Chi torna e chi non torna più: sfollati e rifugiati in Macedonia
Un reportage di Dejan Georgievski, nostro corrispondente da Skopje, sulla situazione di rifugiati e sfollati in Macedonia. C’è chi vuole andare in Paesi terzi e chi invece è irremovibilmente intenzionato al rientro.
Tre anni fa la Macedonia aveva l’aspetto di un enorme campo profughi. In quel periodo, più di 350.000 rifugiati provenienti dal Kossovo si riversarono in Macedonia, del tutto impreparata a un flusso così consistente di persone. Ad ogni modo le forze militari serbe (e a quanto pare anche le bombe NATO) riuscirono a convincere gli albanesi che il Kossovo non era un luogo ideale dove rimanere nei 79 giorni di guerra fra NATO e Jugoslavia. Dopo varie negoziazioni, pause di riflessione, e molte strette di mano con la comunità internazionale, il governo della Macedonia decise di accettare i profughi.
Malgrado fossero contestabili i timori del Governo erano comprensibili. Innanzitutto le precedenti esperienze con i rifugiati nei Balcani, in Bosnia ed in Croazia, rivelava come spesso questi fossero impossibilitati a rientrare nei luoghi di origine. Questo vale specialmente per quanto riguarda la Croazia, dove, utilizzando le parole di Goran Momirovski, portavoce dell’ufficio UNHCR a Skopje, gli sforzi per permettere il rimpatrio dei rifugiati sono stati quasi inesistenti. Così, dal punto di vista del Governo (allora capeggiato dal partito nazionalista di centro-destra VMRO-DPMNE), c’era il rischio reale di provocare una frattura nel delicato equilibrio fra le etnie in Macedonia. I rifugiati all’apice della crisi rappresentavano infatti il 15% della sua popolazione complessiva. IN quei giorni il Primo Ministro Ljubco Georgievski, che si trovava tra l’incudine dell’opinione pubblica soprattutto da parte macedone ed il martello delle pressioni internazionali, dichiarò ai media che "se gli svedesi (i cui giornali avevano provocato la sua reazione) li amano (riferito agli albanesi) così tanto, possono mandarci i loro aerei e noi glieli consegneremo tutti.
La questione fu infine risolta, la comunità internazionale mandò aiuti economici e in seguito accolse una parte dei rifugiati, che passarono da condizioni disumane in cui vivevano nella terra di nessuno al confine di Blace, e vennero trasportati in quattro campi profughi: Stenkovec 1 e 2, Neprosteno e Cegrane. Coloro che disponevano di contanti, come pure chi aveva amici e conoscenti nel Partito Democratico Albanese al Governo, riuscirono ad evitare l’inferno dei campi andando ad abitare con amici o affittando appartamenti a prezzi a volte esorbitanti. Come può capitare, alcuni rifugiati sono più "uguali" di altri.
Comunque, pochi mesi dopo, tutti gli albanesi del Kossovo che erano stati allontanati dalle loro case ripercorsero al contrario la strada della loro odissea. La Macedonia era sopravvissuta.
In ogni caso il loro ritorno significava che altre persone si sarebbero trovate in mezzo alla strada. Quando gli albanesi decisero di vendicarsi, circa 200 000 serbi e altre minoranze furono costretti a lasciare il Kossovo. Fra loro circa 5 000 Rom kossovari. I Rom kossovari vanno suddivisi in vari gruppi etnici (Assali, Rom che parlano albanese, Rom che parlano Serbo – solitamente conosciuti come Zingari /Zigani, e i più originali, i cosiddetti "egiziani", che sostengono di discendere direttamente dagli antichi egizi).
Questi rifugiati Rom sono gli unici rimasti ancora in Macedonia. Quale la loro volontà? Rientrare o meno? La maggior parte dei rappresentanti della comunità internazionale ritiene che questi rifugiati vogliano tornare in Kossovo per continuare la loro vita in modo pacifico. Gli altri pensano invece che questi rom vogliano essere trasferiti in Paesi terzi. Muarem Gashnjani, in un’intervista tenutasi nell’ambito di quest’indagine, afferma: "abbiamo poche prospettive di tornare in Kossovo: innanzitutto a causa di problemi di sicurezza, del tutto inesistente, e in secondo luogo, cosa potremmo fare là? Il sistema economico non esiste più, le società per le quali lavoravamo hanno cessato la loro attività e le possibilità che riaprano sono molto ridotte."
Gashnjani si trova al momento al campo profughi Shuto Orizari, vicino all’omonimo quartiere di Skopje. Vi è un altro campo nella piccola comunità di Katlanovo, a circa 30 chilometri a Sud- Est di Skopje, in direzione di Veles. I due campi ospitano circa 2000 persone, 1200 a Shuto Orizari e 800 a Katlanovo. Il numero complessivo di rifugiati Rom kossovari in Macedonia è di 3034. I 1000 che restano sono ospiti di famiglie a Skopje, Kumanovo, Gostivar e altre parti di Skopje. I due campi sono gestiti dall’UNHCR, che provvede al cibo, alla manutenzione, all’infrastruttura e all’aspetto sanitario. Goran Momirovski dell’UNHCR sostiene che le condizioni sono le migliori possibili, comparandole alla situazione generale del Paese. I rifugiati, per l’esattezza "persone che godono di aiuto umanitario temporaneo", ricevono una visita medica giornaliera, hanno una vettura costantemente a disposizione per il trasporto dei malati all’ospedale, e dispongono di una assistenza sanitaria omnicomprensiva.
Gashnjani è originario di Polje, in Kossovo. Prima della guerra, lavorava per l’Azienda Elettrica del Kossovo, nella centrale elettrica "Obilic". "Nessuno è venuto di notte a mandarmi via di casa, ma la situazione era difficile. La gente riceveva minacce, veniva picchiata, le case bruciate. Questa situazione si protrasse a lungo, davanti alle forze della KFOR. Abbiamo protestato, ma la loro risposta fu: ‘Siamo in Kossovo per proteggere gli albanesi’. Uno di loro mi disse che ‘i Rom non sono la nostra priorità per il momento’. Non potevo aspettare che lo diventassero. Ho moglie e figli; abbiamo riunito le nostre cose e siamo partiti. Tutti sono partiti in quel periodo". Gashnjani attualmente sta scrivendo un libro su quanto è accaduto a lui ed alla sua comunità in Kossovo e sulle vicende storiche dei Rom.
I suoi compagni si uniscono a noi rapidamente. Musli Shakeri di Glogovac dà tutta la colpa all’"Europa e alla comunità internazionale". In generale a qualcuno può sembrare strano che le azioni del regime serbo in Kossovo non abbiano lasciato alle spalle brutti ricordi. Dopo tutto la gente aveva un lavoro, per lo più nel settore pubblico, che gli permetteva di godere di un certo tenore di vita. Ciò che provoca più lamentele sono le condizioni di vita nel campo di Shuto Orizari.
Shakeri dice: "Il campo sorge su una ex discarica della città di Skopje. La zona è stata coperta da uno strato di terra, ma basta che piova una volta per rendere l’inquinamento e le esalazioni insopportabili. Non è possibile vivere in quelle condizioni. Ci sono bambini piccoli e anziani il cui sistema immunitario è già stato compromesso. I bambini sono quasi sempre malati. Un altro problema è quello del cibo: le razioni sono inferiori al nostro fabbisogno, e corrispondono alla media mondiale: il nostro standard nutrizionale non corrisponde certo a quello delle popolazioni africane, tuttavia riceviamo le stesse confezioni di cibo".
Un altro ambito in cui si sentono molte lamentele è quello dell’istruzione. Ahmet Muslija, il più franco che ho incontrato nel gruppo di rifugiati, arriva all’improvviso; ha poco più di 50 anni, piuttosto loquace. Dice: "Prova a immaginare: in questo campo di 1200 persone non ci sono ragazzi di 10-14 anni che vanno a scuola e solo il 40% dei bambini dai 7 ai 10 anni frequenta le elementari. Lo stesso accade a Katlanovo. Per quanto riguarda i bambini ospiti di famiglie le situazione migliora di poco: i bambini hanno problemi con i compagni, specialmente se frequentano scuole dove si parla albanese. Corriamo il rischio di perdere un’intera generazione di ragazzi che crescono analfabeti, senza un’istruzione adeguata. Cosa faranno se e quando torneranno in Kossovo?" Ahmet anche dei problemi di rimpatrio e rientro nel Paese d’origine.
Comunque si stanno facendo interventi per migliorare la situazione in questo ambito. Il Consiglio di Solidarietà Italo Macedone (un’organizzazione nata dopo che il Consorzio Italiano di Solidarietà lasciò la Macedonia) organizza corsi di ripasso per aiutare i bambini rifugiati, assegnando loro compiti a casa e altri incarichi. L’estate scorsa hanno organizzato un campo per i bambini profughi sul Gradistanska Planina (che separa la Valle di Skopje dalla Macedonia orientale), dove i bambini potevano sfogarsi e giocare, ma anche recuperare le conoscenze in matematica, scienze naturali e altre materie del programma.
Lovren Markic non è comunque molto ottimista, e continua a far presenti le problematiche di cui sopra. "Senza dubbio il nostro desiderio è quello di rientrare in Kossovo. Ma cosa fare una volta là? Qual è il sistema economico attuale, e la situazione in merito alla sicurezza? Saremo in grado di tornare alle nostre vecchie occupazioni e guadagnarci da vivere? In Kossovo non funziona niente, e Dio solo sa se il livello di sicurezza potrà mai migliorare. Vorrebbero che tornassimo in Kossovo per renderlo un Paese multietnico, ma dubito che lo sarà ancora.. Il nostro desiderio è di andare in un Paese terzo, dove poter stare insieme, dove trovare condizioni di vita migliori, e dove i nostri figli non debbano essere perseguitati. Inoltre ci sarebbe un migliore controllo sui fondi e l’assistenza che ci viene fornita, e sappiamo che la corruzione riguarda tutta l’area dei Balcani".
"Ma certo che vogliono andare nei paesi terzi, non ce n’è uno che voglia tornare in Kossovo", mi ha detto un operaio, che ha voluto restare anonimo, probabilmente perché la sua posizione non è politically correct.
Ma quello che afferma l’operaio potrebbe anche corrispondere a verità. Lo confermano in parte le parole di Ahmet Muslija. "Non sapremo mai quante persone furono uccise o arrestate nel tentativo di passare illegalmente il confine con la Grecia, o, se ce l’hanno fatta, fino alla Germania. In un solo incidente, quando una nave che trasportava clandestini affondò al largo delle coste montenegrine, 126 Rom di origine kossovara morirono affogati".
"Circa 9000 profughi lasciarono il paese dopo il rientro degli albanesi in Kossovo. Questo è ciò che risulta dal verbale dei rappresentanti di Governo. Stando alle successive elaborazioni discriminatorie da parte dell’UNHCR, quel numero è sceso a 6000, senza che fosse specificato il tipo di discriminazione. Ora 3000 persone risiedono ancora in Macedonia. "Questo calcolo mostra come almeno 3000 profughi Rom abbiano deciso, in un modo o nell’altro, di tentare la fortuna verso l’Occidente ricco e scintillante; il numero di persone che sono tornate è deludente, o per usare le parole di Goran Momirovski dell’UNHCR, "l’interesse al ritorno è stato irrilevante."
Per i rifugiati Rom il tempo stringe: come sostiene Momirovski, la loro condizione di individui che necessitano di assistenza umanitaria durerà fino alla prossima primavera. Dopodiché, ognuno di loro avrà diritto a richiedere asilo politico presso le autorità competenti (in questo caso il Ministero degli Interni), e la loro situazione verrà valutata caso per caso. Il problema è, dice Momirovski, che "una volta che hanno deciso di chiedere asilo, non possono più godere della nostra protezione. Nel caso che la loro richiesta di asilo venga rifiutata o ritenuta non valida, si ritroveranno da soli". In realtà Momirovski ha annunciato che, una volta gestita la questione dei rifugiati, l’UNHCR sarà presente in Macedonia per assistere il Governo nella compilazione della Nuova Legge sull’Asilo (già in fase di prima stesura).
Momirovski ha inoltre aggiunto che l’UNHCR provvede per l’assistenza a ogni membro adulto delle famiglie che rientrano nelle loro case in Kossovo, con una cifra di 200$ una tantum: ad essa vanno aggiunti 50$ per ogni bambino o minore. "Se consideriamo il fatto che il più delle volte abbiamo a che fare con famiglie numerose, la cifra complessiva per nucleo familiare è tutt’altro che irrisoria".
Un altro problema dei rifugiati del Kossovo è che il campo del quartiere di Shuto Orizari a Skopje verrà presto smantellato. Il contratto d’affitto per il terreno scade il prossimo dicembre, ma Goran Momirovski ha rilasciato una dichiarazione ai media, in cui sostiene di aver ottenuto una proroga fino alla primavera 2003.
La Macedonia ha un altro grave problema da risolvere, gli sfollati interni, persone cacciate dalle loro case durante l’ultimo anno di conflitto. All’inizio della guerra, erano circa 200.000 dei quali 70000 cercavano di andare in Kossovo (in maggioranza albanesi) e circa 125.000, in maggioranza macedoni, scappavano verso altre zone del paese. Da allora, un gran numero di sfollati interni sono tornati alle loro abitazioni con l’aiuto di varie organizzazioni internazionali che hanno contribuito alle riparazioni e alla ricostruzione degli edifici.
In un primo tempo la ricostruzione era coordinata dal Centro Macedone per la Cooperazione Internazionale (MCIC). In seguito questo ente è stato sostituito dal Gruppo di Gestione Internazionale (IMG). La percentuale di danni valutati per le abitazioni di ogni categoria è la seguente:
a. Categoria 1 5 – 20% danni su 2.538 case
b. Categoria 2 20 – 40% di danni su 1.455 case
c. Categoria 3 40 – 60% di danni su 802 case
d.. Categoria 4 60 – 100% di danni su 613 case
Le riparazioni, comunque, non sono una questione di primaria importanza. Per molto tempo il problema più grave era che ciò che veniva riparato veniva puntualmente distrutto durante la notte da bande di estremisti o, se vogliamo credere alle parole degli sfollati "dagli albanesi del posto". Questo vale soprattutto per la comunità di Arachinovo, dove parecchie case sono state ridotte in cenere subito dopo le riparazioni, e una persona è morta a causa di una trappola che ha provocato un’esplosione, mentre cercava di aprire la porta della sua abitazione. I macedoni si rifiutano di tornare al loro paese, sino a quando la situazione non si sarà normalizzata. In ogni caso è improbabile che le condizioni di sicurezza, libertà di movimento e di riappacificazione ritornino ad uno stato accettabile nel breve termine. E per questo motivo da alcuni è arrivata la proposta di costituire una "Nova Arachinovo", una struttura a est di Skopje che avrebbe dovuto ospitare temporaneamente gli sfollati di Arachinovo, che in quel periodo alloggiavano nei dormitori per studenti a Skopje. Il numero attuale di sfollati ospitati da famiglie o dormitori e strutture simili è rispettivamente di 6 826 e 2 187. Tutti vogliono far ritorno alle loro casa in modo categorico, ma la sfiducia, la distanza mai ricolmata tra le due comunità e la paura restano.