Bulgaria, cronaca di un lockdown annunciato

Dopo una prima fase relativamente tranquilla, la Bulgaria fa oggi i conti con un’impennata dei casi di COVID-19 che ha portato il paese in cima alle classifiche di mortalità da coronavirus. Tra polemiche e indecisione, il governo ha deciso ora di imporre un nuovo "lockdown morbido"

27/11/2020, Francesco Martino - Sofia

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Nelle strade di Sofia - © Circlephoto/Shutterstock

Nell’inverno-primavera scorsi, durante la prima ondata di COVID-19, la Bulgaria è rimasta quasi indenne dal contagio: un severo lockdown è stato introdotto in una fase molto precoce dell’epidemia, e fino a giugno inoltrato sono state registrate solo poche decine di casi al giorno.

In strada e sui social media sono a lungo circolate le teorie più disparate – e talvolta fantasiose – sul perché il virus, che stava mettendo in ginocchio non solo buona parte dell’Europa e del mondo, ma anche paesi vicini, come la Serbia e la Macedonia del nord, non avesse avuto un impatto visibile in Bulgaria. Tra quelle più gettonate, la vaccinazione obbligatoria antitubercolare, che avrebbe creato anticorpi a prova di coronavirus, o le peculiarità genetiche “speciali” del popolo bulgaro.

Quando a inizio maggio sono state allentate le misure anti epidemiche, il premier Boyko Borisov non ha fatto però sconti, invitando tutti alla prudenza. “Se il numero dei casi dovesse superare i cento al giorno, chiuderemo di nuovo tutto e subito!”

La soglia dei cento casi al giorno in realtà è stata poi superata piuttosto in fretta, il 24 giugno per la precisione, ma nonostante le parole di Borisov l’estate è passata in un’atmosfera relativamente rilassata e con numeri altalenanti – tra le poche decine e i trecento – fino ad inizio ottobre, senza arrivare ad alcuna nuova chiusura.

Da allora, però, la situazione è cambiata in fretta: la curva epidemica si è innalzata velocemente, ma questa volta non sono state introdotte o quasi nuove misure di prevenzione. A pesare sulle decisioni dell’esecutivo, distintosi con un approccio confusionario fatto di decisioni annunciate, prese e poi spesso ritirate dopo un giorno o due, ci sono state sicuramente le preoccupazioni sulla necessità di tenere a galla l’economia.

Ma la ritrosia ad agire, soprattutto a confronto con l’approccio deciso nella prima fase della crisi epidemica, ha radici anche politiche: scosso da mesi di proteste che hanno attraversato e diviso il paese per mesi, l’esecutivo Borisov – accusato dai manifestanti di corruzione e nepotismo e consapevole di godere di credibilità e autorità visibilmente ridotte – non ha trovato il coraggio di prendere decisioni che sapeva impopolari e difficili da accettare.

L’escalation però non si è fermata: a fine ottobre i contagi giornalieri hanno toccato quota tremila, mentre a novembre si sono stabilizzati tra i tremila e i quattromila al giorno, toccando il 18 il picco di 4828 casi confermati. Anche il numero delle vittime legate al coronavirus è cresciuto rapidamente: su base settimanale si è passati da 49 (10-17 ottobre) a 353 (1-7 novembre) per toccare le 729 (14-21 novembre). In costante crescita anche la percentuale dei test PCR positivi sul totale di quelli effettuati, che è passata da circa il 10% di inizio ottobre ad un preoccupante 40,1% della settimana 14-21 novembre.

Secondo i dati dell’Istituto statistico nazionale, la seconda settimana di novembre ha registrato la più alta mortalità complessiva degli ultimi cinque anni con 3852 decessi (quasi il doppio del dato medio), un dato che molti spiegano non solo con gli effetti diretti del COVID-19, ma anche con il conseguente collasso del sistema sanitario.

Sui giornali e nelle televisioni bulgare si sono presto moltiplicate le storie che raccontano di pazienti lasciati a se stessi dai medici di base, di ospedali che rifiutano ripetutamente di accogliere nuovi pazienti, di ambulanze attese per ore se non per giorni, di reparti arrivati al pieno delle proprie capacità e incapaci di reagire soprattutto nei centri minori e più periferici. Ad oggi il numero dei pazienti positivi ospedalizzati è 6655, mentre sono 430 le persone ricoverate in reparti di rianimazione.

Un quadro grave, sottolineato da un triste primato: durante le ultime settimane la Bulgaria è diventato il paese con la più alta mortalità al mondo. Tra il 20 e il 26 novembre sono state registrate in media 120 morti per COVID-19 al giorno, pari a 1,7 morti ogni 100.000 abitanti. Tra i cinque paesi al mondo dove la pandemia sta colpendo più duramente nell’ultimo periodo si trovano anche la Bosnia Erzegovina, la Macedonia del Nord e la Slovenia. 

Di fronte ad una situazione compromessa, il governo non ha più potuto evitare di agire: il 25 novembre è stata quindi annunciata una serie di nuove misure che possono essere sintetizzate sotto lo slogan “lockdown morbido e a breve scadenza”.

Tra le misure più importanti – che l’esecutivo intende adottare fino al 21 dicembre incluso – la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, compresi gli asili (col passaggio, dove possibile, all’istruzione a distanza), stop allo sport e al turismo, chiusura dei centri commerciali con l’eccezione delle attività che offrono servizi e prodotti essenziali. L’obiettivo, come spiegato dal generale Ventsislav Mutafchiyski, capo del Comitato nazionale per la gestione della crisi “è far calare il numero di nuovi contagiati almeno del 50%”.

Neanche l’introduzione del nuovo lockdown è riuscito però a fermare le polemiche: a spaccarsi sulle misure da adottare non è stata solo la politica e l’opinione pubblica, ma anche la comunità scientifica locale. Secondo alcuni immunologi, come il professor Andrey Chobanov, dell’Accademia delle scienze bulgara, la nuova chiusura “non produrrà i risultati attesi” e nella migliore delle ipotesi “alleggerirà il peso sul sistema sanitario solo del 15-20% dei casi”.

Secondo il matematico ed esperto di situazioni di crisi Petar Velkov, intervistato dall’emittente bTV , le misure arrivano comunque con troppo ritardo, e nelle prossime settimane prevede “un aumento della mortalità da COVID-19 tra il 50 e il 100%”. Sempre secondo Velkov, almeno il 50% dei decessi da coronavirus si sarebbero potuti evitare attraverso politiche più attente durante l’estate, quando “abbiamo perso il controllo dell’epidemia”.

Una tesi rigettata dal ministro della Salute Kostadin Angelov, che accusa invece il comportamento irresponsabile di parte dei cittadini. “Fin dall’inizio dell’epidemia invitiamo tutti a rispettare le misure adottate”, ha dichiarato Angelov. “Quello che succede oggi è il risultato della mancata disciplina e della sottovalutazione della pericolosità del virus. La sfiducia nel sistema, accumulata negli anni, ha portato a questo esito”.

Al di là delle responsabilità politiche dell’esecutivo Borisov, che appaiono evidenti, la società bulgara resta effettivamente permeabile a disinformazione e teorie del complotto, nonostante il fatto che giorno dopo giorno il coronavirus entri nell’esperienza diretta e indiretta di un numero sempre maggiore di persone. Secondo un recente sondaggio oltre il 40% degli intervistati ritiene che il coronavirus sia stato creato in laboratorio per gli interessi economici delle case farmaceutiche oppure come arma biologica per ridurre la popolazione mondiale, mentre il 25% ritiene che un vaccino già esista, ma venga nascosto per permettere al virus di diffondersi ulteriormente. Il 17% sostiene che il coronavirus non esiste, mentre il 33% ritiene che non sia più pericoloso dell’influenza stagionale.

Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network  ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0

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