Comunità di pratica e transizione digitale: dall’Emilia Romagna all’area Adriatico-Ionica

Le comunità di pratica sono un modello di collaborazione per condividere competenze e soluzioni a sfide comuni. L’Emilia Romagna ha sviluppato un modello efficace per attuare l’Agenda Digitale, ora condiviso nell’area Adriatico-Ionica grazie a un progetto del programma IPA Adrion

29/07/2025, Eleonora Lingua -

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La transizione digitale rappresenta una delle principali sfide del presente, sia per l’Unione Europea che per i Paesi dell’Europa sudorientale che aspirano a diventarne membri. In questo contesto, la regione Emilia-Romagna si distingue per l’approccio innovativo adottato nella digitalizzazione della pubblica amministrazione: tra le altre iniziative, la creazione di “comunità di pratica” tematiche, gruppi di lavoro che riuniscono diverse professionalità per affrontare problemi comuni in modo collaborativo.

Grazie ai finanziamenti del programma di cooperazione territoriale europea Interreg IPA ADRION, questo modello potrebbe ora essere esteso anche nei Paesi dell’area Adriatico-Ionica.

A partire dall’autunno del 2024, infatti, la società emiliano-romagnola Lepida, insieme ad altri otto partner, ha avviato il progetto PADRION il cui obiettivo è rafforzare la trasformazione digitale e le capacità innovative delle pubbliche amministrazioni nei sette Paesi coinvolti: Albania, Croazia, Grecia, Italia, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia.

Ne abbiamo parlato con Cesare Osti, Direttore del Dipartimento Welfare e Integrazioni Digitali di Lepida e Coordinatore del Progetto PADRION, e con Giovanna Parmigiani, Responsabile dell’Area Sistemi di Comunità. 

Approfondiamo il concetto di comunità di pratica: che cosa sono e come le applicate nel vostro lavoro?

Partiamo dalle origini. Le comunità di pratica possono nascere dal basso dall’esigenza di condivisione di un problema. Sostanzialmente sono persone che collaborano, mettono insieme idee e negoziano per arrivare a risolvere un problema condiviso. I tre elementi principali di ogni comunità di pratica sono un dominio di conoscenza comune (linguaggi, competenze, ecc.), l’aspetto della comunità e la pratica del fare insieme. 

Nella nostra regione questa idea delle comunità di pratica non è nata dal basso, nel senso che prende le mosse dalla legge regionale 11/2004 per lo “sviluppo regionale della società dell’informazione” che già oltre venti anni fa definiva gli elementi che costituiscono il sistema organizzativo e gli strumenti grazie ai quali Regione ed Enti Locali potessero costruire collaborativamente la Società dell’informazione regionale ottimizzando l’utilizzo delle risorse, sviluppando progetti condivisi, infrastrutture digitali comuni e buone pratiche. La caratteristica delle Comunità Tematiche della nostra regione è che sono quindi figlie di un forte incardinamento istituzionale.

Con questa legge si istituisce una società pubblica, la società Lepida, e si crea la Community network dell’Emilia-Romagna, una convenzione sottoscritta da tutti gli enti soci – di fatto tutti gli enti pubblici della regione, dai comuni, alle province, alle università ecc. – che permette loro di mettere a fattor comune idee, iniziative, soluzioni a sfide comuni. Le prime Comunità Tematiche nascono tra il 2008 e il 2009 grazie anche ad un grosso finanziamento a livello nazionale e ad una pluralità di attori coinvolti per lo sviluppo tecnologico. E’ stato quello il nucleo centrale che ha permesso di creare una cultura di base sulle comunità di pratica.

Negli anni abbiamo imparato che (anche per lo sviluppo tecnologico, ndr) ci sono aspetti importanti che vanno oltre il dispiegamento delle tecnologie, tra cui l’empowerment che deriva dalla collaborazione, sia per la persona che partecipa alle comunità che per il sistema nel suo insieme: in ognuno dei nostri comuni ci sono persone  qualificate che spesso si ritrovano a lavorare da sole nei loro uffici cercando di risolvere lo stesso problema. L’idea di mettere insieme le idee per trovare la soluzione migliore possibile è qualcosa che aiuta molto ed è diventata in questi anni parte integrante della nostra cultura regionale. 

Come funzionano le comunità di pratica del vostro modello?

Nell’assetto attuale esistono dieci comunità tematiche con ad oggi 1304 iscrizioni, di cui 816 iscritti unici, perché una persona può iscriversi a più comunità. Tutti i partecipanti sono iscritti formalmente dal loro ente, il che aggiunge un ulteriore elemento di responsabilità e valorizzazione del contributo della persona.

All’inizio i protagonisti erano quasi esclusivamente esperti informatici e responsabili dei sistemi informativi, perché c’era una grande enfasi sugli aspetti tecnologici. Nel modello più recente sono stati coinvolti sempre più esperti di settore, ad esempio se parliamo di servizi relativi alla gestione documentale, gli archivisti; se parliamo di progetti che riguardano i servizi on line per i cittadini, gli esperti del servizio on line, eccetera. Questo ci ha permesso di allargare la base di partecipazione ma anche il ventaglio di conoscenze e competenze messe in gioco.

Ogni Comunità Tematica a inizio d’anno determina un piano di attività, mettendo a fuoco un massimo di tre azioni-obiettivo sostenibili da portare a casa entro l’anno.

Ogni Comunità individua al suo interno un massimo di tre coordinatori nominati dagli Enti del Territorio. In ciascuna Comunità c’è un referente di Lepida, un referente del coordinamento dell’Agenda Digitale e un referente del settore Regionale specifico: l’insieme di coordinatori e referenti delle dieci Comunità costituisce una sorta di ’core community’ che periodicamente si riunisce per condividere e allineare progettualità e consolidare le relazioni, la collaborazione e lo scambio tra le dieci Comunità. L’aspetto importante è che nonostante le Comunità Tematiche siano fortemente incardinate in una dimensione istituzionale, non è la Regione che guida e che sceglie quali saranno le azioni da portare a termine nell’anno. Queste vengono decise contemplando tutti i punti di vista, soprattutto i bisogni dei territori. In questo senso la comunità di pratica è una potentissima possibilità di raccordo, di confronto, di dialogo e di intercettazione anche di problematiche prima che diventino irrisolvibili.

Concentrandoci sul progetto che avete in corso nell’area Adriatico-Ionica, ci può raccontare meglio in cosa consiste il progetto PADRION?

L’obiettivo del progetto PADRION è quello di cercare di capire come gli enti degli altri stati, sia paesi membri dell’UE che non, approcciano il tema della trasformazione digitale. L’obiettivo generale è quello di promuovere lo sviluppo dei servizi pubblici, favorendo la crescita economica e la coesione sociale, con attenzione alla sostenibilità dei processi e alla parità di genere.

Insieme ai nostri partner, stiamo cercando di definire un “modello PADRION”, sulla base dell’agenda digitale locale e delle comunità tematiche dell’Emilia-Romagna. Dopo la fine del progetto vorremmo creare una comunità di pratica tra i partner, attraverso un , MoU (Memorandum of Understanding) per continuare a promuovere questo modello e potenzialmente allargarlo anche ad altri partner. 

Avete riscontrato dei problemi o ostacoli in questa prima fase di implementazione del progetto? 

In questi primi mesi ci siamo accorti che l’idea di comunità di pratica non è immediatamente comprensibile da tutti. 

Il tema dell’agenda digitale è abbastanza semplice, si tratta di adottare uno strumento politico-programmatico che ha l’obiettivo di accompagnare il territorio per essere completamente digitale. Questo è un concetto condiviso da tutti i partner. 

Sul concetto di comunità di pratica, invece, non abbiamo ricevuto quasi nessun riscontro da parte dei partner. L’idea di condivisione dei risultati, di lavoro insieme è più difficile da trasmettere. 

Quando si crea una comunità di pratica è necessario sapere bene come costruirla e come gestirla per avere un ritorno utile. Far parte di una comunità di pratica non significa partecipare ad un webinar, ma significa costruire un’interlocuzione continua con gli altri partecipanti. Bisogna partire dall’idea che la comunità di pratica non sia solo transnazionale, ma in primis regionale, trans-comunale. Qualcosa che ti permetta di condividere non solo i problemi ma anche i risultati, le buone pratiche, quali sono i pro e i contro di un progetto sperimentale. Su questo aspetto, abbiamo avuto alcune difficoltà con i partner. Condividere questo percorso è complesso, indipendentemente dal fatto che un paese sia nell’Unione Europea o no. 

Per questo abbiamo cercato di sviscerare il nostro modello pezzo per pezzo insieme ai partner, partendo proprio dall’origine del concetto di comunità di pratica. Il prossimo passo sarà proprio quello di sviluppare e testare il modello PADRION negli altri contesti regionali.

 

Questo articolo è stato scritto nell’ambito del progetto "Il contributo delle Comunità di Pratica per l’integrazione europea dei Balcani”, realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni contenute nella presente pubblicazione sono espressione degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

 

Il progetto

PADRION  (Public Administration facing Digital transformation as a community in the ADRION area) è un progetto di collaborazione transnazionale, finanziato dal programma Interreg IPA Adrion, che mira a supportare il processo di trasformazione digitale delle pubbliche amministrazioni in 7 paesi dell’area Adriatico-Ionica. Il progetto si concentra sullo sviluppo delle capacità delle  comunità locali, per garantire che le soluzioni digitali siano progettate in base alle loro esigenze specifiche. Il partenariato è guidato dalla società pubblica Lepida e vede la partecipazione di comuni, associazioni di municipalità e organizzazioni provenienti da Albania, Croazia, Grecia, Italia, Macedonia del Nord, Montenegro, e Serbia. Il progetto, iniziato nel settembre 2024 con durata triennale, si concluderà ad agosto 2027.