Bush a Sofia: Kosovo indipendente e infermiere libere
Indipendenza del Kosovo, collaborazione militare, pressioni per la liberazione delle infermiere bulgare condannate a morte in Libia. Sono alcuni dei temi affrontati in una Sofia blindata dal presidente Bush, nell’ultima tappa del suo viaggio in Europa
"Il tempo di agire è adesso. Il piano Ahtisaari deve divenire realtà. Gli Stati Uniti sono convinti che il Kosovo debba essere indipendente". La visita a Sofia del presidente americano George W. Bush in Bulgaria, ultima tappa del suo tour europeo, ricomincia da dove era terminato il bagno di folla che, un giorno prima, lo ha accompagnato per le strade di Tirana.
La capitale bulgara, imbrigliata da ingenti misure di sicurezza, non ha regalato al presidente americano lo stesso entusiasmo incondizionato con cui è stato accolto in Albania. Il giorno prima del suo arrivo, c’è stato anche un timido segno di protesta, con una manifestazione di un centinaio di persone, tra cui alcuni cittadini palestinesi che risiedono nel paese balcanico, che hanno scandito "Non vogliamo la Bulgaria nei giochi di guerra" e "No a Bush, sì alla pace".
Tutto questo, però, non ha impedito al presidente americano di utilizzare la conferenza stampa, seguita all’incontro col presidente bulgaro Georgi Parvanov, come palco da cui ribadire il suo appoggio deciso ad una soluzione rapida della questione kosovara, attraverso la proclamazione di indipendenza della regione.
Dopo la dichiarazione di indipendenza di Pristina, secondo Bush si dovrebbe poi escogitare un incentivo per la Serbia, incentivo che gli sarebbe stato suggerito proprio da Parvanov: via libera all’ingresso nella Nato o nell’Unione Europea e migliori rapporti con gli Stati Uniti.
Nei suoi incontri col presidente bulgaro e con il premier Sergey Stanishev, Bush non ha parlato soltanto di Kosovo. In cima alla scaletta, la collaborazione militare tra i due paesi, divenuta sempre più stretta dopo l’ingresso di Sofia nella Nato nel 2005.
La Bulgaria, infatti, è oggi al centro della strategia di riposizionamento delle forze americane in Europa, avendo accordato gli Usa, nel 2006, l’utilizzo di quattro basi sul proprio territorio. Si tratta degli aeroporti di Graf Ignatievo e Bezmer, del poligono di tiro di Novo Selo, e delle strutture di supporto logistico di Aitos, sulla costa del mar Nero.
I primi soldati dovrebbero arrivare in autunno, e se molti cittadini bulgari vivono nella speranza che questo possa portare qualche investimento immediato nelle zone intorno alle basi, segnate da deboli indicatori economici e da alto tasso di disoccupazione, sono molti i motivi di possibile preoccupazione.
Gli accordi sottoscritti dai due paesi, lasciano infatti aperta la possibilità che le basi bulgare possano essere utilizzate dall’esercito Usa per attacchi verso paesi terzi (si è parlato ripetutamente dell’Iran) anche senza l’esplicito consenso del governo di Sofia. La Bulgaria, inoltre, ha rinunciato alla giurisdizione sui crimini eventualmente commessi dai militari americani sul proprio territorio.
Il paese balcanico, in questi anni, si è distinto per l’appoggio quasi incondizionato alle iniziative belliche degli Stati Uniti, quasi a voler dimostrare con tutte le forze di essere un "partner fedele", nonostante la bassissima popolarità delle guerre in Afghanistan e Iraq.
Proprio in Iraq ai soldati bulgari era stato affidato il delicatissimo controllo della città santa di Kerbala. Sofia aveva dovuto poi ritirare il proprio contingente nel dicembre 2005, in seguito alle forti pressioni dell’opinione pubblica ostile e alla morte, in vari attentati ed incidenti, di 13 militari e sei civili. Nel giro di un paio di mesi, però, una nuova missione, stavolta "umanitaria" è partita per l’Iraq, dove i militari bulgari oggi controllano il campo profughi di Anshraf.
In questi giorni, poi, è partito un contingente di 200 uomini per Kandahar, per rafforzare le difese dell’aereoporto della città più turbolenta dell’Afghanistan. L’impegno militare della Bulgaria nel paese risulta, quindi, più che triplicato.
Nei colloqui tra Bush e l’élite politica bulgara, si è parlato anche del piano americano di realizzazione di un sistema antimissilistico nell’Europa orientale. Sofia, da una parte ha richiesto esplicitamente di essere inclusa nella lista dei paesi protetti, dall’altra ha mostrato prudenza per non innervosire l’ex "grande fratello" russo, che in Bulgaria continua ad essere economicamente molto più attivo dei nuovi alleati americani, soprattutto nel settore strategico dell’energia.
"La Bulgaria accetterebbe ogni soluzione non indirizzata contro paesi terzi”, ha detto Parvanov riferendosi chiaramente alla Russia di Putin. ”La Bulgaria non deve scegliere, perche’ possiamo essere amici sia degli Usa che della Russia, così come io sono amico sia di George che di Vladimir”.
Una precisa richiesta di aiuto è venuta poi da parte bulgara perché gli Stati Uniti contribuiscano all’ammodernamento delle proprie forze militari, "per adempiere ai nostri impegni in ambito Nato", ha detto Parvanov.
Anche la vicenda delle cinque infermiere bulgare condannate a morte in Libia insieme ad un medico palestinese, con l’accusa di aver volutamente contagiato 426 bambini col virus dell’Hiv, è stata discussa durante la visita di Bush. Molti quotidiani bulgari, il giorno del suo arrivo, avevano esordito con un appello al presidente americano perché la superpotenza d’oltre atlantico rafforzasse la sua pressione su Gheddafi, per la liberazione di chi appare ormai chiaramente ostaggio di un processo politico.
Bush ha ribadito il supporto Usa affinché la vicenda possa concludersi positivamente. "La liberazione delle infermiere è una questione di alta priorità", ha detto Bush, "e le donne devono essere liberate al più presto". Qualche dubbio sulla ricaduta effettiva di questa visita sul processo, è stato espresso proprio dal dottor Zdravko Georgiev, unico tra gli accusati ad essere stato prosciolto, anche se mai autorizzato a tornare in patria dalle autorità libiche. "Vediamo qualche progresso, ma siamo piuttosto scettici sul fatto che i colloqui tra i presidenti Bush e Parvanov possano portare a una reale soluzione", ha dichiarato Georgiev alla radio nazionale bulgara, in un’intervista andata in onda l’11 giugno.
Importante, sia dal punto di vista economico che simbolico, è stata poi la richiesta della Bulgaria di provvedere ad una revisione del regime di visti per l’ingresso negli Stati Uniti che, nonostante l’ingresso di Sofia nell’Ue continua a discriminare i cittadini bulgari, così come quelli di altri stati dell’Europa orientale, rispetto a quelli dei vecchi stati membri.
"Quello dei visti è un sistema legato al passato", ha riconosciuto il presidente americano, "e potrebbe essere riformato per rispondere meglio alle esigenze dei cittadini di questo paese. Questo richiederà la volontà della maggioranza democratica al Senato, e il mio impegno a lavorare con i Repubblicani favorevoli alla riforma". Impegni precisi, però, Bush non ne ha voluto prendere.