Cannes: la conferma a metà di Cristian Mungiu
In pieno svolgimento il 65mo Festival di Cannes. Unico film dell’Europa sudorientale in concorso è “Dupa dealuri” di Cristian Mungiu, già Palma d’oro nel 2007. Il regista romeno tocca molti temi. Ma “Dupa dealuri” è troppo lungo, troppo faticoso, troppo ambizioso e, pur con molti meriti, non entusiasma
Cristian Mungiu si conferma un ottimo regista. Ma il suo “Dupa dealuri” (titolo internazionale “Beyond the Hills”, in italiano “Oltre le colline”) non entusiasma. Il romeno Palma d’oro per “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”, si è rivelato un po’ sotto le attese con il nuovo film, unico dell’Europa sudorientale in concorso al 65° Festival di Cannes.
La sua opera terza conferma una poetica forte e personale, uno stile preciso, abilità tecniche fuori dal comune ma non ha la potenza deflagrante del film precedente.
La trama
Anche stavolta alla base c’è un’amicizia femminile. Alina (Cristina Flutur) e Voichita (Cosmina Stratan) sono due venticinquenni cresciute insieme in un orfanotrofio, legate da un rapporto speciale e segreto. Poi la prima è emigrata in Germania, la seconda si è fatta suora ortodossa in un convento di campagna sulla cima di una collina.
Alina torna per incontrare di nuovo l’amica ma si accorge che molto è cambiato: Voichita riesce a farla accogliere per un periodo nel convento, dove il capo è un pope carismatico e dispotico venerato quasi come un santo.
Lì iniziano i guai, le crisi sempre più frequenti di Alina, il ricovero in ospedale, la malattia, le cure che non hanno effetto, le suore che non sanno come comportarsi e le provano tutte, legandola al letto e sottoponendola agli esorcismi. La ragazza finisce con il morire per cause non chiarite.
Mungiu, in un film lungo oltre due ore e mezza, tocca molti temi. Facendo riferimento ad altri film romeni – è come se partisse da “Love Sick” di Tudor Giurgiu e finisse con “Aurora” di Cristi Puiu – con un finale dentro l’auto della polizia che un po’ chiarisce e un po’ sposta l’asse e allarga il tiro.
Ci sono l’omosessualità repressa, l’ipocrisia e il bigottismo, il padre padrone, la superstizione, la follia, la violenza, la colpa.
Mungiu gira sempre con lunghi piani sequenza che chiedono molta precisione e intensità agli attori e restituiscono emozioni e coinvolgimento agli spettatori. Alcune sequenze sono da brividi, come la lettura che le religiose fanno delle prime pagine del libro contenenti tutti i 464 peccati con cui l’uomo, anche senza accorgersene, può trasgredire le leggi di Dio. Un momento mozzafiato segnato dal riso amaro. Oppure l’arrivo della polizia al convento o il finale.
Non è un film da prendere come superficiale critica di qualcosa, neppure del bigottismo. È un film su qualcosa che è irrimediabilmente passato (l’amore tra le ragazze, un certo tipo di società o di fede), su qualcosa di inafferrabile e sull’ambiguità della vita, dove cause e effetti, colpe e ragioni non sono così definibili.
Ma “Dupa dealuri” è però troppo lungo, troppo faticoso, troppo ambizioso e, pur con molti meriti, non entusiasma.
Il documentario di Akin
Il regista tedesco d’origine turca Fatih Akin (noto per “La sposa turca”) ha portato fuori concorso il documentario "Polluting Paradise", girato nell’arco di cinque anni nel paese di suo padre, Camburnu vicino a Trebisonda sul Mar Nero.
Tutto ruota intorno a una discarica, realizzata in una miniera abbandonata in mezzo a un angolo di paradiso, dove gli abitanti raccolgono ancora il tè a mano. La situazione è estrema, la discarica non rispetta la distanza minima dalle case, i muri di contenimento sono fragili e malfatti, quando piove l’area si allaga completamente e le acque reflue inquinanti vengono scaricate nel fiume o in mare, vicino a dove gli abitanti pescano o fanno il bagno.
Così il paese si popola di corvi e cani randagi in cerca di carogne e di resti, mentre gli abitanti se ne vanno e Camburnu è sceso sotto i duemila residenti ed è a rischio la sopravvivenza del tradizionale festival estivo. Un caso di cronaca che ha diviso le autorità dalla popolazione, occasione per Akin per tornare sull’importanza del conoscere e mantenere le proprie origini e la propria terra.