Confrontarsi col passato, riconciliarsi con i Balcani
Riconciliazione e elaborazione del passato nel Sud-est Europa e con il Sud-est Europa. L’intervento di Luisa Chiodi al convegno ”Dealing with the past and reconciliation with the Balkans” tenutosi a Vienna lo scorso novembre
Traduzione di Carlo Dall’Asta per Osservatorio Balcani e Caucaso (titolo originale "Dealing with the past and reconciliation with the Balkans ")
Da parte di tutto Osservatorio Balcani e Caucaso vorrei ringraziare i nostri partner e tutti voi per essere qui con noi oggi, e vorrei esprimere il nostro entusiasmo per aver promosso, dopo anni di lavoro comune, il nostro primo convegno insieme.
Il rapporto col passato ed i processi di riconciliazione nei Balcani sono stati fin dall’inizio temi centrali nel lavoro condotto da Osservatorio Balcani e Caucaso. Un passo importante in questa riflessione è stato il convegno tenutosi l’anno scorso a Rovereto in cui, insieme ad alcuni dei relatori presenti oggi, abbiamo iniziato a discutere di quello che abbiamo definito "Cattive memorie". La discussione si è concentrata da una parte sulla relazione tra le memorie della Seconda guerra mondiale e le guerre degli anni ’90, e dall’altra sulle politiche della memoria nell’ex Jugoslavia e negli Stati che le sono succeduti.
Dopo anni di lavoro sui processi di riconciliazione nei Balcani, quest’anno ci siamo impegnati in una approfondita analisi del passato e del presente dell’area di confine tra Italia, Slovenia e Croazia, in altri termini l’alto Adriatico, della comune esperienza storica di questi Stati e delle loro memorie conflittuali, attraverso il progetto AestOvest .
Pertanto il nostro contributo al dibattito odierno si concentra sul confronto col passato e sui processi di riconciliazione CON il sud-est Europa.
A partire dagli anni ’90, in tutta Europa ha avuto luogo un processo di rielaborazione storica dell’esperienza del XX secolo. La fine della guerra fredda ha permesso una nuova riflessione sulla tragica storia del nostro continente, come pure sulle singole storie locali.
Una elaborazione democratica ed europea del passato sembrava essere la promessa di un nuovo inizio per tutto il continente, incluso l’Alto Adriatico. Alcuni importanti passi in questa direzione vennero fatti quando per esempio, nel 1993, l’Italia istituì insieme a Slovenia e Croazia due commissioni bilaterali storico-culturali composte da esperti, allo scopo di giungere ad una narrazione condivisa della comune storia del XX secolo.
Tuttavia questi primi, lungimiranti esperimenti incontrarono molti ostacoli. La commissione italo-croata non avviò neppure i lavori, mentre la commissione italo-slovena pubblicò il suo rapporto nel 2000 ma ottenne una limitata diffusione dei suoi risultati, dato che nel frattempo era prevalso un approccio al passato più rivolto verso l’interno. Ogni paese si concentrava cioè sulle proprie questioni politiche interne e, nel caso dell’Italia e della Slovenia, sulla propria esigenza di riconciliazione nazionale tra sinistra e destra: l’Italia nel pieno di una forte crisi d’identità, la Slovenia impegnata nel suo processo di consolidamento istituzionale.
Com’era prevedibile, la tendenza a guardare prevalentemente all’arena politica interna si rivelò problematica nell’era delle comunicazioni globali. Due episodi in particolare mostrarono le conseguenze del confinare la politica solo all’interno della sfera pubblica nazionale: il primo è il caso del film per la TV Il cuore nel pozzo prodotto dalla RAI nel 2005, che presentava una narrazione ampiamente semplificata delle relazioni post-Seconda guerra mondiale nell’Alto Adriatico, in cui i partigiani jugoslavi venivano raffigurati esclusivamente come spietati e crudeli, intenti a maltrattare innocenti bambini italiani (Juri 2005) (Rossini 2005); il secondo concerne il discorso tenuto dal Presidente della Repubblica italiano durante le commemorazioni del Giorno del Ricordo, discorso in cui Giorgio Napolitano usò termini come "slavi assetati di sangue" ricordando le violenze perpetrate contro gli italiani durante e dopo la Seconda guerra mondiale (Grubiša 2007). Entrambi i casi, come prevedibile, hanno provocato reazioni nei paesi vicini (Zanoni 2005) (Matvejević 2005) (Drago 2005) (Juri 2008).
Certamente nell’Alto Adriatico, così come in molte altre parti d’Europa, ci sono varie controversie storiche che necessitano di essere elaborate, morti che devono essere pianti e memorie che richiedono un riconoscimento pubblico.
Indubbiamente le foibe – le stragi di migliaia di persone nel 1943 e nel 1945 – e l’esodo, ovvero lo sradicamento della grande maggioranza della comunità italiana dai Balcani al termine della Seconda guerra mondiale, durante la Guerra fredda sono state due drammatiche pagine dimenticate della storia dell’Alto Adriatico. Per commemorarle è stato eretto il monumento di Basovizza e nel 2004 il Parlamento italiano ha istituito il Giorno del Ricordo da commemorare il 10 febbraio, vale a dire l’anniversario della firma del trattato di pace di Parigi del 1947.
In risposta a questa nuova ricorrenza italiana è emerso un "conflitto di date". La Slovenia ha introdotto il 15 settembre (giorno dell’entrata in vigore dello stesso trattato) per celebrare l’annessione del Litorale alla Slovenia, mentre la Croazia ha fissato il 25 settembre come festività che ricorda l’inclusione dell’Istria nella Jugoslavia, anche se questa data coincide con l’avvio della prima ondata di foibe nel 1943 (Crainz 2008: 189).
In Slovenia si può osservare un tentativo simile a quello che sta avvenendo in Italia, quello di riconciliare destra e sinistra all’interno del paese. Dibattiti politici e nuove commemorazioni vengono dedicate alle uccisioni dei domobranci (la milizia slovena che collaborava con i nazisti, Ndt) e alla persecuzione degli anticomunisti.
Ci si può domandare fino a che punto queste riconciliazioni tra destra e sinistra abbiano avuto successo nel creare in Italia o in Slovenia un clima nuovo rispetto al conflitto tra memorie contrastanti (Verginella 2008:7). Tuttavia il problema che si pone è: perché non possiamo arrivare contemporaneamente alla riconciliazione sia nazionale che transnazionale?
Cercando una risposta a questa domanda abbiamo preso in considerazione alcuni dei più importanti luoghi della memoria che, insieme alle date delle commemorazioni, danno forma alle identità collettive, poiché l’Alto Adriatico ne è disseminato.
Oltre alla già citata Basovizza, un altro importante caso che abbiamo esaminato è Redipuglia. Questo luogo simboleggia la costruzione dell’identità nazionale italiana promossa dal regime fascista. L’immensa area monumentale venne costruita nel 1938 per onorare le centinaia di migliaia di caduti della Prima guerra mondiale, della sola parte italiana. Il monumento era progettato per impressionare il visitatore con la sua grandiosità e la sua architettura austera. L’idea era quella di glorificare i martiri della nazione, subito prima di intraprendere una nuova guerra per soddisfare le ambizioni imperialiste italiane. Certo Redipuglia non intendeva creare emozione per l’enorme tragedia della Prima guerra mondiale, e sicuramente non provocava compassione per i caduti nemici.
La mancanza di compassione è pure la caratteristica di molti famosi memoriali comunisti in Jugoslavia, come per esempio nel caso di Sutieska, che abbiamo studiato l’anno scorso girando il nostro documentario Il cerchio del ricordo. Qui la narrazione eroica della guerra partigiana contro il nazismo raggiunge una delle sue espressioni estreme. A Sutieska infatti, i corpi dei nemici sconfitti non furono neppure sepolti.
Se i regimi autoritari sono noti per le manipolazioni della storia, la democrazia di certo crea lo spazio per una elaborazione critica del passato, ma resta vulnerabile ai demagoghi. Cosa ancora più importante, dovunque, anche in contesti democratici, il riconoscere le responsabilità della propria parte, sia essa politica o etnica, è difficile.
In Italia l’istituzione della democrazia dopo la Seconda guerra mondiale non ha comportato un pubblico riconoscimento né della repressione delle minoranze degli slavi del sud durante il regime fascista, né delle conseguenze dell’invasione della Jugoslavia nel 1941. C’è poca consapevolezza pubblica nel paese su questi eventi e solo recentemente sono stati fatti degli sforzi a livello storiografico per riconoscerli.
Solo pochi anni fa fu posta una targa commemorativa di fronte al Narodni Dom, l’edificio dove avevano sede le organizzazioni della società civile ed imprese slovene di Trieste agli inizi del XX secolo. Il palazzo fu incendiato dalle milizie fasciste nel 1920, in quanto segno tangibile della significativa presenza slovena in città. Di fatto, alla vigilia della Prima guerra mondiale circa un quarto degli abitanti di Trieste era di nazionalità slovena.
Si deve notare che l’iscrizione sul palazzo è stata collocata solo pochi anni fa, come risultato di anni di lotte della minoranza slovena di Trieste per ottenere un riconoscimento delle proprie sofferenze. Il risultato ottenuto è ancora parziale, dato che le cerimonie commemorative che qui si svolgono richiamano per lo più persone di nazionalità slovena, e non sono ancora diventate un’occasione per una assunzione generale di responsabilità nel paese.
Certamente il riconoscimento dei crimini commessi da parte della propria nazione o della propria parte politica è un processo lungo e doloroso.
Abbiamo preso in considerazione anche un luogo dell’Alto Adriatico dove nessun monumento è stato costruito, ovvero l’isola Goli Otok , in Croazia (foto). Il solo nome evoca gli anni più bui del regime comunista jugoslavo. Qui non c’è un monumento che ricordi le vittime del campo di lavoro per prigionieri politici. Lo stato croato post-comunista lo ha ignorato non potendo utilizzarlo per costruire un’identità nazionale o politica, dato che tanto le vittime quanto i carnefici nella prigione di Goli Otok erano comunisti (Pavlakovic 2008).
L’attuale stato di rovina del campo indica la mancanza di una riflessione pubblica sulla violenza politica e della sua condanna.
Lasciatemi concludere con un ultimo luogo simbolico dell’Alto Adriatico: la piazza della Transalpina a Gorizia, che fin dal 1947 era divisa dal confine di stato tra Italia e Jugoslavia. Da simbolo delle divisioni ideologiche della guerra fredda, nel 2004 la Transalpina si è trasformata in un successo del processo di integrazione europea.
Certamente tale processo rappresenta l’unica prospettiva lungimirante, che può garantire la necessaria stabilità politica e prosperità economica. Tuttavia, la mancanza di una riflessione comune sul passato rimane e molto lavoro deve essere fatto per la sua elaborazione.
A partire dal 1989 il vaso di Pandora dell’Europa si è aperto e molte delle memorie della estrema violenza sofferta in questo continente – e in quest’area d’Europa – sono riemerse. L’urgenza di arrivare ad una narrazione condivisa del passato è ormai evidente. Le due riconciliazioni – nazionale e transnazionale – non sono destinate ad essere mutuamente esclusive se vengono ricercate alla luce dei princìpi democratici e dei valori europei.
Nell’Alto Adriatico così come nel resto d’Europa devono emergere narrazioni condivise nella sfera pubblica europea, insieme a nuovi simboli e luoghi della memoria che portino in sé l’assunzione delle responsibilità, la compassione per le sofferenze degli altri e una incondizionata condanna della violenza.
Un luogo della memoria che combini queste tre caratteristiche ancora non esiste. Se il ritorno della guerra in Europa negli anni ’90 non fosse stato sufficiente, la frequenza delle controversie storiche a livello transnazionale suggerisce la forte necessità di impegnarsi a riaffermare questi valori europei.
Riferimenti bibliografici:
Crainz Guido (2008), , in Crainz Guido, Pupo Raul, Salvatici Silvia, Naufraghi della Pace. Il 1945, i profughi e le memorie divise d’Europa, Roma: Donzelli Editore pp. 175-193.
Juri Franco (2005) ‘Un’occasione nel pozzo’, Osservatorio Balcani e Caucaso, 22 febbraio
Juri Franco (2008) ‘Lettere sul confine’ , Osservatorio Balcani e Caucaso, 14 febbraio
Matvejević Predrag (2005) ‘Predrag Matvejević: le foibe e i crimini che le hanno precedute’, Osservatorio Balcani e Caucaso, 15 febbraio
Held Drago (2005) ‘Le foibe viste dalla Croazia’, Osservatorio Balcani e Caucaso, 7 febbraio
Grubiša Damir (2007) Napolitano e le foibe’, Osservatorio Balcani e Caucaso, 12 febbraio
Rossini Andrea (2005), ‘La Storia e la Fiction: intervista a Alberto Negrin’, Osservatorio Balcani e Caucaso, 18 febbraio
Verginella Marta (2008) , in Crainz Guido, Pupo Raul, Salvatici Silvia, Naufraghi della Pace. Il 1945, i profughi e le memorie divise d’Europa, Roma: Donzelli Editore pp. 43-58
Vjeran Pavlakovic (2008) Red Stars, Black Shirts: Symbols, Commemorations and Contested Histories of Word War Two in Croatia, National Council for Eurasian and East European Research (NCEEER).
Zanoni Luka (2005) ‘Le reazioni in ex Jugoslavia al giorno del ricordo’, Osservatorio Balcani e Caucaso, 14 febbraio