Caucaso del Nord: bada a ciò che dici, pensi e… indossi
Nel Caucaso del Nord è in crescita una certa rigidità culturale, con regole severe sull’abbigliamento e sui comportamenti pubblici, e con una forte enfasi sul mantenimento dei valori tradizionali e religiosi

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Grozny, Cecenia, Russia © artaxerxes_longhand/Shutterstock
Nel Caucaso del Nord si registra una crescente rigidità culturale che si manifesta in regole severe sull’abbigliamento e sui comportamenti pubblici, con una forte enfasi sul mantenimento dei valori tradizionali e religiosi. Questa evoluzione limita la possibilità di espressione personale e, soprattutto per le donne, rappresenta un fattore di discriminazione e rischio, confermando una tendenza più ampia di conservatorismo e controllo sociale che permea la regione.
Un episodio emblematico è accaduto in Daghestan, dove un uomo ha aggredito verbalmente e fisicamente una giovane donna, ritenendo il suo abbigliamento troppo “scoperto” per gli standard locali. L’uomo è uscito dalla sua auto per fare un rimprovero alla giovane e, in un gesto di disapprovazione estrema, l’ha spinta e le ha sputato addosso, azione che egli stesso ha giustificato come necessaria per tutelare la “decenza pubblica”. La donna ha subito un trauma cranico e ha denunciato l’aggressione.
L’episodio ha aperto un dibattito locale sulla crescente intolleranza verso modi di vestire non conformi alle norme tradizionali. La polizia ha aperto un’indagine, ma osservatori locali sostengono che tali comportamenti siano frequenti e che, spesso, le conseguenze per gli aggressori siano minime, come ammende amministrative.
Che l’incoraggiamento a questa involuzione reazionaria del costume, una forma di accentuato controllo sociale, avvenga con l’appoggio dei vertici è dimostrato da quanto è accaduto recentemente in Cecenia, dove le autorità locali si sono lanciate sulla censura delle immagini e i messaggi pubblicitari legati all’abbigliamento femminile.
Il 19 luglio a Grozny, si è tenuta una riunione tra rappresentanti del Dipartimento Spirituale dei Musulmani della Repubblica Cecena e i proprietari di negozi di abbigliamento femminile, quasi tutte donne. La riunione è avvenuta dopo la chiusura temporanea di quattro punti vendita. Il motivo del provvedimento non era la vendita degli abiti in sé, ma la modalità con cui venivano pubblicizzati sui social media: video che inquadravano modelle riprese davanti, di lato e di spalle, mentre camminavano con i vestiti da reclamizzare. Questo è stato etichettato come provocatorio e i video sono stati giudicati inappropriati e contrari ai valori culturali della repubblica.
Amir Sugaipov, assistente del capo della Repubblica e incaricato delle politiche giovanili, ha sottolineato che “non si tratta di ostacolare il business, ma di salvaguardare i valori morali e culturali del popolo ceceno” e ha avvertito che le violazioni ripetute porteranno a misure più severe. Anche il muftì Salah-Hadji Mezhiev ha insistito sull’importanza di rispettare la sharia e le tradizioni, definendo il rispetto di questi principi “fondamentale per la sicurezza e l’onore della comunità”.
L’abbigliamento delle donne e il modo di proporlo diventa simbolo di conformità o trasgressione rispetto alle norme sociali. Le restrizioni sull’abbigliamento sono state spesso accompagnate da sanzioni sociali, intimidazioni, e in certi casi violenze fisiche. La tendenza si è ben consolidata, e già nel 2011 Human Rights Watch ha documentato come in alcune zone del Caucaso del Nord donne che non indossano il velo siano state oggetto di aggressioni, anche con l’uso di pistole ad acqua riempite di vernice, per costringerle a rispettare le norme morali vigenti.
Le dinamiche tra tradizione, religione e politica si intrecciano, alimentando una sorveglianza sociale diffusa che si traduce in forme di controllo molto rigide. Questo fenomeno è visibile non solo in Cecenia e Daghestan, ma anche in Inguscezia e Kabardino-Balkaria, dove il ritorno a pratiche conservatrici colpisce la vita quotidiana.
Per chi arriva da fuori, turisti o locali che si sono trasferiti in altre regioni in cui questa forma di controllo sociale è meno pressante, le sorprese possono essere assai spiacevoli.
L’11 luglio un nativo del Dagestan in visita in Ossezia del Nord le ha prese perché indossava un paio di bermuda. In un negozio, alcuni uomini prima gli hanno fatto osservazione perché era in giro con le gambe mezze fuori. Quando lui ha provato a far notare che il bermuda arrivava almeno fino alle ginocchia, lo hanno colpito.
Il tempo scorre all’indietro
In questo contesto di rampante conservatorismo e repressione sociale, si materializzano espressioni fra il bizzarro e il veramente improbabile di arretramento del tempo, o anacronismi.
In Cecenia c’è stata una indagine per stregoneria. Zara Yakhyaeva, residente nel distretto di Kurchaloi, insieme a suo figlio e ad alcune donne che si erano rivolte a lei per aiuto, è stata portata alla polizia.
All’inizio di giugno, Adam Elzhurkaev, capo del Centro per la Medicina Islamica, ha rimproverato una donna di 70 anni accusata di stregoneria, nonostante il figlio affermasse che soffrisse di disturbi mentali. Oggetti come candele e bottiglie d’alcol, insieme all’errata recitazione di una sura coranica, sono stati usati come prove contro di lei. Nel servizio televisivo del 16 giugno, Zara e suo figlio sono stati definiti truffatori che ingannavano le persone con “incantesimi d’amore” e “malocchi”.
Adam Elzhurkaev ha dichiarato che queste persone non hanno fede né coscienza. La polizia ha avviato controlli per reprimere pratiche occulte nel distretto, con l’obiettivo di “aiutare le persone prima che sia troppo tardi”.
Ma non solo pratiche medievaleggianti: anche l’Unione Sovietica ha il suo filone di ultra-conservatori. A Cherkessk sono state condannate per estremismo e possesso illegale di armi nove persone che si definivano “cittadini dell’URSS”.
Il gruppo, attivo dal 2019 al 2020 in Karachaevo-Cherkessia, non riconosceva il crollo dell’Unione Sovietica né la legittimità del governo russo. Oltre a non rispettare le leggi, detenevano armi e esplosivi illegalmente. Cinque sono stati condannati a 5-8 anni di carcere, quattro a pena sospesa.
Anacronismi per anacronismi, a Sebastopoli hanno messo il ritratto di Ramzan Kadyrov a fianco degli eroi della Seconda guerra mondiale. Il ritratto del 48enne capo della Cecenia era stato rimosso dopo un acceso dibattito online, ma il direttore dell’acquario-museo di Sebastopoli, Yuri Kravtsov, ha promosso la sua reinstallazione, denunciando la rimozione come “estremismo”.
Kadyrov viene così riconosciuto come soldato fedele di Putin, e il suo ritratto è stato riposizionato di fianco a quello di Georgij Zhukov (1896-1974), comandante del fronte orientale e dell’offensiva che portò alla caduta di Berlino nel 1945.
Della serie: non conta la realtà, ma il messaggio. Che è una forma di pensiero che dilaga in Russia ben al di là della regione caucasica.












