Cinema: da Trento a Cannes

Mentre si è da poco concluso il 65° Trento Film Festival, mercoledì 17 apre la 70sima edizione del più importante Film festival internazionale, quello di Cannes

16/05/2017, Nicola Falcinella - Trento

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Una scena del film When the mountains were wild – A freeride journey to the Albanian Alps

Cannes si prepara a ospitare la 70° edizione del Festival del film più importante del mondo, in programma da mercoledì 17 a domenica 28. In apertura c’è il francese “Les fantomes d’Ismael” di Arnaud Desplechin con Charlotte Gainsbourg e Marion Cotillard. Saranno 19 i registi in gara per la Palma, per succedere a Ken Loach e al suo “Io, Daniel Blake” vincitore un anno fa, giudicati da una giuria che comprende tra gli altri Pedro Almodovar e Paolo Sorrentino. Tra i più in vista, in una competizione senza italiani (ma sono in cinque nelle sezioni collaterali), ci sono Michael Haneke con “Happy End” con Isabelle Huppert e Jean-Louis Trintignant e Todd Haines con “Wonderstrucke” con Julianne Moore.

In concorso torna alla ribalta il tedesco di famiglia turca Fatih Akin (“La sposa turca”, “Soul Kitchen”), dopo il coraggioso e scombinato “Il padre” e l’on the road per adolescenti “Goodbye Berlin”, curioso e passato quasi inosservato. Akin propone ora il drammatico “Aus dem Nichts – In the Fade” con Diane Krüger, Numan Acar e Ulrich Tukur. Molto atteso l’ucraino “A Gentle Creature” del grande Sergei Loznitsa, noto per “Anime nella nebbia” e “My Joy” e i documentari “Maidan” e “Austerlitz”. La protagonista è una donna che vive in un villaggio russo e ha il marito in galera. Un giorno le ritorna indietro un pacco spedito al detenuto e deve scoprire il motivo. In gara anche “The Killing of a Sacred Deer”, film americano (girato a Cincinnati) del greco Yorgos Lanthimos con Colin Farrell, Nicol Kidman e Alicia Silverstone. Dopo “Dogtooth”, “Alpi” e “The Lobster”, Lanthimos filma ancora una storia dentro una famiglia disfunzionale. Oltre all’ungherese “Jupiter’s Moon” di Kornél Mondruczo e al russo “Nelyubov” di Andrei Zviagintsev (“Il ritorno”), entrambi già premiati a Cannes.

Nella sezione parallela Un certain regard sono stati selezionati “Posoki – Directions” del bulgaro Stephan Komandarev (noto per “The World is big and Salvation lurks around the Corner” del 2008) e la coproduzione Germania – Bulgaria “Western” di Valeska Grisebach (“Desiderio”) su un cantiere tedesco in Bulgaria. Il primo è un road-movie attraverso il Paese al giorno d’oggi, con un piccolo imprenditore alle prese con tangenti, estorsioni e altre questioni etiche che riguardano il presente della Bulgaria.

Il regista romeno Cristian Mungiu, beniamino di Cannes dopo la Palma d’oro per “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni” nel 2007 e premiato lo scorso anno per “Un padre, una figlia”, sarà presidente della giuria Cinéfondation e cortometraggi, che comprende anche la regista e sceneggiatrice greca Athina Rachel Tsangari. Tra i 16 cortometraggi della Cinéfondation, riservata agli studenti delle scuole di cinema di tutto il mondo, c’è “Lejla” di Stijn Bouma della Sarajevo Film Academy. Nella sezione Quinzaine des realisateurs è incluso il cortometraggio “Trešnje” della croata Dubravka Turić, già vincitrice del Leone d’oro come miglior corto alla Mostra del cinema di Venezia 2015 con “Belladonna”.

Tra gli eventi speciali c’è “Djam” del francese Tony Gatlif (autore di “Gadjo dilo”, “Vengo – Demone flamenco”, “Exils”, “Geronimo”), una coproduzione Francia – Grecia – Turchia, con Simon Abkarian, Daphne Patakia e Maryne Cayon. La giovane donna greca Djam è invitata a Istanbul dallo zio Kakourgos, vecchio marinaio appassionato di rebetiko, per trovare un pezzo per riparare la loro barca. La giovane incontra Avril, una diciottenne francese sola e squattrinata, arrivata per portare aiuto ai rifugiati. Partiranno insieme in un viaggio fatto di incontri, musica, condivisione e speranze.

Trento Film Festival

Intanto si è concluso il 65° Trento Film Festival , con la Genziana d’oro assegnata al documentario "Samuel in the Clouds" del belga Pieter van Eecke sugli effetti del cambiamento climatico. Il protagonista lavora da trent’anni nell’impianto sciistico sul Monte Chacaltaya, in Bolivia a 5.300 metri di quota, poco a nord di La Paz. Un tempo c’era un ghiacciaio e si poteva sciare tutto l’anno, oggi il clima è cambiato, il manto bianco è quasi scomparso, i turisti salgono in minibus per guardare la città dall’alto, Samuel tiene aperto con la speranza che le cose si sistemino, lo skilift resta tristemente inutilizzato e arrugginisce, mentre si svolgono riti propiziatori per invocare gli spiriti della terra e della montagna affinché riportino la neve.

Il premio della giuria è andato a “Gulistan, Land of Roses” della regista curda che vive in Quebec Zayne Akyol. Partita per raccogliere informazioni su un’amica rientrata dal Canada per arruolarsi tra i guerriglieri e morire in combattimento nel 2000, la regista trova la carismatica e determinata Sozdar che addestra un gruppo di giovani donne. Un bel film, molto ben scritto, capace di ritrarre una donna non fanatica, ma lucida e pronta a morire per la causa del Kurdistan e contro l’Isis.

Non molti i film dell’area balcanica e caucasica selezionati in questa edizione, che ha visto un ulteriore aumento del pubblico e della partecipazione a tutte le attività proposte. Nella sezione Terre alte era presente il cortometraggio "Olteanca" di Joao Pedro Borsani, con il regista brasiliano che cerca di ritrarre il villaggio d’origine della moglie, a poco più di 100 km da Bucarest, nella valle dell’Olt. Borsani raccoglie testimonianze dei paesani, della loro vita, ascolta come vedono il futuro di un luogo sempre più vecchio e abbandonato, mentre quasi tutti i figli sono andati all’estero. Un lavoro non originalissimo ma onesto, soprattutto arricchito dallo sguardo esotico e quasi sorpreso di chi proviene dell’altra parte del pianeta.

Altro corto, nella sezione Alp&ism, il tedesco "When the mountains were wild – A freeride journey to the Albanian Alps" di Johannes Hoffmann segue un gruppo di sciatori alla ricerca delle montagne selvagge d’Europa, per vedere come fossero prima della trasformazione in luoghi turistici. Il furgone attraversa l’ex Jugoslavia, si vedono velocemente Mostar, gli impianti di Sarajevo 1984, le valli, i ponti e i segni della guerra, per arrivare sulle Alpi nel nord dell’Albania. In un villaggio in quota nella valle di Valbona trovano tanta neve, restano alcuni giorni sotto la tempesta, sembra abbiano poche riserve di cibo e combustibile, perché ne hanno portato meno del necessario. Quando le condizioni climatiche migliorano, iniziano a fare sci alpinismo e scendere con le tavole da tutti i pendii e la scarsità di rifornimenti non è più un problema. Prima di partire incontrano gli abitanti di villaggio più a valle. Un piccolo video di viaggio un po’ serio e un po’ scherzoso, dove c’è di tutto e di niente, più per chi ama vedere lo sci in neve fresca che per conoscere i Balcani.

In “Ehoa” (2014) di Vladimir Perović, presentato in Eurorama, il regista montenegrino segue la giornata del pastore Bosi Pavlicević. Accompagna il gregge di capre e qualche pecora sul terreno roccioso, alla pozza per l’acqua, mentre è al pascolo legge il giornale, la sera li riaccompagna alla stalla dove è rimasta la moglie. Il titolo richiama il verso che l’uomo usa come richiamo per le capre, un modo di comunicazione efficace, le uniche parole del breve documentario.

La stessa sezione, dedicata a film etnografici premiati in festival internazionali, ha incluso anche “Fisherman’s Conversation” (2014) di Chiara Bove Makiedo, un omaggio al nonno Sergije Makiedo, partigiano e ambasciatore jugoslavo, molto legato all’isola croata di Hvar. La regista segue più storie e momenti, nell’arco di più stagioni e anni: un ristoratore nella baia di Dubovica, il turismo estivo di massa, la pesca tradizionale filmando la famiglia Bibić, i cui uomini escono in mare completamente nudi. Ci sono il turismo predatorio, con l’assalto di giovani stranieri ai locali “per l’interesse di pochi”, e la pesca predatoria, con l’introduzione delle reti a strascico, ma i temi interessanti si perdono un po’. Makiedo non ha un focus chiaro, accenna soltanto alla figura del nonno (che forse meriterebbe maggiore approfondimento), non completa il ritratto di Hvar, vorrebbe descrivere il momento in cui si perdono alcune caratteristiche della vita dell’isola, ma per lo più resta tra l’abbozzo e l’intenzione.

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