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Confusione sulla risoluzione
Lo scorso 9 settembre l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato una risoluzione sul Kosovo frutto del compromesso tra Serbia ed Unione Europea. I serbi del Kosovo, però, appaiono confusi sul significato profondo della mossa di Belgrado
Finita l’estate, le strade di Mitrovica nord sono tornate a riempirsi. La scuola è iniziata, e gli studenti sono di nuovo in città. Dozzine di caffè in centro sono affollate di giovani. I contadini dei villaggi vicini offrono frutta e verdura della tarda estate su bancarelle improvvisate, mentre i serbi delle enclave arrivano per sbrigare le proprie faccende.
Niente sembra tradire la normale routine della città divisa. Eppure è passata poco più di una settimana da quando la Serbia ha dovuto “armonizzare” con l’Unione europea l’annunciata proposta di risoluzione sul Kosovo all’Assemblea generale dell’ONU.
L’ammorbidimento della posizione di Belgrado, è stata generalmente interpretata dai serbi del Kosovo come l’ennesima sconfitta della Serbia sullo status della regione, che ha dichiarato la propria indipendenza nel febbraio 2008 .
I leader locali dell’opposizione al governo di Belgrado hanno espresso critiche severe nei confronti dell’esecutivo, ma ancor più verso il presidente Boris Tadić, accusato di “vendere il Kosovo in cambio dell’ingresso in Ue”.
In un incontro tenuto alcuni giorni dopo la risoluzione, gli stessi leader dell’opposizione si sono riuniti a Mitrovica, chiedendo al parlamento serbo di votare l’impeachment a Tadić, a causa della sua “fallimentare politica, sia interna che internazionale”, e definendo il presidente “il più grande traditore della storia serba”. Nello stesso momento Goran Bogdanović, ministro serbo per il Kosovo (e compagno di partito di Tadić) ha invece riproposto con maggiore veemenza la “necessità urgente” di sedere al tavolo delle trattative con la parte albanese.
La gente comune, a Mitrovica, appare confusa su cosa la risoluzione significhi davvero, dopo mesi di sostanziale ottimismo a supporto della strategia portata avanti dal ministro degli Esteri Vuk Jeremić contro l’indipendenza del Kosovo.
Ana Ivković, 23 anni, studentessa di servizi sociali a Mitrovica, segue regolarmente gli avvenimenti che riguardano l’intricata questione kosovara.
“Credo che Tadić e Jeremić stiano tentando di salvare il salvabile. Lottano per un miglioramento delle nostre condizioni, che significa il permanere delle istituzioni serbe qui, al posto di quelle kosovare”, sostiene Ana.
“In ogni caso, credo che la gente sia spaventata, e che si senta abbandonata da Belgrado”, aggiunge Ana, che racconta di aver ascoltato molte persone accusare il governo serbo di voler cedere sul Kosovo e sui serbi che qui vivono. “Ma non sono sicura che siano veramente convinti di quel che dicono. In fondo continuano a ricevere i propri stipendi dalla Serbia, così come ogni altra forma di assistenza, e sono tutti profondamente legati al sistema dello stato serbo”.
Alla domanda “cambierà qualcosa?” Ana risponde: “Credo che, almeno per quest’anno, tutto resterà come prima. D’altra parte però sarebbe ora che qualcosa cambi davvero…”
Per Ana, è difficile immaginare il proprio futuro, e quello della propria famiglia nel Kosovo del nord. “Non con tanta violenza”, spiega, ricordando l’ultimo incidente avvenuto in città, un paio di giorni dopo l’approvazione della mozione targata Serbia-Ue a New York.
Tutto è cominciato quando alcune centinaia di giovani albanesi hanno marciato fino al ponte che unisce le due sponde dell’Ibar e divide la città su linee etniche, poco dopo che la nazionale serba era stata battuta da quella turca ai mondiali di basket in svolgimento in Turchia.
“Sedevamo fuori dal locale per guardare la partita. Era una serata fresca e silenziosa, e siamo rimasti in pochi lì fuori, anche se dentro era affollato. Tutti non avevano in mente che il basket”, racconta Saša Radosavljević, 38 anni, proprietario del famoso caffè “Dolcevita”, situato non lontano dal ponte.
“Appena la partita è finita, però, abbiamo sentito un frastuono dalla parte sud”, continua Saša, “e abbiamo visto centinaia di persone radunarsi. Allora un folto gruppo di albanesi è arrivato fino al centro del ponte, urlando ‘Turchia! Turchia! UCK! UCK’. I serbi hanno risposto urlando ‘Serbia! Serbia!’ e così sono cominciati a volare i sassi. Ci sono stati anche numerosi colpi d’arma da fuoco, prima che la polizia internazionale riuscisse a mettere fine agli scontri. Credo sia stato un modo per tastare il polso della situazione, e non escludo che gli scontri siano in qualche modo connessi alla risoluzione, nel tentativo di provocare una nostra reazione”.
Saša si aspettava qualche novità dopo l’adozione della risoluzione da parte dell’Assemblea generale dell’ONU. “Invece, non è successo niente. Io parlo con un sacco di gente, tutti i giorni, eppure sulla risoluzione non ho sentito un solo commento. Forse ne abbiamo ormai passate così tante che più niente ci tocca davvero. Certo ci saranno sempre più pressioni, anche su Belgrado, ma alla fine ci si abitua anche a questo. Credo che tutto resterà così com’è ancora per molti, molti anni”.
Ivan Radić, 34 anni, medico di Ferizaj/Uroševac, città del Kosovo meridionale, rifugiato a Mitrovica dal 1999, viaggia regolarmente in tutte le aree abitate dai serbi a sud del fiume Ibar.
“I serbi nel sud vivono nella paura ma, sinceramente, ormai hanno perso quasi ogni interesse in quello che sta succedendo. Nella loro difficile esistenza, hanno deciso di chiudersi in se stessi, sentendosi troppo deboli per cambiare qualcosa. Mi sembra però che siano piuttosto delusi dall’attuale governo di Belgrado”. Secondo Ivan un nuovo esecutivo avrebbe probabilmente maggiori opportunità di successo nel difendere gli interessi dei serbi del Kosovo.
“Credo che non cambierà molto con l’approvazione della risoluzione, perché il Consiglio di Sicurezza e la risoluzione 1244 non possono essere aggirati. Credo però che ci siamo coperti di vergogna accettando l’attuale versione della risoluzione, che costituisce un pessimo messaggio per i paesi che hanno deciso di non riconoscere l’indipendenza del Kosovo”.
Željko Tvrdisić, capo redattore della stazione radio locale “Kontakt Plus” ritiene che molti serbi del Kosovo, nonostante il proprio atteggiamento critico, non siano consapevoli del “quadro generale” e delle implicazioni di lungo termine della nuova politica di Belgrado sulle loro vite. “Ho paura che i serbi del Kosovo non si rendano conto della lenta sterzata di Belgrado sulla questione. La risoluzione non ha portato a nessun risultato concreto per il momento, e se ci saranno cambiamenti, questo dipenderà soprattutto dalle autorità serbe. Quello che mi sembra evidente, però, è che i serbi del Kosovo, soprattutto quelli che vivono a nord, dovranno accettare qualsiasi decisione prenderà Belgrado sul loro destino. Anche se questa dovesse andare a loro completo svantaggio”.