Camp Bondsteel: il racconto di un detenuto

Ilir F., cittadino kosovaro, è stato detenuto per ben due volte nel carcere della base americana di Bondsteel. In un’intervista per la tv "News24" di Tirana racconta chi e come vi era tenuto prigioniero

02/12/2005, Indrit Maraku -

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Nonostante non vengano maltrattati, i prigionieri di Camp Bondsteel, la più grande base americana in Kosovo, non hanno nessun diritto giudiziario. E’ quanto afferma un ex detenuto: Ilir F., cittadino kosovaro di 31 anni nel carcere di Bondsteel ci è finito per due volte, la prima nel 2002 e l’altra nel 2003. In un’intervista per l’emittente di Tirana "News24", andata in onda sabato scorso, Ilir racconta che "tutti i detenuti indossavano delle tute arancione" come quelle della base Usa di Guantanamo, "ma questa è una pratica che si è diffusa in tutte le carceri del Kosovo". Tra l’altro, nel suo racconto, l’ex detenuto ha negato che nella base di Bondsteel ci fossero prigionieri provenienti dall’estero.

Intanto, la polemica sulle prigioni segrete della CIA nell’Europa dell’Est, sfiora anche l’Albania. Il quotidiano "Korrieri" ha pubblicato per diversi giorni un rapporto della "Global Research", citato anche dall’agenzia bulgara "Sofia News Agency", secondo il quale la città di Scutari (nord-ovest) è stata usata dagli aerei della CIA come tappa durante il trasferimento di prigionieri sospettati di t[]ismo.

La vita a Bondsteel

"Appena arrivi là, gli ufficiali americani ti prendono in consegna. Perché a Bondsteel ti ci possono mandare tutte le forze della Nato presenti in Kosovo che non hanno una prigione propria". Ilir esordisce così il suo racconto per "News24" confermando che nel campo americano costruito in Kosovo nel 1999, alla fine della guerra, "i diritti umani vengono rispettati e non ci sono maltrattamenti". "Anzi – aggiunge – quando vieni interrogato dagli altri servizi segreti c’è sempre un funzionario americano per proteggerti nel caso loro si irritino e cerchino di colpirti".

La vita a Bondsteel segue le regole di una base militare. "La prigione al centro della base è costituita da 24 container divisi su due file e attraversate da un corridoio comune. La zona è circondata dal filo spinato che delinea anche l’area in cui i detenuti per due ore al giorno possono vivere all’aperto. Tutti indossano la tuta arancione, ma questo ormai succede anche nelle altre prigioni civili del Kosovo". Ilir non si lamenta delle condizioni di vita: "Le celle hanno 4 letti ciascuna, sono dotate di bagno e aria condizionata. Una volta al giorno ti danno libri e giornali, in più anche il Corano o la Bibbia per chi lo richieda".

Nessun diritto giudiziario

Comunque, quello che emerge dalla testimonianza di Ilir è che Bondsteel non è una prigione normale. "Quello è l’unico carcere del Kosovo in cui non si applicano i codici che la missione delle Nazioni Unite ha invece introdotto nel resto della Provincia", ha affermato in un’altra intervista concessa all’Ansa.

"Nelle prime 24 ore puoi effettuare una chiamata – ha spiegato davanti alle telecamere di ‘News24’- All’inizio degli interrogatori ti viene chiesto se vuoi essere assistito da un avvocato, ma non serve a niente. Io personalmente ho rifiutato, né ho mai saputo di altri prigionieri che ne abbiano usufruito. Ma questo non cambia niente, perché anche se prendi un avvocato lui ti può solo ascoltare o al massimo suggerirti se rispondere o meno a una domanda… cosa che puoi fare anche da solo. L’avvocato non ha diritto di lamentarsi, può solo partecipare all’interrogatorio che è condotto esclusivamente da militari".

Nel resto del Kosovo la legge stabilisce che una persona arrestata, entro 72 ore deve comparire davanti al magistrato, garanzia che a Bondsteel non esiste. "Non ho mai incontrato neppure un giudice o un procuratore", spiega Ilir. "La prima volta sono stato recluso per 25 giorni e la seconda per 43, ma il mio destino è stato deciso sempre dai militari: nessun giudice si è mai occupato del mio caso e quando sono stato rilasciato, non mi è stato dato nessun documento che certificasse la mia detenzione".

"Ti interrogano quando vogliono, anche di notte. Io sono stato sempre interrogato dall’1:00 alle 4:00 della notte. Ma non ti puoi neanche lamentare, perché non puoi avere nessun contatto con un giudice o procuratore finché ti tengono là. E ti possono tenere rinchiuso anche per 3 anni, se ti considerano pericoloso". Ilir, che ha combattuto al fianco della guerriglia albanese, per due volte è stato arrestato per sospetti legami con gruppi eversivi etnici.

Ma Bondsteel non viene usato solo dagli americani. "La prima volta, nel 2002, sono stato portato là dagli italiani e la seconda volta, nel 2003, dagli inglesi: in questi casi i soldati americani garantivano solo la custodia, mentre gli italiani e gli inglesi conducevano gli interrogatori".

È possibile che Bondsteel venga utilizzata come prigione segreta della CIA per ospitare prigionieri provenienti dall’estero? "Io non lo credo – afferma – e almeno in quei container non ho mai visto stranieri. Solo in un caso ho visto due arabi, ma sono stati rilasciati subito perché arrestati per sbaglio: erano funzionari di una banca. Del resto nella base circolano traduttori albanesi e sicuramente se questo fosse accaduto la notizia sarebbe circolata".

Basi USA in Kosovo

Ma se Camp Bondsteel è una base militare molto discussa, c’è ne è un’altra molto meno conosciuta ma molto più misteriosa. "In Kosovo però – ha detto Ilir all’Ansa – c’è un’altra base americana, decisamente meno conosciuta di Bondsteel anche se si trova poco distante: si chiama Monteeth ed è sotto il pieno controllo dei servizi segreti statunitensi. Lì dentro nessuno di noi ha mai saputo che cosa accada".

"CIA-gate" e l’Albania

Intanto lo scandalo delle prigioni segrete della CIA nell’Europa dell’Est ha sfiorato l’Albania. Mentre i media locali generalmente si sono limitati a raccontare quello che succedeva, il quotidiano "Korrieri" è l’unico che si è messo a indagare su un possibile coinvolgimento dell’Albania. Il 18 novembre scorso il giornale ha pubblicato un rapporto della "Global Research", ripreso tra l’altro anche dall’agenzia bulgara "Sofia News Agency", secondo il quale la CIA avrebbe usato il territorio albanese come tappa durante il trasferimento di prigionieri accusati di t[]ismo.

Nel rapporto viene citata la città di Scutari (nord-ovest), vicino alla quale si trova l’aeroporto militare di Gjadri, una delle basi albanesi che ha sempre suscitato curiosità tra l’opinione pubblica per il mistero che lo ha sempre avvolto. La pista dell’aeroporto è collegata ad un tunnel a forma di "U" costruito sotto la montagna di Kakariq che affianca la base. All’interno del tunnel si possono nascondere decine di caccia bombardieri. Inoltre è presente un’officina e il comando della base. Durante la guerra in Kosovo circolava voce che la base venisse usata dagli americani, ma niente di tutto ciò è mai stato accertato.

Secondo esperti militari interrogati dal "Korrieri", l’aeroporto di Gjadri avrebbe tutte le capacità tecniche per l’atterraggio di un Hercules C-130, il modello di aereo che secondo il rapporto della "Global Research" sarebbe stato usato dalla CIA. Tuttavia, non si è mai parlato dell’esistenza di prigioni segrete dei servizi segreti americani nel Paese.

In seguito alla pubblicazione del rapporto di "Korrieri", alcuni ex ministri socialisti si sono limitati a negare che il territorio albanese sia mai stato utilizzato dalla Cia per tali scopi. Ma vista anche la delicatezza dell’argomento, i media lo hanno accantonato e del tema non si è più parlato.

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