Bosnia: violenza domestica e complessità istituzionale

La tutela delle vittime di violenza domestica in Bosnia Erzegovina è garantita da numerose leggi, ma che il più delle volte rimangono inapplicate. Sullo sfondo una società ancora fortemente patriarcale e la pesante eredità istituzionale della Pace di Dayton. Un nostro approfondimento

21/02/2011, OWPSEE/Redazione -

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Articolo disponibile anche in Macedone e Albanese.

La violenza contro le donne, specialmente quella domestica, continua ad essere un problema sociale diffuso in Bosnia Erzegovina (BiH) e rappresenta una seria violazione dei diritti fondamentali e della libertà delle donne. Nonostante le intense attività svolte dalle Ong in ogni parte del Paese, finalizzate a migliorare la protezione legale e reale delle donne contro la violenza nella sfera pubblica e privata, questo tipo di violenza continua ad essere considerato e tollerato come un “comportamento socialmente accettabile”, giustificato dalle concezioni tradizionali e patriarcali del ruolo e dello status delle donne nella società bosniaca, come indica un recente rapporto di una coalizione di Ong bosniache sull’implementazione della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), pubblicato nell’ottobre 2010.

Società patriarcale

“Ostacolo fondamentale ad un’efficiente prevenzione della violenza domestica è la posizione della comunità e degli individui verso la questione della violenza contro le donne, in generale, e di quella domestica in particolare. L’aspetto più rilevante risiede nelle attitudini personali mostrate da chi si deve occupare della questione, cariche di pregiudizi e influenzate dal modello patriarcale. Si va da educatori e insegnanti il cui lavoro ad esempio consiste nell’educare e crescere i giovani, a coloro i quali dovrebbero proteggere le vittime o perseguire i colpevoli”, afferma Duška Andrić–Ružičić di INFOTEKA, centro di informazione e documentazione sui diritti delle donne con sede a Zenica.

La rappresentante di INFOTEKA tiene a sottolineare come a suo avviso la causa ultima della violenza domestica risieda proprio nel modello patriarcale. La difficile situazione economica, l’elevata disoccupazione, le conseguenze fisiche e psicologiche della guerra – disturbo da stress post-traumatico e invalidità – l’alcolismo, il declino dei valori sociali, sono a suo avviso solo le scintille che fanno scattare la violenza.

Sulle spalle delle Ong

La Bosnia Erzegovina non ha ancora dei servizi istituzionali in grado di fornire un sostegno completo e professionale alle vittime di violenza domestica. La legislazione in materia esiste, ma la complessa struttura statale e la fragilità istituzionale della Bosnia Erzegovina fanno sì che spesso le norme rimangano carta straccia.

Negli ultimi anni le autorità hanno allocato alcuni fondi per sostenere il lavoro delle case protette, tutte gestite da Ong. Fondi quanto mai essenziali poiché I centri di assistenza sociale hanno giurisdizione e meccanismi prestabiliti, ma non i mezzi per implementarli.

 La polizia inoltre non opera allo stesso modo in tutto il Paese, anche se rimane il collegamento più forte tra le varie istituzioni statali che affrontano la questione della violenza domestica. "Anche le sentenze dei tribunali variano a tal punto che non si può parlare di una pratica giudiziaria armonizzata in merito ai casi di violenza domestica in Bosnia Erzegovina", rileva Duška Andrić–Ružičić. “Gli sforzi devono essere concentrati soprattutto nell’armonizzazione dell’approccio istituzionale alla questione della violenza domestica e nei meccanismi unificati di protezione”, aggiunge.

Mara Radovanović dell’Ong "Lara" di Bijeljina, Bosnia orientale, avverte che non ci sono abbastanza case protette per ospitare tutte le vittime di violenza domestica che chiedono assistenza e che la loro permanenza in queste strutture è limitata dalla mancanza di fondi provenienti dalle istituzioni competenti. “Inoltre, c’è un problema per le negligenze delle istituzioni che si occupano di problemi di dipendenza, che sono causa frequente della violenza”, sottolinea.

Mara Radovanović aggiunge che le loro attività di sostegno con organizzazioni partner hanno portato nel 2008 ad alcuni cambiamenti nella Legge sulla protezione dalla violenza domestica della Republika Srpska (RS), la quale ha stabilito che il governo della RS debba finanziare il 70% dei costi delle case protette. La Legge sulla protezione dalla violenza domestica della Federazione di Bosnia Erzegovina (FBiH) non prevede invece l’obbligo di finanziare dal bilancio pubblico le case protette per donne e bambini vittime di violenza, che dipendono quindi quasi interamente dalle donazioni delle organizzazioni internazionali e donazioni una tantum dai bilanci delle Entità, con un’assenza quasi totale di sostegno da parte delle municipalità locali.

Pochi dati statistici

Le esperienze delle Ong che lavorano con donne vittime di violenza domestica indicano che la maggior parte di esse non parla della violenza subita, e non pensa nemmeno di denunciarla alle istituzioni preposte. La Bosnia Erzegovina del resto non ha nemmeno un sistema unificato per raccogliere ed analizzare dati statistici sulla violenza domestica contro le donne, né a livello delle Entità né a livello statale. I dati resi disponibili dalle istituzioni governative, che sono le prime a venire in contatto con donne vittime di violenza (polizia e procuratori), sono incompleti e contraddittori e rivelano interpretazioni e approcci diversi nell’affrontare il problema.

Il rapporto CEDAW sopracitato si basa su dati ufficiali dei ministri degli Interni delle Entità in BiH, secondo i quali il numero dei crimini di violenza domestica denunciati e perseguiti nella Republika Srpska (RS) sono in costante declino, mentre questo non sarebbe il caso della Federazione.

Nel periodo tra gennaio e ottobre 2009, un totale di 1572 vittime di violenza ha chiamato il telefono SOS in RS mentre, nello stesso periodo, un totale di 2120 vittime di violenza ha chiamato il telefono SOS che copre l’area della Federazione.

Attualmente in BiH vi sono nove case protette per donne e minori vittime di violenza domestica, nelle quali team di professionisti forniscono assistenza psicologica, medica e legale, sostegno nella riabilitazione e risocializzazione e sostegno nel trovare la strategia “d’uscita” (reintegrazione).

Casa protetta

Una di queste case protette, istituita e gestita dalla Foundation of Local Democracy di Sarajevo, ha recentemente raggiunto il suo decimo anniversario. In quest’occasione è stata pubblicata un’analisi del lavoro svolto negli ultimi dieci anni durante i quali ha ospitato 1169 beneficiarie e beneficiari: 408 donne, 587 bambini e 174 ragazze. I dati raccolti danno un’idea del profilo delle vittime di violenza domestica: particolarmente significativo è il fatto che quasi il 35% delle donne che sono state ospitate in questa casa protetta abbia completato soltanto l’istruzione primaria, mentre solo il 2,3% possiede un’istruzione più elevata. Nella maggior parte dei casi, queste donne sono state esposte ad un mix di violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica.

Metà delle beneficiarie sono rimaste nella casa protetta per meno di 30 giorni, mentre per il resto delle vittime la riabilitazione ha richiesto più tempo. Ciò è un po’ diverso per le ragazze giovani, che sono spesso vittime di abusi sessuali o incesto e che solitamente restano più tempo nella casa rifugio.

È stato spesso rilevato che uno dei motivi principali per cui le donne mantengono la relazione con i propri violentatori è la loro dipendenza economica da essi. L’analisi della Foundation of Local Democracy mostra inoltre che circa il 70% delle donne ritorna dal proprio marito/partner, ma questi casi vengono seguiti da vicino.

Mubera Hodžić-Lemesi, direttrice di questa casa rifugio, spiega che il loro lavoro è condotto per fasi. Dopo l’ammissione, alla vittima viene in primo luogo fornito aiuto medico di base. Poi essa viene inserita in terapie individuali e di gruppo e, una volta che è pronta, lo staff di esperti organizza un primo incontro con l’autore delle violenze, che nella maggior parte dei casi è il marito o il partner.

“A quel primo incontro, solitamente chi ha commesso le violenze si scusa, chiede perdono, promette che non succederà di nuovo e prega la donna di ritornare a casa. Questo è il momento in cui la donna decide come procedere”, dice Mubera Hodžić-Lemesi, aggiungendo che, se c’è la buona volontà, allora l’uomo viene indirizzato al centro di assistenza sociale dove viene incluso in una terapia adatta e, allo stesso tempo, la donna riceve terapia nella casa protetta. Se e quando le condizioni stabilite sono raggiunte, la donna ritorna a casa. L’organizzazione dispone anche di team mobili che seguono la situazione di queste famiglie assieme agli impiegati dei centri di assistenza sociale.

La Foundation of Local Democracy ha istituito anche un Gruppo di coordinamento che copre l’area del Cantone di Sarajevo, e che è composto dai ministri cantonali della Salute, Giustizia e Amministrazione, Affari Interni, Lavoro, Previdenza Sociale, Sfollati e Rifugiati, nonché dai rappresentanti dell’associazione BH Journalists e della Foundation of Local Democracy. L’obiettivo principale di questo gruppo è migliorare il coordinamento in materia di prevenzione, protezione e lotta alla violenza domestica; gli obiettivi specifici includono educazione, assistenza integrata (sociale, legale e psicologica) e sviluppo di un database unificato.

“Siamo giunti alla conclusione che questo problema richieda un approccio multidisciplinare”, spiega Edita Pršić della Foundation of Local Democracy, chiarendo che hanno deciso di includere rappresentanti dei media alla luce del ruolo importante che essi svolgono nel sensibilizzare l’opinione pubblica, nonché per la necessità di istruire i giornalisti sulle questioni della violenza domestica e sui modi di affrontare questo argomento senza togliere dignità alle vittime.

Al fine di offrire un’assistenza integrata alle sue beneficiare, cinque mesi fa la Foundation of Local Democracy ha aperto il Centro per l’assistenza legale gratuita alle donne, finanziato dall’Ambasciata olandese in Bosnia Erzegovina. Questo centro, come molti altri per la BiH, gestiti anch’essi da Ong, offre assistenza legale gratuita alle donne vittime di violenza, donne vittime di guerra e in tutte le altre questioni sociali che le donne stanno affrontando.

Le donne solitamente cercano aiuto solo dopo una lunga esposizione alla violenza, quando essa lascia un effetto visibile sulla loro salute fisica e psicologica. Esse, inoltre, hanno accesso limitato all’informazione sui propri diritti e le possibilità di protezione dalla violenza. Come enfatizzano gli attivisti delle Ong contattate, non ci sono soluzioni perfette, ma non si può lasciare le vittime di violenza domestica a soffrire, da sole, all’interno delle loro mura di casa.

Articolo realizzato da più autori in collaborazione con Oneworld SEE

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