Bulgaria, piogge e corruzione

La recente ondata di maltempo in Bulgaria ha provocato quattro vittime nel villaggio turistico di Elenite sul mar Nero. Ad uccidere però, più che la pioggia sono state avidità e corruzione, eredità scomoda di un passato mai veramente affrontato e risolto

14/10/2025, Francesco Martino - Sofia
Temporale a Varna - © Cpifbg13/Shutterstock

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Temporale a Varna - © Cpifbg13/Shutterstock

Colonne d’acqua e di fango che travolgono ogni cosa, infrangendosi contro costruzioni e palazzine, lunghe processioni di automobili sollevate dalla corrente nelle strade allagate e trascinate con furia verso la spiaggia e le onde del vicino mar Nero.

Il 3 ottobre il villaggio turistico Elenite, nel comune di Nasebar, è stato trasformato dalle piogge battenti in una trappola mortale: quattro persone hanno perso la vita per l’esondazione del torrente Drashtela, che ha sommerso e sconvolto l’abitato. Tra le vittime anche un poliziotto, che su una piccola imbarcazione era alla ricerca di dispersi nel tratto di mare di fronte ad Elenite.

In Bulgaria l’inizio di ottobre è stato severo dal punto di vista meteorologico: le temperature sono scese di molti gradi sotto le medie stagionali e le cime delle montagne, come la Vitosha, affacciata sulla capitale Sofia, si sono coperte di un’insolita – per questo periodo – cappa bianca.

Sulla costa si sono abbattute precipitazioni violente: nei primi due giorni di ottobre, secondo i dati dell’Università “Sv. Kliment Ohridski” di Sofia, nell’area montuosa che sovrasta Elenite – qui gli ultimi lembi dei monti Balcani incontrano le coste del Mar Nero – sono caduti 410 litri per metro quadro in poche ore. Una situazione eccezionale e considerata ad alto rischio.

Per molti analisti, però, ad uccidere ad Elenite non è stata la pioggia. A togliere la vita, sono state avidità e corruzione, accompagnate da una buona dose di ottusità e senso di impunità. Basta guardare le foto satellitari, per rendersi conto del fatto che buona parte del villaggio è infatti costruito letteralmente sopra il letto del Drashtela.

Grazie alla funzione “immagini storiche” di Google Earth, si può seguire passo passo la lenta scomparsa del corso d’acqua sotto lunghe file di villette a schiera, alberghi, un anfiteatro e addirittura un parco acquatico. Dalle immagini, è evidente che il momento decisivo è tra il 2006 e il 2010, a cavallo dell’ingresso della Bulgaria nell’UE, quando il fiume viene sepolto inesorabilmente sotto il cemento.

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Per permettere la privatizzazione e l’approvazione dei piani di investimento fino alla posa del cemento, il fiume – proprietà inalienabile dello stato e zona a divieto assoluto di costruzione – è dovuto misteriosamente sparire anche da documenti, carte catastali e piani regolatori.

Molte sono le istituzioni che hanno dovuto mettere il loro timbro e accordare il via libera alla cementificazione: dal comune all’ispettorato del ministero dell’Ambiente, passando per la direzione locale dei bacini fluviali e all’amministrazione regionale.

Anche nei giorni successivi alla tragedia, l’attuale ministro dell’Ambiente (e delle Acque) Manol Genov ha messo in dubbio l’esistenza stessa del corso d’acqua che ha trascinato via quattro vite a Elenite. “In quell’area”, ha dichiarato il ministro “non c’è un fiume, ma solo una forra secca”. Dichiarazioni presto smentite, carte e documenti alla mano.

Passata l’emergenza, sono iniziate le operazioni per ripulire il villaggio turistico da fango e detriti. Nel frattempo, i rappresentanti delle varie istituzioni coinvolte, sia a livello centrale che locale, hanno puntato il dito l’una contro l’altra, mentre numerose irregolarità – come prevedibile – sono già venute alla luce.

Una verifica del ministero dello Sviluppo regionale afferma che i permessi di costruzione sul letto del Drashtela, risalenti al “periodo d’oro” della cementificazione del litorale bulgaro, tra il 1997 e il 2008, sono stati rilasciati dalla municipalità di Nasebar all’interno del suo piano regolatore. Accuse presto rispedite al mittente dal sindaco Nikolay Dimitrov, che ha affermato che la competenza e le responsabilità sono degli organi statali.

La procura della vicina città di Burgas ha aperto un’indagine per risalire alla verità. Per arrivare a un pronunciamento dei giudici ci vorranno anni, e i precedenti non ispirano ottimismo. Nel settembre 2023 una disastrosa inondazione ha colpito la cittadina di Tsarevo, sempre sulla costa del mar Nero, uccidendo anche in quella occasione quattro persone.

Anche in quel caso è stato appurato che i corsi d’acqua erano stati ostruiti da numerose costruzioni illegali: fino ad oggi, però, non si ha notizia di atti d’accusa a coronamento di verifiche ed indagini giudiziarie. Per l’inondazione che nel 2014 ha provocato 13 morti nel quartiere Asparuhovo di Varna, per gli inquirenti l’unico colpevole accertato è la pioggia.

Sui media bulgari, nelle cronache e tra le righe dei pezzi di analisi e commento alla tragedia di Elenite, aleggia il fantasma degli schemi di corruzione e abuso di potere che negli ultimi decenni hanno permesso abusivismo diffuso e la costruzione di veri e propri ecomostri nel paese, soprattutto nelle aree più appetibili: le coste del mar Nero, i luoghi del turismo invernale e le grandi città.

Le ondate di piena non hanno solo divelto asfalto e cemento, ma hanno riportato violentemente alla luce lo spettro dei fenomeni mafioso-economici che così tanto hanno segnato gli anni caotici della transizione, e che la Bulgaria di oggi – nella sua voglia di ritrovata normalità europea – vorrebbe mettersi alle spalle.

Elenite ne è un esempio fulgente: questo tratto di costa, sospeso tra le montagne e il mare, era stato individuato già negli anni ‘70 per costruire un’area di villeggiatura per le necessità del Comitato centrale del Partito comunista bulgaro.

Con la caduta del regime, Elenite viene privatizzato: dal 2002 la proprietà reale del villaggio viene collegata alla famiglia Arabadzhiev, tra i protagonisti più in vista e chiacchierati dell’epopea del passaggio di ricchezza e risorse dallo stato a mani private, spesso con modalità poco trasparenti.

Come spesso succede, però, per risalire ai proprietari, in Bulgaria bisogna passare attraverso una fitta rete di scatole cinesi, nella forma di società off-shore registrate in vari paradisi fiscali.

Il complesso “Holiday Village” ad Elenite, ad esempio – pur collegato da più fonti stampa alla famiglia Arabadzhiev – è ufficialmente proprietà di una società registrata alle Seychelles a nome di un prestanome cipriota. Uno schema che nel paese si ripete a più riprese, nei settori più disparati.

Secondo numerosi esperti, con i cambiamenti climatici in atto, questa eredità irrisolta potrebbe portare a nuovi drammi, e renderli più frequenti e tragici. Intervistato dalla radio pubblica BNR, il climatologo Georgi Stefanov a lanciato un appello alle istituzioni perché le costruzioni abusive lungo i corsi d’acqua vengano abbattute in fretta.

Aggiungendo però poi che, in attesa di un intervento dello stato, i cittadini farebbero bene a sottoscrivere polizze di assicurazione contro le inondazioni.

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