Camminare sul Monte Athos
Al termine di impervie salite e sentieri sconnessi, sui pendii di maestosi paesaggi, si cela l’ospitalità dei monasteri. Tra un bicchierino di Ouzo e una visita nelle antiche mura, la vita dei monaci si rivela poco solitaria. Ma il viaggio sembra non terminare mai
Su di un terrazzino di legno, a circa 70 metri d’altezza dalla scarpata rocciosa sulla quale si erge il monastero di Dionysiou, io e mio padre cerchiamo di seguire il dito di Padre Kristoforos, che ci indica il sentiero che porta verso il Monastero di Grigoriou. "Vedete la fine della spiaggia laggiù?", ci dice in inglese "bene, alla fine di quella spiaggia il sentiero sale fino a quella piccola radura a mezza costa e poi valica il fianco della montagna su di quella sella lassù. In circa un’ora e mezza ci arrivate, senza fretta… ma… ma perché non prendete il battello?".
Dopo la colazione – a base di pane casalingo e grosse olive greche, che in realtà è una colazione-pranzo, perché sul Monte Athos si mangia due volte il giorno e, oggi, è giorno di digiuno – scendiamo sul sentiero di ciottoli che passa sotto le imponenti mura del monastero e arriva alla piccola spiaggia pietrosa accanto all’arsanas, il piccolo porto di Dionysiou. Un cartello indicatore di metallo rosso, un po’ arrugginito e sbiadito ci conferma la direzione per Grigoriou e iniziamo la salita. Il sentiero sale ripidamente in una fitta macchia mediterranea tra cisti, ginestre, citisi ed eriche che in qualche tratto si riuniscono sopra la nostra testa, fino ad arrivare alla prima radura, dove un vecchio olivo avvolto dalla salsapariglia testimonia una vecchia coltivazione.
Ci fermiamo un attimo a riprendere fiato e guardiamo indietro verso Dionysiou. Lo spettacolo è suggestivo: il monastero è già più in basso di noi e, dietro di lui, la costa frastagliata si perde in una serie di punte e calette verso l’orizzonte. La cima spoglia e pietrosa del Monte Athos, ancora sgombra di nuvole, biancheggia, colpita dai primi raggi del sole. Una vecchia stampa dell’800, incorniciata nella biblioteca di Dionisiu, raffigura questo panorama; è esattamente lo stesso ancora oggi e forse non è molto diverso da quello che 5 o 10 secoli prima hanno visto i pellegrini che hanno percorso questi millenari sentieri. Passati sull’altro versante del crinale, il sentiero torna in piano e poi scende di nuovo, in un fresco vallone, dove alla macchia si sostituisce una fitta boscaglia di lecci. Si risale per un breve tratto e poi di nuovo giù, per una bella mulattiera tutta di pietra dalle ampie curve, fino ad un piccolo torrente di acqua cristallina, che gorgoglia timidamente tra grossi massi. A fianco del passaggio sul torrente, una passerella in cemento – unico stonato segno di civiltà – ci fa immaginare portate invernali ben più poderose.
Tra un bicchierino di Ouzo e un pellegrino
Poco dopo il sentiero si allarga, iniziano i primi oliveti e i primi terrazzamenti, ed ecco apparire, sotto di noi, il bel monastero di Grigoriou, con i muri interni ed esterni bianchi, pitturati di fresco e il Katholikon, con il suo bel rosso mattone. Tutt’intorno gli orti, su ripide terrazze, pieni di cavoli, carote, pomodori, peperoni e pomodori, il tutto a picco sul mare. Il sentiero continua sotto le mura del monastero e poi, giù per una ripida scalinata, arriva davanti all’entrata del complesso. Le persone che non abbiamo incontrato lungo il sentiero, sono tutte qui. Alcuni pellegrini stanno parlando con dei monaci, tranquillamente seduti su di una terrazza panoramica proprio sopra il piccolo porto. Altri monaci, nella loro austera tonaca nera, sono presso la porta di entrata, dove uno di loro vende rosari e piccole icone. Altri sono nel cortile interno, a curare le rigogliose aiuole piene di dalie, belle di notte e tanti altri fiori, all’ombra di un bel pergolato che sorregge delle viti centenarie già piene di grappoli maturi.
Ci dirigiamo verso l’arhondariki, la foresteria, e chiediamo di Padre Damianos al primo monaco che incontriamo. Il monaco ci accompagna nella sala comune, ci offre gli immancabili dolci accompagnati dal solito bicchierino di Ouzo, e ci dice di aspettare. Ci gustiamo con calma i grossi tocchi di zucchero gelatinoso, ricoperti di zucchero a velo, e poi versiamo il liquore in un bicchiere di acqua fredda, ottenendo così una bevanda rinfrescante e dissetante. Contempliamo con attenzione la sala: tre lati sono occupati interamente da una comoda seduta, resa ancora più confortevole da colorati cuscini, l’ultimo, da una biblioteca ricca di testi sulla religione ortodossa, sulla vita dei santi e sul Monte Athos. La maggior parte di questi libri sono in greco e in russo, una buona parte in inglese, altri in francese e in tedesco, pochi, molto pochi in italiano.
Alcuni pellegrini greci, insieme a qualche monaco, parlano sommessamente davanti ai loro bicchierini di Ouzo, seduti intorno ad un tavolo. Le finestre sono in parte aperte e l’aria fresca, che soffia dal mare, fa svolazzare le colorate tendine, ci porta una piacevole frescura e una netta sensazione di aromi, di spezie, dei tempi lenti del vicino oriente. Finalmente arriva Padre Damianos, un giovane monaco, dagli occhi azzurri e simpatici, dalla rada barba bionda, nato in Gran Bretagna da genitori greci, che ha scelto di ritornare nella terra dei suoi avi con lo scopo di seguire la fede ortodossa. Padre Damianos, come del resto gran parte dei monaci che abbiamo incontrato, è molto gentile e ci porta a vedere la chiesa spiegandoci le sue icone, la storia del monastero e la sua scelta di vita. Finita la visita Padre Damiano ci spiega che ora deve andare a preparare l’arhondariki per l’arrivo dei nuovi pellegrini, il traghetto proveniente da Dafni sta per arrivare, c’è da preparare altri dolcetti e da riempire altri bicchierini di Ouzo.
Il nome della rosa è Simonos Petras
Il sentiero prosegue lungo la costa verso nord, verso il più spettacolare monastero della penisola; Simonos Petras. A 400 metri d’altezza, abbarbicato su uno sperone di roccia, quasi a picco sul mare, per la sua costruzione devono essere stati impiegati muratori che non soffrivano certo di vertigini.
Un monaco mi racconta che Umberto Eco, proprio visitando questo monastero, abbia avuto l’ispirazione per il suo romanzo più famoso: "Il nome della rosa".
Il deserto dei monaci
Il traghetto è arrivato all’arsanas; qualche decina di persone, tra pellegrini e monaci, tra saluti e abbracci, tra zaini e bagagli, scendono sul molo e salgono verso Grigoriou. Noi invece continuiamo verso nord, verso il prossimo monastero. Sì, bisogna dire che camminare sul Monte Athos riserva molte soddisfazioni. Benché negli ultimi anni siano state costruite molte strade forestali, percorribili da minibus e fuoristrada, ancora in molti luoghi, i vecchi sentieri sono la via più veloce, semplice e spettacolare per raggiungere i vari monasteri. Tra i sentieri che abbiamo personalmente percorso posso segnalare tutto il tratto costiero da Simonos Petras a Nea Skiti – fantastica la costa impervia, la mole imponente dell’Athos e le magica apparizione dei vari monasteri – il tratto da Megistis Lavras a Timiou Prodromou, un tranquillo e isolato monastero rumeno – molto suggestiva la scalinata che porta alla grotta di Agios Athanasiou – l’ombroso sentiero tra il Monastero di Karakalou e Filotheou. Non provato personalmente, ma sicuramente indimenticabile, deve essere il tratto costiero sulla punta meridionale della penisola, che passa da Kavsokalivia e Kerasia.
E’ questa la zona denominata il "deserto" ed è qui che cercano rifugio, lontano dagli altri monaci e da ogni "tentazione" gli eremiti del Monte Athos. Qualcuno di loro scende al più vicino katholikon solo la domenica, altri, che scelgono di vivere veramente in solitudine si fanno portare ogni tanto dei viveri, che molto spesso vengono calati con una fune fino alla grotta, inaccessibile altrimenti. La Tebaide qui non è soltanto un eco di storie lontane, ma è palpabile, avvertibile, nelle spartane casette che si abbarbicano su pendii ripidissimi, nella severa e aspra maestosità del paesaggio, su cui domina, sempre, immancabile, la silenziosa cima dell’Athos avvolta dalle nuvole.
Altri sentieri attendono i viaggiatori che vogliono esplorare meglio la penisola. Non perdetevi i duemila scalini che dall’arsanas di Agia Annis portano su, fino all’omonimo Skiti, e, se siete in buona forma fisica, affrontate la dura salita fino alla cappella della Panghias e poi ancora più su, fino alla cima del Monte Athos, dove una croce segna il luogo chiamato Metamorphosis; "trasformazione, cambiamento". Che cambi veramente qualcosa nel nostro animo dopo un viaggio fin quassù?
Usanze poco “ortodosse”
Camminare sul Monte Athos non presenta nessun problema particolare anche se i sentieri non sempre sono segnati e non hanno una buona manutenzione. Per evitare problemi chiedete sempre a qualche monaco la situazione del percorso. Il problema maggiore semmai, è arrivare nella penisola, che ha uno statuto speciale e permette la visita di soli 10 non ortodossi al giorno, muniti di uno speciale lasciapassare, ottenuto solo dopo un lungo iter burocratico. Il permesso è valido per tre notti, ognuna delle quali da passare in un diverso monastero, e quindi per 4 giorni, al termine dei quali bisogna ritornare indietro o, con pazienza, cercare di prolungare il permesso per uno o due giorni. Da ricordarsi che durante tutto il soggiorno siamo "ospiti" dei monasteri e quindi è bene uniformarsi alle loro usanze e ai loro orari. I monaci, e gran parte dei pellegrini, passano molte ore il giorno a pregare ed è bene partecipare almeno a qualche funzione religiosa, anche se non in tutti i monasteri è permesso l’accesso al katolikon. E’ utile prima di intraprendere un viaggio del genere frequentare o assistere almeno una volta ad una cerimonia ortodossa in Italia. Un ultima raccomandazione: è buna norma vestirsi con pantaloni lunghi e camicie a maniche lunghe anche d’estate, per cui, per non soffrire troppo il caldo programmate il viaggio in una stagione intermedia – primavera, autunno – evitando la stagione più calda che è anche quella più affollata e con meno possibilità di ottenere un permesso.