C’è speranza per Recom?

Dopo il lancio dell’iniziativa nel 2004 e il coinvolgimento di centinaia di realtà della regione, l’iniziativa per la costituzione di una commissione regionale per investigare crimini di guerra degli anni ’90 sembrava in stallo. Le recenti importanti novità

23/03/2015, Caterina Bonora - Sarajevo

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Dopo una fase di stand-by durante la quale qualsiasi progresso sembrava escluso, lo scorso novembre i delegati della Coalizione per RECOM e i rappresentanti dei governi della ex Jugoslavia hanno trovato un accordo per proseguire nell’iniziativa.

Se vedrà la luce RECOM, acronimo di “Commissione regionale per l’accertamento dei fatti in merito ai crimini di guerra e le gravi violazioni dei diritti umani commesse sul territorio della ex Jugoslavia”, dovrebbe divenire un’istituzione intergovernativa, riconosciuta ufficialmente da tutti gli stati nati dalla dissoluzione jugoslava e incaricata di indagare i crimini commessi negli anni ’90, più precisamente dal 1 gennaio 1991 al 31 dicembre 2001.

Come affermato dai sostenitori dell’iniziativa, solo con la cooperazione di tutti gli stati che in passato formavano la Jugoslavia sarà infatti possibile creare una documentazione estensiva delle violazioni di diritti avvenute in quel drammatico decennio.

L’avvio dell’iniziativa RECOM è avvenuto nel 2004-05. Successivamente al fallimento del tentativo di creare una commissione per la verità e la giustizia in Bosnia Erzegovina, alcune Ong della regione hanno avviato un dialogo tra loro su una possibile alternativa. Gli attivisti, tra cui Nataša Kandić dell’Humanitarian Law Center (Belgrado) e Vesna Teršelić di Documenta (Zagabria) proposero un nuovo approccio che non solo avrebbe coinvolto tutti paesi dell’area ma che partiva dalla società civile, e non da organizzazioni internazionali o dai governi locali.

L’idea trovò subito il sostegno anche dell’International Center for Transitional Justice (ICTJ), con sede a New York.

Si avviò allora un massiccio processo di consultazioni, tra il 2006 e il 2011, che dava il timbro dell’iniziativa dal basso e che coinvolse migliaia di organizzazioni e persone dell’intera regione: e che divenne tra i maggiori, se non il maggiore, dibattito pubblico mai organizzato su questioni legate alla giustizia transizionale.

A partire dal 2011 però, l’inerzia dell’iniziativa sembrava drammaticamente rallentata, o perlomeno così veniva percepito da molte organizzazioni della società civile della regione. Si era infatti avviata una fase delicata di negoziazioni con i governi dell’area, ciascuno dei quali avrebbe dovuto nominare un proprio inviato speciale, che avrebbe poi redatto un rapporto sulla fattibilità della commissione. Questa fase, rallentata da questioni politiche relative alla nomina di questi inviati e al loro lavoro, è durata quasi quattro anni.

Sviluppi positivi

A fine novembre però alcuni sviluppi positivi hanno dato nuovo impulso all’iniziativa. Durante l’assemblea generale di RECOM gli inviati governativi hanno infatti presentato i propri rapporti, che indicavano una serie di cambiamenti allo statuto della futura commissione affinché fosse possibile farlo adottare da tutti gli stati della regione. L’assemblea, che rappresenta tutti i membri dell’iniziativa RECOM, ha adottato gli emendamenti a larghissima maggioranza (un voto contrario e due astensioni sui 104 delegati votanti).

Nel merito, in che consistono questi emendamenti e come influiranno sulla possibile prossima commissione?

Secondo la newsletter mensile di RECOM “Voice”, gli emendamenti approvati innanzitutto semplificano la procedura per la selezione dei membri della commissione. In secondo luogo, mentre inizialmente i fondi per sostenere le attività della commissione sarebbero dovuti arrivare dagli stati partecipanti all’iniziativa, ora RECOM può essere sostenuta finanziariamente da “donazioni locali e estere e anche da organizzazioni internazionali”. Questo potrebbe porre dubbi sulla sostenibilità futura, ma l’iniziativa RECOM ha dimostrato la capacità di raccogliere fondi in tutta la fase consultiva e anche successivamente, con contributi significativi da parte dell’Unione europea e il sostegno di Fondazioni americane, tra le quali la Rockefeller Brothers, Open Society, NED, ecc.

Il terzo emendamento – e forse quello più significativo – riguarda i poteri “punitivi” della commissione. Di fatto quest’ultima non è mai stata concepita per avere poteri giudiziari simili a quelli di un tribunale, ad esempio dichiarando qualcuno colpevole di un crimine, con conseguenze retributive.

Nonostante i tribunali potrebbero in futuro utilizzare le informazioni e i documenti svelati dalla commissione per avviare nuovi casi, il suo scopo è quello di ricostruire i fatti. Gli attivisti di RECOM hanno speso molte energie durante la fase consultiva per spiegarlo ai rappresentanti dei governi e alle istituzioni della giustizia tra le quali lo stesso ICTY, preoccupate del fatto che i lavori della commissione avrebbero potuto interferire con il lavoro dei tribunali.

Ma un po’ di potere punitivo era ad esempio contenuto nell’art. 17.8 dello statuto non emendato, secondo il quale la commissione avrebbe potuto emettere una sorta di denuncia “per sanzionare un individuo che rifiuti di rilasciare una dichiarazione (cioè di testimoniare)", quindi avvicinandosi a un organo con potere di subpoena. A seguito dell’adozione degli emendamenti sono stati cancellati tutti i residui di questi poteri punitivi, in modo da rimuovere ogni dubbio sul carattere non-giudiziale della Commissione RECOM.

Certo, questo rischia di indebolire la capacità della commissione di raccogliere testimonianze, in particolare di persone coinvolte nel perpetrare crimini di guerra. Ciononostante nella ancora breve storia di commissioni sulla verità, vi sono pochi esempi di istituzioni di questo genere con tali poteri. Allo stesso tempo ve ne sono alcune che ebbero un grande impatto, quelle argentina e cilena ad esempio, senza prevedere alcuna sorta di poteri subpoena e che si trovarono ad operare senza alcuna collaborazione ad esempio dei militari e cioè di coloro i quali erano responsabili della maggior parte della atrocità.

Questi emendamenti, quindi, non sembrano aver alterato l’idea originale alla base di RECOM o il suo possibile impatto.

L’oggetto dell’indagine

Un elemento che invece potrebbe essere determinante per i risultati di tale commissione è la definizione della materia da indagare, ancora non definita ad oggi. E’ stabilito che la commissione indagherà i crimini di guerra commessi nella regione negli anni ’90, ma non è chiaro a che livello. Il minimo sul quale sino ad ora si è raggiunto un accordo è la creazione di una lista delle vittime e dei luoghi di detenzione dove sono state perpetrate gravi violazioni di diritti umani.

Lo statuto iniziale prevedeva però molto di più. Ad esempio, negli obiettivi della commissione contenuti nell’art 14 si includeva anche una ricerca sulle “circostanze politiche e sociali che contribuirono allo scoppio delle guerre o ad altre forme di confitto armato o la commissione di crimini di guerra e gravi violazioni di diritti umani”.

Ciò che RECOM definisce come “cause della guerra” è stato oggetto di grande contenzioso durante il periodo delle consultazioni pubbliche. Da una parte il ricercare le cause delle guerre degli anni ’90 sembra effettivamente un compito molto impegnativo per una commissione temporanea. D’altro canto, però, un mero elenco delle vittime e delle violazioni dei diritti umani rimarrebbe muto sul ruolo giocato nella violenza dalle istituzioni politiche, come anche su altri fattori che in contemporanea e prima del collasso della Repubblica federale di Jugoslavia hanno portato al disastro di quel decennio.

In altre parole, senza alcun lavoro di contestualizzazione, la commissione RECOM incontrerebbe gli stessi problemi che limitano la rilevanza dei tribunali penali, il cui focus esclusivo sulla responsabilità dei singoli impedisce di fare luce sulle responsabilità di stati ed istituzioni. Si rischierebbe quindi di mancare ancora il quadro generale, a favore di una ricostruzione de-politicizzata di singoli episodi.

Ma questo è tutto ragionamento teorico e non si può trarre alcuna conclusione sul respiro che avrà l’indagine della commissione. Di fatto l’espressione “cause della guerra” fa ancora parte dello statuto, dato che gli inviati dei presidenti degli stati della regione hanno lasciato la decisione in merito ai presidenti stessi.

Il passo successivo

Proprio per questo, il passo successivo di RECOM sarebbe dovuto essere un incontro tra i presidenti della regione per discutere la versione finale dello statuto e per condividere un approccio comune per informare il pubblico sul loro sostegno alla creazione della Commissione RECOM. Per accelerare questo passo, lo scorso dicembre, la coalizione per RECOM ha inviato una lettera ai presidenti degli stati della regione ed ai membri della presidenza della Bosnia Erzegovina, incoraggiandoli a incontrarsi.

Ciononostante i cambiamenti nel panorama politico dei Balcani, con le elezioni politiche tenutesi in Bosnia Erzegovina lo scorso ottobre e le elezioni presidenziali in Croazia avvenute tra dicembre e gennaio, hanno rallentato nuovamente il processo. Due dei tre membri della presidenza bosniaca e la nuova presidentessa della Croazia devono infatti essere informati in merito ai cambiamenti allo statuto a cui gli inviati dei loro predecessori avevano acconsentito.

Secondo quanto riferito da Transitional Justice, Accountability and Remembrance (TJAR) di Sarajevo, uno dei promotori dell’iniziativa RECOM, i presidenti in questione sono stati immediatamente contattati, per poter ottenere un incontro con loro, ma data la loro fitta agenda non sono ancora stati fissati degli appuntamenti. Quindi, quando sembrava di essere vicini più che mai in passato alla creazione della commissione, l’avanzamento dell’iniziativa è stato nuovamente sospeso, in attesa che i politici decidano di inserirla o meno nella loro agenda.

L’inevitabile vulnerabilità dell’iniziativa rispetto al contesto politico regionale è una conseguenza della decisione degli attivisti di RECOM di istituire una commissione ufficiale, piuttosto che una informale riconosciuta esclusivamente dalle organizzazioni della società civile. Secondo loro, infatti, solo il riconoscimento ufficiale a livello politico dei crimini legati alla guerra può restituire piena dignità alle vittime e contribuire alla riconciliazione nella regione.

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