Bulgaria: amare Sunny Beach, nonostante tutto
Il resort di Sunny Beach è una delle principali destinazioni turistiche sulla costa bulgara sul Mar Nero. Nata in epoca socialista, la località è uscita provata dalla transizione ma continua a essere frequentata da moltissime persone

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© Samuil Dimitrov/Mediapool
(Questo articolo è stato originariamente pubblicato dalla testata bulgara Mediapool nell’ambito di PULSE.)
La prima sensazione è di soffocamento. Tutti quegli edifici incombenti, quelle strade strette, quegli hotel stipati uno accanto all’altro. E gente, gente, gente ovunque. L’unico spazio dove si respira è la spiaggia. Dietro di essa si erge una barriera di cemento fatta di alberghi. Qua e là sono stati lasciati degli stretti passaggi tra gli edifici, dai quali le folle di turisti traboccano verso la spiaggia.
È impossibile parlare di Sunny Beach senza emozionarsi. Per alcuni di noi bulgari rappresenta la giovinezza che non tornerà più, per altri una perduta aria di mare. Per qualcuno è il simbolo della transizione criminale. E per altri è semplicemente un luogo dove si va in cerca di alcol e altre avventure.
Ma di Sunny Beach bisogna parlare senza emozionarsi – o almeno bisogna provare a farlo, perché soltanto così si può capire come siamo arrivati allo stato attuale e cosa potremmo fare per migliorare la situazione. Se lo vogliamo, ovviamente.
Compagni e signori
Corre l’anno 1956. Il leader sovietico Nikita Chruščëv è in visita in Bulgaria: colpito dalla bellezza della costa del Mar Nero, consiglia ai compagni autoctoni di trarre profitto dal turismo. Questi non perdono tempo, e solo due anni dopo la località turistica Sunny Beach apre i battenti. Il primo hotel si chiama Kalina, e il primo turista registrato è il ceco František Silvestr.
Nel 2025 l’hotel Kalina esiste ancora, ma solamente di nome. L’edificio è diverso, più nuovo, più alto, più moderno, con una piscina nel cortile. Anche della Sunny Beach di un tempo è rimasto solo il nome.
Questo resort potrebbe tranquillamente essere ribattezzato “Shopping Beach”. Perché qui le bancarelle occupano qualunque spazio libero. Cappelli, stracci, cianfrusaglie. Tatuaggi e trecce a pochi passi di distanza. E chioschetti con pappagalli. “Venite a farvi una foto!”: un ragazzo e una ragazza si fermano, il fotografo li mette in posa. Per lui il pappagallo è sul braccio, per lei sulla testa. L’uccello inizia a rovistarle con il becco tra i capelli. Lei resiste eroicamente, poi si sistema la pettinatura con le mani. Ma va bene, l’importante è divertirsi.
Il viale del lungomare era ovviamente pensato per essere ampio, ma è ingombro di bancarelle su entrambi i lati. L’estetica lascia a desiderare – ma bisogna fare soldi. Nel pomeriggio, quando il sole gira, i venditori coprono la merce con lenzuola e asciugamani per proteggerla dallo scolorimento. La brezza marina fa svolazzare i teli, da sotto i quali spuntano cappelli, magliette e borse a tracolla. Dietro, annoiati i venditori siedono e guardano il telefono.

© Samuil Dimitrov/Mediapool
Sul lungomare persone, veicoli e odori si mescolano. Dai tombini esce un odore di bagni pubblici, dal mare viene quello del mare, dai turisti l’odore di crema solare, birra e sudore.
La gente sfreccia su e giù su monopattini elettrici e tricicli. Il viale è pedonale, ma non si può sedersi. C’è a malapena qualche panchina e quelle presenti sono piene di macchie, forse provenienti dal grasso dei kebab e dei gyros, forse da altro. Non oso indovinare. Chi frequenta la vita notturna dice che alle 5 del mattino i bidoni traboccano e la gente vomita dove capita.
Socialismo e democrazia
Per decenni Sunny Beach si è sviluppata come una tipica località turistica socialista. Sì, si costruiva, ma lo si faceva in modo ordinato, seguendo una concezione precisa: qui ci sarà questo, là ci sarà quell’altro. Se fosse giusto o meno è un altro discorso, ma la progettazione urbanistica funzionava.
Con la caduta del socialismo però cambia tutto. Per alcuni anni Sunny Beach, che faceva parte del patrimonio di Balkantourist (l’agenzia turistica statale della Repubblica socialista di Bulgaria, ndr), si trova in una situazione peculiare: in parte è ancora di proprietà dello stato, in parte viene ceduta in affitto o in uso a privati. A un certo punto viene costituita la società Sunny Beach AD, che diventa proprietaria di tutti gli asset del resort, ovvero alberghi, strade e infrastrutture. Con essa inizia la privatizzazione, e nel giro di pochi anni gli hotel cambiano proprietà. Sunny Beach AD rimane proprietaria solo delle infrastrutture – cioè di tutto quello che non genera entrate, ma richiede in compenso grandi spese di manutenzione.
Una strada corre sul retro degli edifici che si trovano in prima fila sul litorale. È la strada che separa il nuovo dal vecchio, l’est dall’ovest. Dopo la privatizzazione, i terreni ricoperti di arbusti della zona occidentale tornano ai loro antichi o nuovi proprietari. Chi e con quale idea abbia deciso che andava costruito ciò che vediamo oggi, forse ormai non ha più importanza. Ma il cemento comincia a scorrere, sia nella zona orientale che in quella occidentale.
Sono tempi selvaggi, in cui ognuno fa quello che vuole. O meglio, tempi più selvaggi di quelli odierni. In breve tempo gli hotel si moltiplicano e si espandono. Anche i grandi tour operator entrano in gioco, stimolando ulteriormente l’edilizia. Se qualcuno ti garantisce un flusso di turisti stranieri, perché non creare il maggior numero possibile di posti letto?

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Ma non bastano i turisti, serve anche l’intelligenza – che però sembra mancare. E così oggi Sunny Beach non ha aree verdi, non ha strade adeguate, non ha parcheggi, non ha spazi liberi. Come a Sofia, il termine “marciapiede” qui indica un passaggio frantumato, malridotto, brutto da vedere. Le auto parcheggiano letteralmente all’ingresso degli alberghi, oppure una addosso all’altra. E se qualcuno avesse bisogno di uscire? Che scavalchi!
La religione dell’all-inclusive
A Sunny Beach tutti pregano il dio All-inclusive. Questo tipo di turismo dà sicurezza al cliente perché, una volta pagato, la sua vita si riduce a reclamare tre pasti al giorno e starsene sdraiato in spiaggia per il resto del tempo. La sera si può fare anche una passeggiata sul lungomare, se ti va di spintonarti con tutti gli altri. Così gli alberghi formano delle mini-comunità chiuse, che mangiano nei loro ristoranti, riposano sulle loro sdraio e si immergono nelle loro piscine. L’ingresso di estranei è vietato.
L’all-inclusive ha il suo prezzo. Questa strategia commerciale attira turisti che non vogliono pagare un centesimo in più di quanto hanno già pagato: dato che non è possibile spillare molti altri soldi ai turisti, al di fuori degli alberghi non rimangono che le bancarelle e i bar. Un pezzo di tela qui, un pappagallo là, una ruota panoramica, un trenino.
Sunny Beach è stata costruita con in mente i voli charter. L’aeroporto di Burgas è a soli 30 chilometri: i turisti arrivano lì, vengono caricati su un autobus e portati in albergo, e poi indietro. Semplice! Non servono nemmeno parcheggi. Ma poi arriva il Covid-19, e tutto cambia. Di voli charter non ce ne sono più, e aumenta incredibilmente il numero delle auto. Ancora oggi il resort è soffocato dai veicoli.
Responsabilità sparpagliate
Nonostante la nomea di destinazione festaiola, Sunny Beach è anche una località turistica per famiglie. Nelle strade e nelle piscine degli alberghi si vedono folle di bambini. In alcuni hotel lo svago a loro dedicato inizia già alle 10 del mattino e continua fino a sera. E quando la musica per i piccoli finisce, comincia quella per i grandi. La sera, intorno al luna park scorrazzano minorenni incaricati di svuotare le tasche dei genitori.
Mentre le famiglie tornano nelle loro camere, i giovani si dirigono verso i bar e le discoteche. Alle sette del mattino la strada principale è disseminata di rifiuti. Due commessi di un negozio tirano calci di rigore con un pallone fatto di plastica e nastro adesivo; fa da porta l’ingresso del kebab chiuso dall’altra parte della strada.
Una squadra di donne con uniformi, scope e palette raccoglie metodicamente la spazzatura. Sulla spiaggia altri addetti alla pulizia sistemano i lettini e setacciano la sabbia. Raccolgono la spazzatura insieme alla sabbia, le scuotono e poi mettono bottiglie e cartacce in un sacco. Si vede che sono esperti, sono molto veloci. Entro le 10 deve essere tutto finito, perché la gente comincerà a riversarsi di nuovo sul lungomare e in spiaggia.

© Samuil Dimitrov/Mediapool
La pulizia è uno dei problemi fondamentali di Sunny Beach. Attraverso di essa si possono spiegare molte assurdità di questo posto. Come detto, la società Sunny Beach AD è responsabile delle infrastrutture, ma la raccolta dei rifiuti spetta al comune di Nesebăr. L’azienda paga una tassa sui rifiuti al municipio, che raccoglie sì i rifiuti, ma non pulisce il viale. Il risultato è che il luogo più popolare per le passeggiate ha l’aspetto di un bavaglino sporco.
In generale, c’è un serio conflitto tra le imprese private e il comune. Nella parte più vecchia del complesso le autorità locali non vogliono provvedere alla manutenzione e alla riparazione delle infrastrutture, che effettivamente non sono di loro proprietà – anche se riscuotono volentieri le tasse versate dalle imprese. Dal canto suo, la società Sunny Beach AD non dispone di fondi sufficienti e non ha modo di generarne di nuovi. Se, nonostante tutto, qualcosa di positivo accade in questo territorio dove le proprietà sono divise e le responsabilità sparpagliate, è sempre con grande fatica.
Per concludere
La situazione a Sunny Beach è quella che è. Sì, è tutto cementificato. Sì, è tutto sovraffollato, e la località non ha una bella cera. Ma c’è una ragione per tutto questo. La storia del resort è la storia del turismo bulgaro, iniziata con l’obiettivo di guadagnare dollari dai turisti occidentali durante la Guerra fredda e proseguita con lo sviluppo caotico e l’edilizia predatoria degli anni della transizione.
Su Sunny Beach sono state versate tonnellate di cemento e tonnellate di lamentele. Eppure centinaia di migliaia di persone continuano a sceglierla ogni anno, e ci sono anche buone notizie: la spiaggia, ampia e lunga diversi chilometri, è ancora lì, e forse non c’è più spazio per costruire ancora.
Alla realizzazione di questo articolo hanno contribuito Alexandra Nistor e Ștefania Gheorghe di HotNews (Romania).
Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di PULSE, un'iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.
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