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Come castelli di carta

Il 10 novembre 1989 in Bulgaria termina l’era Zhivkov e del partito unico. Gli eventi salienti di quell’anno, la questione etnica e i tentativi di lustrazione in un’intervista con Zhelyu Zhelev, filosofo e dissidente negli anni del regime e primo presidente democraticamente eletto dopo il crollo del Muro

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fdecomite/flickr

Quest’intervista esce in contemporanea sul quotidiano Il Riformista

Filosofo e dissidente, Zhelyu Zhelev è il primo presidente democraticamente eletto della Bulgaria post-comunista. Classe ’35, nel 1965 viene espulso dal Partito comunista e marginalizzato per le sue convinzioni politiche. Con l’approssimarsi del 1989, Zhelev diventa protagonista nella creazione dell’Unione delle Forze Democratiche, che riunisce le forze di opposizione al regime, di cui è il primo presidente.
Dopo la deposizione da parte del Politburo di Todor Zhivkov, il più longevo dittatore comunista dell’Europa orientale, avvenuta il 10 novembre 1989, Zhelev guida la Tavola rotonda che, su modello di quella polacca, getta la basi della nuova Bulgaria democratica. Presidente della Bulgaria dal 1990 al 1997, oggi Zhelev è presidente del Balkan Political Club, associazione che promuove l’integrazione europea dei paesi dell’area balcanica.

Che tipo di rapporti ci sono stati tra l’opposizione democratica e gli esponenti del Partito comunista prima e durante il tracollo del regime? Che impatto ha avuto l’azione dell’opposizione sul rovesciamento di Todor Zhivkov da parte del Politburo, il 10 novembre 1989?

Come opposizione democratica, non abbiamo intrattenuto nessun contatto con le figure principali del Partito Comunista Bulgaro. Non avevamo canali aperti nemmeno con gli elementi riformatori. I primi contatti sono avvenuti, ma soltanto per necessità quando iniziarono i lavori della Tavola rotonda tra l’opposizione e il regime per discutere sul processo di smantellamento del regime totalitario comunista. E l’opposizione allora riuscì ad imporre che si cominciasse proprio da questo tema. Ma prima c’è stata una battaglia molto dura sul carattere della Tavola rotonda.

I comunisti volevano che sedessimo tutti insieme come se fossimo allegramente al bar. Noi rispondemmo che alla Tavola rotonda devono esserci due posizioni distinte: da una parte il governo, dall’altra l’opposizione e non per cercare compromessi di carattere astratto, ma trattative politiche su come fare a pezzi, smantellare ed eliminare il sistema comunista. E ci riuscimmo.

Riguardo al colpo di palazzo contro Zhivkov, nessuno di noi ha avuto contatti con le figure che hanno organizzato il rovesciamento della leadership interno al Partito comunista, perché il rovesciamento di Zhivkov è stato un colpo interno al partito stesso.

Ma l’opposizione democratica, che era già nata ed era attiva è stata però una delle due principali ragioni che portarono alla caduta di Todor Zhivkov. L’altra è stata rappresentata dai turchi di Bulgaria che nel maggio 1989 cominciarono a protestare con scioperi della fame a staffetta che videro la partecipazione non di centinaia, ma di migliaia di persone nei villaggi e nelle aree da questi abitati.

Quando ha capito che il regime stava per crollare? In Bulgaria si può parlare di rivoluzione?

Nell’autunno 1989 la gente iniziò a manifestare apertamente a criticare e sfilare nelle strade e i comunisti, per riprendere l’iniziativa politica e strategica dalle mani dell’opposizione che stava nascendo decisero di defenestrare Todor Zhivkov. In questo modo, da una parte ripresero l’iniziativa, cosa molto importante nella lotta politica, dall’altra, le figure più liberali all’interno del Partito comunista si presentarono alla piazza nel ruolo di eroi, che hanno abbattuto il tiranno e dato il ‘via libera’ alla democrazia.

Ma tutto questo è durato soltanto 40 giorni. Il 14 dicembre 1989 la piazza davanti al parlamento era piena di attivisti della neonata Unione delle Forze Democratiche che riuniva tutte le organizzazioni di opposizione intellettuali e addirittura funzionari dei ministeri vicini. I toni della manifestazione erano molto duri e la folla non chiedeva soltanto l’abrogazione dell’articolo 1 della Costituzione, che sanciva il ruolo guida del Partito comunista, ma pretendeva anche le dimissioni del parlamento e del governo. Tutti i leader del Partito comunista che provavano a parlare alla folla venivano fischiati e chiamati ‘assassini’, ‘boia’. Si urlava ‘via dal potere!’ Noi leader dell’opposizione riuscimmo a malapena a trattenere la folla perché non si arrivasse ad atti di violenza, che avrebbero insanguinato fin dall’inizio la democrazia bulgara

Alcune frange estremiste ritengono che così facendo la Bulgaria ha perso l’opportunità di fare la sua ‘rivoluzione di velluto’, il che è una stupidaggine. Noi non avevamo né denaro, né banche, né armi a disposizione. Persino le doppiette dei cacciatori erano controllate dal potere comunista. Come avremmo potuto abbattere con la forza un sistema di quel tipo? Al tempo non avevamo neppure una stanza con un telefono con cui connetterci al resto del paese…

Lei ha contestato fin dalle fondamenta la natura del regime comunista quando questo sembrava ancora saldo e per questo è stato marginalizzato e mandato al confino. Si aspettava di assistere un giorno al suo crollo? Cosa l’ha colpita di più nella fine del comunismo?

Io ero convinto scientificamente che il regime comunista era destinato a finire, perché artificiale. Il comunismo aveva mostrato da tempo che né economicamente, né politicamente né socialmente o sotto ogni altro aspetto, era in grado di superare l’Occidente, che ha vinto la competizione su tutta la linea.

L’inconsistenza del comunismo era divenuta fin troppo evidente. Ma non sapevo quando il regime sarebbe caduto. Personalmente ritenevo, così come tanti miei amici e colleghi che la nostra generazione probabilmente non avrebbe visto la fine del comunismo, ma forse quella dei nostri figli sì. Ma del fatto che il comunismo sarebbe caduto eravamo sicuri.

Ritenevo poi che la fine del comunismo sarebbe stata molto sanguinosa, con guerre civili, rivolte, repressioni, uccisioni di massa e t[]e, visto che si trattava di un sistema saldamente strutturato che non sembrava attaccabile in nessun modo e da nessuna direzione.

La storia però è stata maestra d’ironia mostrando che se da fuori il regime sembrava saldo, all’interno era vuoto e le sue fondamenta politiche e morali erano marcite da tempo, e all’improvviso tutto il sistema è crollato. Sono stato molto sorpreso dal fatto che i regimi comunisti dell’Europa orientale sono caduti uno dopo l’altro proprio come castelli di carta, alcuni addirittura contemporaneamente. Non avrei mai immaginato che un regime totalitario sarebbe potuto cadere così facilmente.

In Bulgaria il 1989 è stato segnato, prima che dal crollo del sistema socialista, dal dramma della politica discriminatoria nei confronti della minoranza turca, che portò all’espatrio forzato di 360mila persone (la cosiddetta "Grande escursione"). Come affrontò l’opposizione democratica la questione etnica?

Fin dall’inizio riuscimmo ad immunizzare l’opposizione in Bulgaria contro il virus nazionalista. Zhivkov e il suo regime hanno utilizzato il nazionalismo, che hanno fomentato in Bulgaria mettendo i bulgari contro i turchi. Una politica criminale e per la quale Zhivkov avrebbe dovuto andare in galera, ma all’epoca non avevamo la forza per arrestarlo.

Da questo punto di vista, riuscimmo fin dalla creazione delle strutture dell’opposizione – con una ferma presa di posizione sulla questione dei turchi di Bulgaria – a dare un forte colore antinazionalista all’opposizione stessa e alla condanna della politica di Zhivkov come antinazionale e criminale nei confronti dei diritti umani, oltre che isolazionista a livello internazionale.

Con questa risoluzione categorica riuscimmo a fare fronte comune con la contestazione che proveniva dalla comunità turca, cosa che si rivelò importantissima. E per questo in Bulgaria non è successo quello che accadde nella vicina Jugoslavia. In quel periodo a Belgrado c’erano enormi manifestazioni dell’opposizione serba, guidate da Draskovic e altri leader, ma questa non si era liberata dallo spettro del nazionalismo e dallo sciovinismo. Quando si trattò di prendere posizione nei confronti di Milosevic e dell’Armata Federale, proprio a causa del nazionalismo ormai fuori controllo l’opposizione capitolò e smise di rappresentare un fattore politico importante. Molti degli oppositori si schierarono con Milosevic nelle guerre contro le altre repubbliche, che diedero vita ai crimini che tutti conosciamo.

In molti paesi dell’Europa orientale, dopo il 1989, si è tentato di dare vita a processi di lustrazione nei confronti di chi ha sostenuto l’apparato repressivo del regime totalitario. Qual è stata la vostra posizione a riguardo?

In Bulgaria volevamo fare la lustrazione, affinché le persone che hanno sostenuto il regime comunista e che hanno preso parte nelle politiche di t[]e nei confronti del popolo bulgaro, senza essere uccisi o t[]izzati a loro volta, fossero allontanati dal potere e dalla possibilità di continuare a prendere decisioni politiche nel nuovo sistema. Questo sarebbe stato possibile, e molti di noi appoggiavano questa soluzione sulla transizione politica da un regime all’altro.

C’era però, anche nell’opposizione, chi pensava che non fosse giusto arrivare a soluzioni estreme. Se ci fosse stata la lustrazione, però, molte cose sarebbero state più trasparenti. Tutta la questione dei dossier di regime e della loro pubblicazione avrebbe avuto tutt’altro significato: sarebbe stata una catarsi per la società bulgara.

Si sarebbe saputo chi ha collaborato coi servizi segreti, chi ha t[]izzato in modo diretto o indiretto, servendo gli interessi del regime col t[]e contro tutto il popolo, di fatto. Ma alla fine la lustrazione non si è fatta, anche perché il Consiglio d’Europa non era molto favorevole all’idea di lustrazione, perché questa ha anche aspetti antidemocratici. Quando una parte della società, a prescindere dalla propria natura, viene estromessa dalla vita politica, senza processo e senza condanna, questo non è in linea non solo con i valori politici, ma nemmeno coi principi di diritto cui fa riferimento il Consiglio d’Europa.

In molti paesi dell’ex blocco sovietico si assiste oggi a espressioni di nostalgia verso il regime comunista, anche tra le generazioni più giovani. A cosa è dovuto, secondo lei, questo fenomeno?

Quando una persona vive in un determinato sistema e contribuisce a costruirlo negli anni della giovinezza, quello è per lui un periodo romantico, nel quale ha dimostrato le proprie capacità e ha fatto molte cose raggiungendo con successo i propri obiettivi personali. E visto che è passato molto tempo, lo ricorda come un mondo bello e giusto. Questo naturalmente vale soprattutto per le vecchie generazioni.

Quando sono i giovani a parlare di comunismo con nostalgia, ripetono cose ascoltate dai genitori oppure dai nonni, che gli raccontano "come era bello un tempo". Ma se si costringe lo stesso giovane a ragionare sulle possibilità che ha oggi rispetto a quelle di un tempo… Oggi può viaggiare in tutto il mondo e può studiare e lavorare all’estero, si può realizzare in America, in Germania, in Gran Bretagna, dove lo spinge il suo interesse e a seconda delle proprie capacità.

Durante il comunismo, quando vivevamo rinchiusi in un lager, non avrebbe potuto andare da nessuna parte a meno che non fosse stato parte della casta dell’élite comunista, per poter girare il mondo come privilegio. Altrimenti sarebbe dovuto restare qui a vedere le proprie possibilità spegnersi, a poco a poco.

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