Cipro: l’ultima fase dei negoziati
Benché inizialmente caratterizzati da scarse aspettative, gli incontri di New York del 30 e 31 ottobre fra greco e turco-ciprioti mediati da Ban Ki-moon sono risultati “positivi e produttivi”. Rimangono tuttavia ancora forti nodi da sciogliere
I due giorni di negoziati presso la tenuta di Greentree (Long Island, New York) hanno visto il presidente Demetris Christofias e il leader turco-cipriota Derviş Eroğlu discutere aspetti fondamentali della questione cipriota faccia a faccia con Ban Ki-moon.
I negoziati hanno avuto inizio domenica con la discussione di quattro temi centrali (governance e power-sharing, proprietà, territorio e cittadinanza) fra i due leader ciprioti e il Segretario generale dell’Onu. Il giorno seguente è stato invece dedicato agli incontri, svolti separatamente dalle due delegazioni, con il consigliere speciale del Segretario generale Onu, Alexander Downer, e il Sottosegretario generale agli affari politici, B. Lynn Pascoe.
Sebbene le due parti non abbiano raggiunto alcuna reale convergenza su punti fondamentali, gli incontri di New York sono stati ufficialmente considerati “positivi e produttivi”. Si tratta di una valutazione che da un lato conforta le parti coinvolte, gli opinionisti interni e gli osservatori internazionali, dall’altro giunge inaspettata e sembra quasi contraddire le posizioni precedentemente assunte dal Segretario generale in merito allo stallo dei negoziati.
Novembre 2010: il pessimismo del primo incontro
Il primo incontro di Ban Ki-moon con Christofias ed Eroğlu risale al novembre 2010. In quella circostanza i leader ciprioti si impegnarono ad intensificare il ritmo dei negoziati, dimostrando concretamente di voler finalizzare un processo iniziato nel settembre 2008 e gestito direttamente dalle parti coinvolte, senza alcun ruolo di arbitrato o mediazione da parte dell’Onu.
I successivi incontri di Ginevra, il 26 gennaio e 7 luglio, non hanno tuttavia segnalato alcun reale passo in avanti, inducendo il Segretario generale a porre le due parti di fronte alla realtà dei fatti. Nell’ultimo rapporto al Consiglio di Sicurezza , risalente all’8 agosto, Ban Ki-moon ha definito “fiacco” l’andamento dei negoziati, riconoscendo tuttavia l’impegno dei due leader ad incontrarsi nuovamente nel mese di ottobre, quando egli avrebbe potuto constatare e riferire al Consiglio “una convergenza su tutte le questioni fondamentali”.
Il ritmo negoziale mantenuto fino a quel momento, continuava Ban Ki-moon, rendeva “irrealistico il conseguimento di un accordo per un certo tempo” – perifrasi diplomatica per ufficializzare la situazione di stallo e il diffuso pessimismo fra gli addetti ai lavori. Il riferimento al mese di ottobre non costituiva un ultimatum, ma il significato di queste parole era chiaro: l’assenza di “scadenze asfissianti”, riaffermata in più occasioni dal Presidente Christofias, non implica la prosecuzione dei negoziati a tempo indeterminato.
Mancato accordo sulla presidenza alternata
L’andamento degli incontri preparatori fra i due leader ciprioti non ha comunque autorizzato previsioni ottimistiche. Tra luglio e ottobre le delegazioni hanno discusso gli elementi costitutivi di un’eventuale repubblica federale cipriota: condivisione del potere fra le due comunità, gestione delle proprietà abbandonate, delimitazioni territoriali, sicurezza ed eventuali garanti esterni, cittadinanza, economia e rapporti con l’Unione Europea. Alla vigilia dei meeting di New York, tuttavia, le parole del presidente Christofias hanno confermato ciò di cui opinionisti e addetti ai lavori erano consapevoli: “Speravo che saremmo stati vicini ad un accordo, ma non lo siamo”.
L’ostacolo più recente è derivato dal cambiamento delle posizioni greco e turco-cipriote sulla “presidenza a rotazione” nell’eventuale nuova repubblica federale e il sistema di voto incrociato per l’elezione dei parlamentari. La proposta di una presidenza a rotazione era stata originariamente avanzata da Christofias e accettata dal predecessore di Eroğlu, Mehmet Ali Talat, a condizione che fosse accompagnata da un sistema di voto-incrociato, capace di promuovere responsabilità ed equilibrio fra i politici dei due gruppi.
Qualora infatti i candidati sono consapevoli del fatto che una parte del sostegno necessario alla propria elezione deriva dal voto espresso dai cittadini appartenenti all’altra comunità, è meno probabile che essi decidano di appellarsi a retoriche nazionalistiche, contribuendo alla polarizzazione delle due comunità. La scorsa settimana, tuttavia, entrambi i leader hanno compiuto un passo indietro su questo punto: Eroğlu ha rimesso in discussione il voto incrociato, mentre Christofias ha ritrattato la propria disponibilità al compromesso sulla presidenza alternata.
I problemi interni condizionano i negoziati
La produttività degli incontri fra le due delegazioni dopo l’incontro del 7 luglio è stata inoltre condizionata negativamente dal caso Mari e dalla disputa sugli idrocarburi fra Turchia e Cipro. Il quadro è stato ulteriormente complicato dagli obiettivi che le parti coinvolte hanno perseguito negli ultimi mesi. Le esigenze emerse all’interno delle comunità cipriote, le condizioni poste dalla Turchia e le aspettative dell’Unione europea e dell’ONU sembrano infatti difficilmente conciliabili. Eroğlu non è mai stato favorevole ad un accordo federale per risolvere la questione cipriota, prediligendo un soluzione che preveda il riconoscimento della Repubblica Turca di Cipro Nord e quindi la presenza di due stati sovrani nell’isola. Non era prevedibile quindi un cambiamento di posizione da parte sua.
Christofias ha affrontato negli ultimi mesi il periodo probabilmente più difficile della sua carriera politica. L’impatto della crisi economica globale sull’economia greco-cipriota, le conseguenze del caso Mari, gli scarsi risultati dei negoziati hanno aggravato il suo isolamento politico, emerso prima dell’estate e alla base del rimpasto governativo realizzato nel mese di agosto. Il presidente ha dovuto confrontarsi con un’opposizione sempre più trasversale, cercando al tempo stesso di limitare il calo di consenso popolare nei propri confronti. Non sorprende che i suoi collaboratori abbiano consigliato una linea meno incline alle concessioni nei negoziati, in modo da evitare nuove critiche da parte dei partiti d’opposizione e dell’opinione pubblica. Ovviamente una simile scelta ha ridotto le probabilità di convergenza con la controparte turco-cipriota.
La Repubblica di Cipro alla presidenza del Consiglio dell’Ue
Il governo turco ha chiarito da mesi che, in assenza di una soluzione entro il primo semestre del prossimo anno, Ankara procederà al congelamento delle relazioni con Bruxelles. Il primo luglio 2012 la Repubblica di Cipro assumerà la presidenza del Consiglio dell’Unione europea; dal punto di vista turco essa è soltanto espressione della comunità greco-cipriota e non avrebbe quindi il diritto di rappresentare l’intera isola in ambito europeo.
Se entro il prossimo giugno non sarà possibile raggiungere un compromesso a Cipro e l’AKP manterrà le posizioni assunte, i negoziati per l’accesso della Turchia all’Unione europea potrebbero arenarsi definitivamente.
L’Ue e l’ONU auspicano il raggiungimento di un accordo nei primi mesi del 2012, per sottoporlo quindi al giudizio delle due comunità attraverso un doppio referendum. La probabilità che i negoziati possano avanzare durante il semestre di presidenza greco-cipriota e la campagna per le elezioni presidenziali (febbraio 2013) è sostanzialmente nulla.
Lo scetticismo sui negoziati
La valutazione di questi fattori ha diffuso nella stampa cipriota e fra gli osservatori esterni la persuasione che gli incontri del 30 e 31 ottobre sarebbero stati in ogni caso un fallimento e il gergo diplomatico avrebbe potuto soltanto attenuare la dura realtà dei fatti.
Concedendo un ulteriore margine temporale alle due parti, il Segretario generale avrebbe smentito la linea programmatica del suo rapporto di agosto e sarebbe stato costretto a prendere atto della scarsa considerazione delle due delegazioni verso i suoi ripetuti inviti ad intensificare l’impegno e i suoi velati ammonimenti. Se al contrario, costatando i limitati progressi compiuti, egli avesse deciso di ufficializzare il fallimento dei negoziati, le energie e le risorse impiegate negli ultimi tre anni si sarebbero rivelate un inutile investimento.
Il cauto ottimismo di Ban Ki-moon
Il modo in cui il Segretario generale ha commentato l’esito degli incontri è stato quindi una piacevole sorpresa. Le sue parole appaiono ispirate dalla volontà di infondere la fiducia che un accordo soddisfacente per entrambe le parti sia ancora possibile. Ban Ki-moon ha infatti sottolineato i progressi compiuti nella discussione delle questioni economiche, degli affari europei e della sicurezza interna. Egli ha tuttavia aggiunto che “c’è ancora molto da fare”; i temi più controversi rimangono la governance, i confini territoriali, l’estensione della cittadinanza e gli accordi sulle proprietà.
Il Segretario ha comunque interpretato il parziale ma “incoraggiante progresso” registrato come un segno della possibilità di risolvere le persistenti divergenze entro il prossimo incontro tripartito, che avrà luogo a gennaio. Il suo auspicio è che nei primi mesi del prossimo anno una conferenza multilaterale – in cui potrebbero essere coinvolti, oltre ai rappresentanti greco e turco-ciprioti, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, l’Unione europea, la Gran Bretagna, la Grecia e la Turchia – possa sancire la fine dei negoziati e risolvere la pluridecennale questione cipriota.