzione allora a queste dinamiche: per tutto il periodo in cui Putin è stato al potere c’è stata una sorta di ricerca di equilibrio tra la conquista del consenso tramite la gestione dell’economia e lo sforzo di far leva sul nazionalismo sciovinista. Ma se, almeno negli anni 2000 la leva economica è stata quella preponderante, dal 2014 in avanti possiamo forse dire che il peso si è spostato molto di più sul secondo termine. In altre parole: il nazionalismo diventava sempre più importante a spese degli interessi del potere economico. E il 24 febbraio si è prodotta un’ulteriore accelerazione in questa direzione.

Torniamo quindi al punto con cui abbiamo iniziato questa discussione, che riguarda la guerra attuale….

Esattamente ed è importante capire il carattere di questa guerra: va sottolineato – a dispetto della propaganda filorussa molto diffusa anche fra la sinistra occidentale – che l’invasione del 24 febbraio è stata mossa contro la popolazione, non contro un “regime”. Anche in risposta alla recente controffensiva ucraina di questa settimana, sono state prese di mira le infrastrutture civili. A marzo, i fronti di Kyiv e più avanti, verso aprile-maggio, a sud hanno costituito attacchi diretti contro la popolazione, contro i civili.

È allarmante che questo non venga riconosciuto e anzi circolino narrazioni che rappresentano, sostanzialmente, un negazionismo dei crimini di guerra rispetto a quanto è successo a Bucha, Irpin, ecc. Ci sono migliaia e migliaia di accuse di crimini di guerra compiuti dall’esercito russo che sono ora in esame presso le organizzazioni dei diritti umani. È chiaro che questo succede sempre durante una guerra, ed è chiaro che ci sono anche crimini di guerra da parte ucraina, ma le proporzioni non sono in alcun modo equamente ripartite. Perché questo non è un conflitto condotto in maniera simmetrica. E la ragione è proprio perché la guerra viene condotta principalmente contro la popolazione, è un’occupazione imperialista di territori che vengono percepiti dall’élite russa come ex-colonie. Questo è il carattere profondo della guerra in corso.

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