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Caso Ocalan: le reazioni in Turchia alla sentenza di Strasburgo
La Corte di Strasburgo ha riconosciuto la violazione da parte della Turchia della Convenzione sui Diritti dell’Uomo e le Libertà Fondamentali nel caso Ocalan. Le reazioni del mondo politico turco e curdo, il dibattito sulla riapertura del processo e le conseguenze per il cammino europeo del Paese
La sentenza sul caso Ocalan della Corte Europea per i Diritti Umani non è giunta inaspettata in Turchia. Da giorni il mondo politico e dell’informazione si interrogavano preoccupati sulle possibili conseguenze che la scontata richiesta di riaprire il processo ad Abdullah Ocalan avrebbe potuto avere sul futuro del paese. Gli esponenti dei partiti di opposizione in particolare hanno insistito fortemente sul potenziale di destabilizzazione contenuto nella eventualità di un nuovo processo.
La Corte Europea per i Diritti Umani era chiamata a pronunciarsi in modo definitivo sulle richieste presentate dal collegio difensivo di Ocalan fin dal 1999 e che erano state parzialmente accolte già nel 2003: riconoscere che la cattura di Ocalan era stata il frutto di un complotto internazionale, sancire la violazione durante la detenzione ed il processo di dodici articoli della Convenzione Europea sui Diritti Umani, condannare la Turchia al pagamento di un risarcimento di 1.190.000 euro per le spese processuali.
La decisione presa giovedì 12 maggio, con 11 voti a favore e 6 contrari, ha riconosciuto la violazione di 3 articoli della Convenzione, il 3°, 5° e 6° ed ha stabilito in 190.000 euro l’ammontare del risarcimento. Tenendo conto di queste violazioni la sentenza della Corte ha raccomandato la riapertura del processo.
Gli articoli di cui è stata riconosciuta la violazione fanno riferimento a "maltrattamenti" (l’essere stato processato sotto la minaccia della pena di morte), l’eccessiva lunghezza del periodo di fermo, il poco tempo a disposizione degli avvocati per studiare le carte dell’accusa ed infine il diritto ad un "giudizio equo" violato dalla presenza di un giudice militare tra i componenti del Tribunale per la Sicurezza dello Stato (DGM).
La composizione di questo tipo di tribunali (che sono stati definitivamente aboliti la scorsa estate) ha rappresentato da sempre un elemento in contrasto con il diritto internazionale. Sono stati molti i processi che la Corte Europea ha chiesto di ripetere proprio per l’anomalia rappresentata dalla presenza di un militare. L’ultimo caso in ordine di tempo, poco prima della sentenza Ocalan, ha riguardato un militante del PKK processato sempre dal DGM.
La consapevolezza delle conseguenze che avrebbe prodotto questa anomalia aveva portato al varo, nel 1999, alla vigilia del processo Ocalan, di una riforma con l’obbiettivo di demilitarizzare i DGM. Una misura che però non ha impedito nella prima parte del dibattimento la presenza di un giudice militare. Alla luce di questi precedenti difficile quindi pensare che la sentenza della Corte abbia rappresentato una sorpresa.
I primi commenti a caldo in Turchia hanno cercato di rimarcare come la sentenza non abbia un carattere vincolante ma costituisca appunto "solo una raccomandazione".
E’ stata questa per esempio la posizione del rappresentante turco alla Corte Europea, Riza Turmen. Egli ha sottolineato come spetterà al Consiglio dei Ministri europei la decisione se imporre alla Turchia un nuovo processo.
Fonti della stessa Corte per i Diritti Umani e della Commissione Europea hanno però fatto notare come, soprattutto la riconosciuta violazione dell’articolo relativo al "diritto ad un giudizio equo" renderà inevitabile la ripetizione del processo. Una posizione confermata poi da una nota ufficiale di Strasburgo nella quale viene chiesto ad Ankara di non sottrarsi ad un nuovo processo.
Per quanto riguarda le reazioni del mondo politico, i rappresentanti del governo hanno tutti concordato con soddisfazione nel notare che la decisione della Corte Europea non ha riguardato la sostanza del processo ma piuttosto gli aspetti procedurali. Il Ministro della Giustizia Cicek, dopo aver lanciato alcune frecciate al governo di coalizione in carica nel 1999 – "Se avessero fatto le riforme necessarie ed abolito allora i Tribunali per la Sicurezza dello Stato, ora non ci troveremmo in questa situazione" ha confermato la fiducia nella magistratura e nella sua indipendenza.
Il Presidente Erdogan nelle sue prime dichiarazioni ha detto che "anche se si riaprirà il processo, nella coscienza dei cittadini turchi la questione Ocalan è chiusa" ed ha anch’egli chiamato in causa la magistratura.
In realtà con l’attuale legislazione sarebbe tecnicamente impossibile riaprire il processo. Il Codice di Procedura Penale attualmente in vigore prevede la possibilità di riaprire processi passati in giudicato solo per i dibattimenti conclusi dal 2003 (anno in cui il Codice è stato riformato).
Non avendo la legge un valore retroattivo, per poter ripetere il processo ad Ocalan sarà quindi necessaria una nuova riforma, elemento questo che riporta la questione su di un piano prettamente politico.
Nelle ultime dichiarazioni il ministro della Giustizia Cicek ha fatto sapere che "si sta esaminando con cura il caso, una decisione riguardo un nuovo processo non è stata ancora presa". Nei prossimi giorni è previsto l’avvio dei lavori di una commissione incaricata di studiare gli aspetti tecnici del problema.
L’atteggiamento dei membri del governo è stato caratterizzato poi dallo sforzo di sottolineare come il caso Ocalan non sia solamente un problema per il partito AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) ma come riguardi invece lo stato turco nel suo complesso. Erdogan ha ripetutamente invitato le altre forze politiche "a non approfittare di questa situazione per tornaconti politici di parte". L’evidente intenzione è quella di arrivare ad una condivisione della responsabilità nella gestione di una situazione così delicata ed evitare che il caso Ocalan si trasformi in un’arma nelle mani di coloro che vogliono affossare il governo.
Un rischio tutt’altro che remoto, a giudicare dal tono delle dichiarazioni di alcuni leaders politici. Baikal, segretario del partito di opposizione CHP (Partito Repubblicano del Popolo), ha approfittato dell’occasione per accusare il governo di debolezza e per sostenere che "un nuovo processo sarebbe un grave []e per la Turchia. Il governo deve fare pressioni politiche sul Consiglio dei Ministri Europei per scongiurare questa eventualità". Scontato anche il tono delle parole di Bahceli dell’MHP (Partito di Azione Nazionale) che ha definito la sentenza "una tragedia del diritto che avrà come conseguenza la rivolta della Turchia".
Più conciliante Erkan Mumcu, ex-ministro che è ritornato al Partito della Madrepatria dopo aver abbandonato il governo Erdogan, per il quale "la Turchia deve rispettare i principi del diritto internazionale ed il governo deve fare i passi necessari per rendere possibile un nuovo processo".
Ovviamente diverse le dichiarazioni degli esponenti curdi. Uno dei componenti del collegio di difesa, l’avvocato Aysel Tugluk, dopo aver espresso la delusione per la mancata condanna delle modalità dell’arresto di Ocalan, ha confermato che gli avvocati chiederanno ufficialmente alla magistratura la ripetizione del processo. Tuncer Bakirhan, del partito DEHAP (Partito Democratico del Popolo), si è detto fiducioso che il "nuovo processo potrà costituire un’opportunità per creare un clima politico volto a consolidare una pace sociale duratura piuttosto che l’occasione per provocare un’impennata del nazionalismo e del razzismo".
Molto attese erano le reazioni degli apparati di sicurezza. Mentre il portavoce della Polizia ha invitato i cittadini a rispettare la sentenza di Strasburgo, i militari, che nelle scorse settimane avevano rilanciato l’allarme per la ripresa delle attività del PKK, hanno parlato per bocca del Vice-Capo di Stato Maggiore, Basbug: "I militari hanno avuto migliaia di perdite durante la guerra con il PKK. Essi sono quindi parte in causa e nessuno si può aspettare che mantengano una posizione neutrale. Tutti sanno quello che le forze armate pensano della vicenda".
Il tono generale delle reazioni non solo del mondo politico ma anche dei media ha poi visto affiorare, in alcuni casi in modo molto marcato, una certa irritazione rivolta verso l’Unione Europea. Si sostiene che la sentenza della Corte è stata guidata da motivazioni prettamente politiche piuttosto che dalla necessità giuridica. In questi modo si introduce un elemento di turbamento della pace sociale del paese che finirebbe per aumentare gli ostacoli sulla strada dell’adesione europea, se non addirittura rivelare l’intenzione dell’UE di voler favorire lo smembramento del paese. Accuse che rimandano alla tradizionale diffidenze verso le reali intenzioni dell’UE, diffusa negli ambienti più disparati del paese.
La prospettiva di nuovo processo, insieme alla riapertura di recenti ferite non ancora rimarginate, contiene il rischio di una polarizzazione della società in campi contrapposti sotto le bandiere del nazionalismo turco, ma anche curdo. L’elemento che più ha caratterizzato il progetto politico dell’AKP, fin dalle elezioni del 2003, è stata la pressochè totale marginalizzazione del discorso e della retorica nazionalista. Negli ultimi tempi però il partito sembra aver perso il suo slancio riformatore ed essersi fatto più sensibile alle sollecitazioni scioviniste che si sono levate da diversi settori della società. Il prossimo futuro dirà se si è trattato solamente di una parentesi.
D’altro canto la riapertura del caso Ocalan inevitabilmente riporterà al centro della scena politica la questione curda. Fino ad ora la politica del governo è stata quella di diluire il problema all’interno del più ampio progetto di democratizzazione della società, con il riconoscimento di diritti culturali e l’allentamento della pressione sulle regioni sud-orientali. Nel prossimo futuro con tutta probabilità si riproporrà la questione di più incisive politiche di riavvicinamento alla popolazione curda, del riconoscimento della sua identità politica che appare oggi molto forte e soprattutto, un aspetto spesso trascurato, il varo di efficaci politiche regionali in grado di incoraggiare lo sviluppo economico e sociale dell’Anatolia sud-orientale.
I prossimi sviluppi rappresenteranno anche un’opportunità per il movimento politico curdo. E’ inevitabile però notare a questo proposito come esso si troverà costretto a dover sciogliere una profonda ambiguità nella quale si trova impigliato da tempo: da un lato infatti esso è alla ricerca di spazi di manovra e di legittimazione sulla scena politica ma dall’altro continua a mantenere un rapporto ambiguo con il PKK e soprattutto con il tema della violenza. Una contraddizione recentemente ben sintetizzata dalle parole del giornalista Hasan Cemal "da un lato si vuole far politica in città, dall’altro si prendono le armi e si sale in montagna".
La recente ripresa degli scontri tra le forze armate ed il PKK che nelle ultime settimane hanno fatto una ventina di vittime nell’Anatolia centro-meridionale, rendono lo scioglimento di questa ambiguità ancor più drammaticamente urgente.