Brutta storia a Tirana
Non è un giallo, ma i morti violenti non mancano, e neppure un romanzo storico, perché le vicende di cui narra sono troppo vicine a noi. Un romanzo sulle convulsioni dell’Albania post-totalitaria
Il titolo del romanzo dice, ma non troppo. "Brutta storia a Tirana" (Besa 2015) è un romanzo particolare che non si può collocare facilmente. Non è un giallo, perché i libri gialli normalmente si costruiscono intorno ad un delitto, descrivendo personaggi ed eventi che riportano prima o poi a scoprire l’identità del criminale. In questo romanzo le morti violente non mancano, ma la storia non gira intorno ad esse. Non si può chiamare nemmeno poliziesco, sebbene ci siano dentro indagini della polizia albanese e italiana. Chiamarlo spy story sarebbe davvero eccessivo, perché non ci sono grandi effetti pirotecnici da 007 e nemmeno scontri tra superpotenze che rischiano l’annientamento nucleare globale. Eppure le spie e i servizi segreti non scarseggiano, neanche in versione internazionale.
Si potrebbe chiamarlo romanzo storico, se non fosse per le vicende che narra, troppo vicine a noi per avere quel normale distacco temporale. Infatti, le vicende raccontate si riferiscono alla fine degli anni Novanta e grazie ad un capitolo intitolato "La guerra del Kosovo" si potrebbero collocare persino con più precisione, tenuto conto che l’intervento Nato venne svolto nel 1999. "Brutta storia a Tirana" è sicuramente un romanzo (fiction) documentato storicamente. L’autore, Adalberto Invernizzi, lo dichiara nella premessa, informando il lettore che, mentre i nomi dei personaggi sono inventati, "i fatti sono in parte realmente accaduti e in parte frutto di elaborazione fantastica".
L’autore del romanzo è ingegnere, con esperienze lavorative in mezzo mondo, tra cui anche l’Albania. Infatti, a leggere le circa cento pagine del romanzo, si nota subito che scrive di cose che ha visto personalmente e che conosce bene. Il libro costituisce la seconda fatica di Adalberto Invernizzi, il quale dimostra di sapere mettere a frutto le conoscenze acquisite durante i numerosi viaggi per i vari continenti. La storia narrata può essere in parte inventata, ma la scena in cui prende vita è assolutamente vera. Non solo i paesaggi e i luoghi dell’Albania sono veri, ma anche il contesto sociale è descritto con pennellate realistiche.
Il libro inizia con un viaggio verso Vlora, nel Sud d’Albania. L’ingegnere italiano Alberti (alter ego dell’autore?), impegnato in progetti di aiuto per l’Albania in ricostruzione, è accompagnato dal suo autista locale di nome Spartak. Alberti scende dall’auto per ammirare Porto Palermo, meraviglioso porto naturale tra due promontori sulla costa ionica. Tra pochi minuti, i due entreranno in un posto segreto, dove l’ingegnere incontrerà un capitano dell’ufficio dell’Addetto militare dell’Ambasciata Italiana a Tirana e un militare albanese. Proprio lì capirà che il taciturno Spartak non fa solo l’autista.
Prima di iniziare il flash back narrativo, Alberti conosce il vero motivo della sua presenza nel posto segreto di Porto Palermo. Dopo il crollo del regime totalitario, l’Albania si è trasformata in un crocevia di traffici illeciti, con un territorio in gran parte senza nessun controllo, che è diventato meta di varie mafie (italiana, turca, russa) in collaborazione con la criminalità locale. In questo far west dei Balcani, c’è il riciclaggio del denaro sporco, ma anche il commercio dei rifiuti tossici.
Ma che c’entra l’ingegnere Alberti con le convulsioni dell’Albania postotalitaria? Inizialmente per due motivi: l’ingegnere italiano segue il progetto della grande discarica di rifiuti solidi urbani di Tirana e Durazzo e poi ha legato (involontariamente) una strana ed inquietante amicizia con un boss locale di Valona, il temuto Pirro Ibrahimi. Alberti si trova casualmente dentro una vicenda sicuramente più grande di lui, ma la curiosità, e forse i suoi principi morali, lo spingono ad accettare di fare l’apprendista 007, cercando di aiutare le autorità italo-albanesi a scoprire chi c’è dietro il traffico dei rifiuti tossici. La storia si sviluppa tra attentati e assassini, incontri segreti e riunioni ufficiali, messaggi chiari e in codice. Tuttavia, la suspense non si propone con grande tensione, tramite picchi narrativi – forse nemmeno ricercati dal narratore – ma si presenta con tono minore, come se fosse spalmata durante tutto il volume.
Al lettore albanese le spiegazioni del contesto storico, ma anche i commenti di carattere sociale, geografico ed etnologico, possono apparire talvolta superflui o eccessivi; probabilmente agli occhi del lettore straniero le informazioni circa il regime comunista, le "piramidi finanziarie", la criminalità organizzata, la corruzione, le consuetudini locali, le abitudini culinarie, i luoghi turistici, i bunker, il Kanun, e così via, arricchiscono il quadro di conoscenze sul Paese, aiutandolo a capire meglio le vicissitudini del personaggio principale e gli intrecci che vanno oltre l’Adriatico. A pensarci bene, il contesto realistico aiuterebbe anche i lettori albanesi di varia generazione, che per un motivo o un altro non ricordano bene quel particolare periodo storico albanese, che non è molto descritto nella letteratura attuale albanese. E forse si trova qui il valore aggiunto del libro.
La galleria dei personaggi non è numerosa e nemmeno complessa. Il personaggio principale è sicuramente ben riuscito. Interessanti senza dubbio il personaggio dell’autista albanese, del giornalista Zef e del malvivente italiano Mancuso. Per non parlare di personaggi di secondo piano, ma che attirano l’attenzione per la loro emblematicità, come la giovane albanese molto sexy che accompagna l’affarista italiano durante la cena con l’ingegnere. Sono tutti personaggi di forte caratterizzazione, che evocano figure centrali nella vita dell’Albania degli anni Novanta. Poi c’è il delinquente albanese Pirro, che rimane effettivamente dietro le quinte, ma che è sempre presente nelle vicende narrate. Tuttavia, alcuni personaggi potevano essere descritti più in profondità dal punto di vista psicologico. Infatti, il narratore non scende molto nei particolari.
Il linguaggio del romanzo è semplice e chiaro, funzionale alla narrazione di una storia di malaffare nella capitale albanese. Ogni tanto, il linguaggio assomiglia a quello cinematografico, trasformandosi in una specie di telecamera da documentario, per descrivere le bellezze naturali dell’Albania, la sua storia, oppure i suoi luoghi principali.
La storia intrigante del romanzo abbonda di ristoranti e menù, dove si svolgono vari incontri importanti, di cui la stessa narrazione si nutre necessariamente. Chissà se si tratta di un elemento inserito consapevolmente dall’autore, oppure sia apparso naturalmente durante il racconto. In ogni caso, si tratta di luoghi geometrici, indispensabili per raccontare la società postotalitaria albanese.