C’era o non c’era?
Due film sul 1989 rumeno al recente Festival di Cannes. In "C’era o non c’era?" ci si chiede se ci sia stata davvero una rivoluzione. Mentre la storia di Eva, protagonista di "Come ho festeggiato la fine del mondo" parte da un piccolo incidente. Giocando travolge un busto di Ceausescu …
Anche se la giuria del 59° Festival di Cannes lo ha completamente ignorato, dando la Palma d’oro a Ken Loach e il Gran Prix a Bruno Dumont (per l’ottimo "Fiandre" che denuncia le aberrazioni di guerre ordinate non si sa da chi e non si sa perché), "Iklimler – Climi" del turco Nuri Bilge Ceylan ha ottenuto il premio Fipresci dei critici cinematogafici. Il film dell’autore di "Uzak – Lontano" era probabilmente il più bel film del concorso, speriamo abbia una distribuzione in Italia.
L’area balcanica un premio importante l’ha comunque conquistato con la vittoria della Camera d’or (la migliore opera prima) al rumeno "A Fost sau n-a fost? – C’era o non c’era?" di Corneliu Porumboiu. Un film che ragiona sulla "rivoluzione" del dicembre 1989 che portò alla fine del governo di Ceausescu. C’è stata davvero la rivoluzione? Si chiedono i tre protagonisti, tre uomini di mezz’età che si trovano nel sedicesimo anniversario dei fatti a provare a darsi una risposta. Ci si interroga, si ride tanto e ci si fa raggelare nel finale, e non solo perché siamo a dicembre e cade una leggera nevicata.
Come i fiocchi anche le parole del personaggio che chiosa paiono leggère ("era bella, calma") ma parla di una rivoluzione che forse non c’è stata. Il dubbio resta e non basta il comicamente triste confronto televisivo fra i tre uomini.
Piscoci è un anziano pensionato che vive solo e si prepara a vivere in solitudine, con rare visite della vicina, un altro Natale. Manescu è un professore di storia con debiti da pagare. Jderescu ha fatto carriera dopo l’89: da operaio tessile è diventato proprietario di una televisione locale in una città ignota, che non è né Timisoara né Bucarest.
Dopo un’iniziale presentazione dei tre protagonisti, il film si svolge per un’ora e un quarto dentro lo studio televisivo, quasi in un’inquadratura unica frontale del tavolo spartano a cui sono seduti i tre per il confronto. Ma i battibecchi e gli scontri fra i tre, ma anche le distrazioni di Piscoci – che fa cadere oggetti e costruisce aeroplani di carta mentre gli altri parlano, non fanno accorgere allo spettatore della fissità della scena.
Una trovata del regista (che ha ricevuto diversi premi per i suoi precedenti cortometraggi) è quella di assumere come punto di vista quello della telecamera della tv, mossa da un cameraman alle prime armi, con le conseguenze (sballottamenti, inquadrature sbagliate, lamentele del presentatore) che ciò comporta. L’attenzione è però su quel che dicono i tre e gli ascoltatori che telefonano in diretta.
Tutti si accreditano di aver avuto un ruolo nella "rivoluzione", di essere scesi in piazza prima che Ceausescu fuggisse, ovvero di aver avuto coraggio prima che il cambiamento fosse inarrestabile. Alla determinazione di chi si vuole accreditare come "rivoluzionario", come Manescu, si oppone quella di chi li vuole sbugiardare, con testimonianze che paiono precise ma anche con diffamazioni di bassa lega. Resta l’amaro in bocca per una verità che non esce e perché del cambio di regime hanno approfittato i furbi e i manipolatori.
L’ottimo momento della cinematografia rumena (un anno fa a Cannes "La morte del signor Lazarescu" di Cristi Puiu vinse la sezione "Un certain regard" prima di iniziare un tour di successi in molti altri festival) è confermato anche da "Cum mi-am petrecut sfarsitul lumii – Come ho festeggiato la fine del mondo" di Catalin Mitulescu.
Anche in questo caso opera di un regista esordiente e anche in questo caso la materia è lo storico cambiamento di regime dell’89. Il punto di vista diventa, in diretta seppure da una posizione periferica, quella di un bambino. E la morale di Mitulescu è diversa da quella di Porumboiu: la protagonista Eva finisce come hostess su una nave da crociera e nel finale parte su un’imbarcazione illuminata come un albero di Natale. E l’ovest finalmente raggiungibile sembra il paradiso.
La storia è quella della diciassettenne Eva (la brava Dorotheea Petre, già protagonista del bel "Ryna" di Ruxandra Zenide) e di suo fratello Lalalilu. La prima viene cacciata da scuola per aver travolto, giocando con un amico, un busto di Ceausescu. Il piccolo, 7 anni, si convince che sia proprio il presidente comunista dietro l’allontanamento di Eva. Così immagina come "punire" il leader del partito. In parallelo si sviluppa la ribellione e il momento più bello è quando gioco e realtà si sovrappongono e Mitulescu, senza usare repertorio o ricreare fuga, arresto e uccisione di Ceausescu, affida tutto all’immagine folgorante di un’auto incendiata da Lalalilu e i suoi amichetti.